Covid-19. Il terziario di mercato non è ancillare ad altri comparti economici

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Ha ragione Mariano Bella, capo dell’ufficio studi di Confcommercio. Fino ad oggi “si è sottovalutata la gravità dello shock da emergenza coronavirus. Se il crollo dei redditi indotto dal crollo del prodotto fosse stato importante ma non eccezionale, la fiducia non sarebbe stata molto intaccata e la liquidità come rete protettiva per la continuità aziendale avrebbe anche funzionato. Nelle attuali condizioni, invece, senza indennizzi, si rischia la lesione permanente del tessuto produttivo.”

Questa sottovalutazione, alla base delle decisioni contenute nei decreti del Governo, è frutto di una miopia tuttora presente nel lavoro delle task force messe in campo per affrontare la fase due. La logica che è passata prevede una inevitabile  contrapposizione tra due mondi. Una contrapposizione inutile ma anche pericolosa per la tenuta stessa del tessuto sociale e quindi per il futuro del nostro Paese.

Da una parte ci sarebbero gli interessi collettivi. Lo scontro tra esigenze di mettere sotto controllo il Covid-19 e di evitare contemporaneamente il crollo economico del Paese ne è stata la dimostrazione plastica. La contrapposizione tra Governo, virologi, maggioranza dell’opinione pubblica e sindacati da una parte e mondo delle imprese, economisti e media, dall’altra ne ha caratterizzato  la prima fase.

Lo spostamento dei sindacati, una volta ottenute le garanzie sulle regole di sicurezza necessarie a garantire la salute dei lavoratori, nel campo avverso,  ha cambiato lo scenario e gli equilibri in campo. Confindustria ha saputo interpretare e lavorare per questa soluzione in grado di allineare gli interessi economici delle imprese e dei lavoratori a quelli del Paese.

Scelta questa strada, gli interessi individuali o presunti tali sono passati in secondo piano. Ed è quello che è successo per l’intero mondo dei servizi, del commercio, dell’artigianato e del lavoro autonomi. Si è salvata la distribuzione alimentare per evidenti ragioni e, probabilmente, il turismo come comparto complessivo potrà ritrovare forse  una strada in una seconda fase per il suo peso specifico nell’interesse nazionale. Ma non sarà la stessa cosa. Guarda caso entrambi espressione di interessi ritenuti collettivi.

Per questi mondi, decisamente sottovalutati, sono previsti indennizzi parziali e insufficienti che non ne garantiscono affatto la ripresa per molti di loro e per il mondo del lavoro ad essi collegato. Il balletto sulle date della ripartenza, la confusione sugli strumenti necessari a garantirla, le protezioni richieste più simili ad un film di fantascienza che alla realtà vissuta dimostrano l’assoluta mancanza di volontà di considerarli comparti economici portatori di interessi con analoghi diritti e assolutamente in grado di predisporre, essi stessi,  le protezioni necessarie a garanzia del loro lavoro e dei cittadini.

A poco sono servite le prove messe in campo dalla distribuzione alimentare, dai trasporti e dalla logistica collegata che hanno dimostrato l’assoluta sicurezza nello svolgimento del loro lavoro. Sono stati considerati comparti economici ancillari, non degni della stessa fiducia concessa all’industria e quindi condannati a subirne individualmente le conseguenze sul piano economico e sulle loro prospettive di lavoro.

La stessa difesa messa in campo dalle loro associazioni rischia di essere inefficace. Certo c’è un problema di sopravvivenza, di chiusura irreversibile per molti di loro che va stigmatizzato e tutelato ma senza recuperare quella dignità e quella autorevolezza di comparti economici importanti per il Paese alla pari di altri, qualsiasi risposta otterranno rischia di pregiudicarne o di complicare concretamente  la prospettiva di ripartenza.

Considerarli inaffidabili e ancillari ad altri comparti è un errore strategico che potrebbe portare con sé anche pericolose conseguenze sul piano sociale. Spinti ad una resistenza individuale diventerebbero preda della demagogia sempre più difficile da contenere. E le prime avvisaglie sono già visibili in alcune categorie.

Alle loro associazioni, innanzitutto, il compito di alzare il livello del confronto evitando così di confermare la sensazione, presente evidentemente nelle task force e nel Governo, che il Paese può permettersi di tenere al vento attività economiche ritenute vitali solo per chi vi opera. Non è così.

Certo servono risorse anche a  fondo perduto per rilanciarle. La qualità delle nostre comunità e quindi il futuro del nostro Paese passano anche da questi mondi. Non è solo questione di PIL o di occupazione collegata. Non è semplicemente un problema loro. È un problema nostro. E come tale rende necessarie risposte adeguate sul piano economico e sociale.

Il Governo deve prendere atto, e lo deve fare rapidamente, che quei settori sono in grado di riprendere immediatamente il loro lavoro al pari di altri e che la loro ripresa è fondamentale per il futuro del Paese. E soprattutto che gli strumenti da predisporre, i livelli di sicurezza, la qualità del loro lavoro non può essere affidata a terzi ma deve essere il prodotto del confronto necessario con le loro rappresentanze che ben ne conoscono il lavoro e le implicazioni sul piano economico e organizzativo. 

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