Contratto metalmeccanici, un passo avanti e due indietro? Speriamo di no…

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Lo scontro sul rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici non sembra in grado di produrre una possibile ricomposizione positiva e quindi una sua conclusione prima dell’estate. Il nodo non è di poco conto. Federmeccanica continua a ribadire con forza le sue buone ragioni alla base della proposta di “rinnovamento contrattuale” mentre dall’altro lato della barricata i sindacati insistono affidando agli scioperi proclamati la (im)possibile “capitolazione” in chiave tradizionale dell’interlocutore. È una situazione che rischia di riproporre la cultura tipica dei rinnovi contrattuali del passato pur in presenza di situazioni economiche e sociali profondamente diverse. L’incomunicabilità non serve a nessuno però, in questo contesto, credo non favorisca sopratutto il sindacato. E questo dovrebbe costituire, a mio parere, un importante elemento di riflessione. Le imprese sono impegnate in un grande processo di riorientamento organizzativo e culturale. Un processo complesso, difficile ma decisivo per il loro futuro. In una recente ricerca di Oxford Economics, un importante istituto di analisi economica per SAP che ha coinvolto oltre 21 Paesi i risultati sono evidenti e non si prestano ad equivoci. Se ci limitiamo solo ai temi riguardanti le risorse umane una delle sfide principali che devono affrontare le aziende (in tutto il mondo) riguarda l’insufficiente preparazione del management delle imprese nell’affrontare la digital transformation. Così come non stupisce che le risposte dei più giovani (a tutti i livelli professionali) siano profondamente diverse rispetto a quelle degli altri cluster coinvolti dalla ricerca. Essendo più motivati e reattivi ai temi dell’innovazione restano i più critici rispetto alla lentezza degli interventi di cambiamento e di engagement proposte dalle loro imprese. Questo comporta, inevitabilmente, la necessità di forti investimenti sulle competenze digitali, sul clima e sulla motivazione dei collaboratori, ai diversi livelli, da parte delle imprese. Quindi un forte investimento sulle risorse umane. Le proposte di rinnovamento contrattuale di Federmeccanica, per le aziende meccaniche del nostro Paese, non potevano che concentrarsi su questo e non possono che prevedere l’azienda come il luogo fondamentale dove queste politiche possono e devono essere messe in campo. Da qui la necessità di puntare sulla formazione, sul welfare e su forme di incentivazione e di coinvolgimento anche economico che non possono, proprio per le ragioni espresse sopra, essere puramente simboliche anche a causa dei costi del contratto nazionale in un contesto di bassa inflazione. Da qui l’idea di assegnargli una funzione profondamente diversa rispetto al passato. Federmeccanica non credo possa derogare più di tanto da questa impostazione. Ne va del mandato affidatole dalle imprese e quindi della qualità del rapporto associativo. Per questo motivo penso che, per il sindacato, giocare in modo tradizionale questa partita sia molto pericoloso perché spinge inevitabilmente le singole imprese a continuare a credere che sia meglio tenerlo “fuori dai cancelli”. Quindi verrebbe meno una possibilità importante di coinvolgimento e di collaborazione che poteva e doveva trovare nel passaggio contrattuale uno snodo centrale. La necessità, cioè, di costruire un quadro complessivo di riferimento collaborativo di tipo nuovo. La sfida, a mio parere, andrebbe colta fino in fondo. Altrimenti si rischiano di perdere opportunità importanti. D’altro canto anche Federmeccanica non credo abbia interesse a spingere i sindacati a riportare indietro le lancette dell’orologio. Non ha senso né logica. Nel contratto nazionale non c’è “solo” l’eventuale minimo salariale di garanzia. Ci sono i diritti e i doveri, il welfare di categoria, la formazione, l’inquadramento di riferimento, gli affidamenti necessari per le deroghe e gli spazi da assegnare al livello aziendale quindi c’è da comporre un quadro affatto scontato. Sul salario i problemi sul tavolo sono, sempre a mio parere, sostanzialmente due. Innanzitutto un problema di principio sulla funzione salariale da affidare al CCNL in un eventuale ipotesi che preveda comunque anche un decentramento vero della contrattazione. In secondo luogo quali passi possono essere fatti da entrambi per trovare un ragionevole compromesso che non snaturi l’impostazione complessiva. Per superare lo stallo occorrerebbe affrontare con decisione due ambiguità. Una per parte. Da parte sindacale non risulta chiaro se può essere accettata o meno l’idea che la ricchezza si distribuisce solo dopo averla creata. Sul versante datoriale non è assolutamente chiaro cosa succede nelle aziende che non intendono avvalersi della futura contrattazione a livello aziendale. In questo caso il minimo di garanzia non sarebbe sufficiente ma occorrerebbe prevedere inevitabilmente un meccanismo di compensazione. Lavorando su questi due punti credo che un compromesso sia individuabile. Come ho già avuto modo di sottolineare non sono tempi questi in cui è possibile alimentare una idea di scontro sociale né pensare di sconfiggere il sindacato trasformandolo in un avversario dell’innovazione e della crescita delle imprese. Non credo sia affatto così e non credo convenga a nessuno.

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