Contratto metalmeccanici. Un passo avanti e due indietro?

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Pochi giorni dopo la firma dell’ultimo contratto nazionale dei metalmeccanici il cosiddetto “trio metal” composto dai tre segretari generali della categoria esprimeva un giudizio sostanzialmente positivo della firma unitaria ma con qualche sfumatura differente.

Marco Bentivogli, vero regista dei contenuti dell’intesa insieme a Stefano Franchi, direttore generale di Federmeccanica e al suo Presidente Fabio Storchi, sottolineava la carica innovativa di quanto firmato, Maurizio Landini, sollecitato dall’intervistatore che lo incalzava sui contenuti degli impegni da poco sottoscritti rispondeva sardonico: “alla scadenza vedremo se gli impegni saranno rispettati”.

Il momento della verifica è arrivato e le valutazioni, come spesso succede  in questi casi,  divergono. Per Federmeccanica l’arco temporale di valutazione è insufficiente. Le intuizioni e le innovazioni innescano cambiamenti culturali che necessitano tempi lunghi per le imprese come per i lavoratori. Per i sindacati quel tempo è però abbondantemente scaduto. Le aziende non sono state ai patti.

La nuova piattaforma, molto più tradizionale di quella che l’ha preceduta,  è figlia di questa presa d’atto. In mancanza di un’accelerazione sincera e verificabile il costo dell’intero negoziato, per il sindacato, si deve riversare anche su altre priorità e questo, per loro,  non sarebbe comunque incompatibile con la completa realizzazione di quanto concordato nella tornata precedente.

Per Federmeccanica, al contrario, una cosa rischia di escludere l’altra. In altri termini  le richieste del sindacato rischiano di fermare o di rallentare  un processo di coinvolgimento che comunque è in corso. Ma come stanno veramente  le cose? È, come vedremo, la storia del bicchiere. Mezzo vuoto per i primi, mezzo pieno per i secondi.

I dati  visti nella loro concretezza darebbero ragione al sindacato. Gli impegni sottoscritti facevano presagire un vero rilancio della contrattazione aziendale, una spinta convinta alla formazione e una disponibilità almeno ad individuare un percorso di innovazione sull’inquadramento professionale fermo nel testo contrattuale sostanzialmente al secolo scorso. Cosa non ha funzionato, dunque?

L’intuizione nata dalla visione presente in parte del sindacato e della rappresentanza delle imprese ha dovuto fare i conti con la realtà. Un mondo fatto di imprese con propri punti di vista, con visioni e culture differenti difficili da portare a sintesi in tempi così brevi. Per Federmeccanica, che le rappresenta, l’importante è stato cogliere e sottolineare  il senso di marcia che fa intuire la giustezza del percorso, per il sindacato un tentativo maldestro di sottrarsi in parte ad una strategia e ad impegni concordati.

Sicuramente ci sono aziende e territori che hanno imboccato decisamente il percorso. L’unione industriali di Reggio Emilia, ad esempio,  con a capo Fabio Storchi uno degli artefici di quel contratto rappresenta sicuramente un esempio concreto e  virtuoso. Ma nelle imprese in altri territori restano forti perplessità sia sulla esigibilità della contrattazione aziendale che sulle modalità, sui contenuti e sull’approccio alla formazione aziendale. Per non parlare dei sistemi di inquadramento che, in molte imprese sono andati ben al di là del contratto nazionale.

La contrattazione aziendale non è più nelle corde di molte imprese.  È in calo ovunque. E questo per molti ragioni. Innanzitutto perché evoca un passato di contrapposizione difficile da rimuovere. Oggi nella stragrande maggioranza delle aziende il clima è completamente diverso. Rischiare di ritrovarsi in situazioni ormai alle spalle  è fuori sintonia per molte di loro. Spesso le piccole e medie imprese  (ma non solo) hanno ridimensionato i ruoli HR, alcune li hanno esternalizzati e, nella formazione dei nuovi top manager l’idea di confrontarsi con il sindacato è ormai estranea.

In queste aziende oltre ad un clima eccellente esiste una politica retributiva, meritocratica ed efficace, collegata ad un sistema di inquadramento che  ha messo in soffitta i sacri testi contrattuali. Il vecchio modello di confronto rivendicativo tradizionale non è più in grado di incidere. Spesso neanche tra i lavoratori.

Da qui la difficoltà delle organizzazioni di rappresentanza datoriale di contribuire a modificare una cultura ormai radicata che, per certi versi, rischia di non comprendere più nemmeno loro. In queste realtà il contratto nazionale è visto come un rito a cui non ci si può sottrarre ma, in ogni caso,  esaustivo del rapporto con le organizzazioni sindacali.

E se lo schema ribadito  resta quello dei due livelli complementari non esigibili, il secondo, quello aziendale, resta praticamente sulla carta. Sull’inquadramento l’ho già scritto (http://bit.ly/2OpzxfK). Le aziende sono ormai molto più avanti dei testi contrattuali. Difficili riportarli ad uno schema comune che non li esponga a rivendicazioni e a problemi oggi inesistenti.

Infine la formazione. Qui credo ci sia un grande equivoco sul versante delle imprese. Il diritto soggettivo, a mio parere, trascende la formazione necessaria all’azienda “qui e ora”. L’individuo investe anche su sé stesso pensando certamente all’evoluzione del suo ruolo  in azienda ma anche al proprio futuro e quindi al mercato del lavoro.

L’azienda non può limitarsi al suo perimetro individuando esclusivamente priorità, tempi e modalità funzionali ai propri investimenti. Il diritto soggettivo è un cambio di punto di osservazione perché può e deve consentire al lavoratore un sua crescita professionale, un suo percorso sia all’interno dell’impresa in cui lavora sia preparandosi ad altre sfide professionali. Questo dovrebbe essere il cambio di approccio culturale.

Ed è comprensibile la difficoltà incontrata nelle imprese perché devono accettare un punto di osservazione da condividere. Non più unilaterale. C’è una relazione stretta nel potenziale innovativo del diritto soggettivo alla formazione con la necessità di una contrattazione aziendale di nuova concezione. È l’idea della collaborazione, del confronto e del contributo che i lavoratori singoli e a livello collettivo attraverso la loro rappresentanza possono dare alla crescita delle imprese. Qui era la vera sfida del rinnovo precedente così come era sta concepita dagli innovatori.

Ed è su questo passo indietro delle imprese e del sindacato che il bicchiere rischia di essere veramente mezzo vuoto. Non solo nella valutazione. Un passo indietro o uno stop su questi temi non metterebbe in difficoltà solo il sindacato e Federmeccanica ma tutti coloro che vogliono fare un passo in avanti anche nel sistema delle relazioni industriali. 

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