Non è certo la fase due che ci si poteva aspettare. Quella della aperture di tutte le attività economiche pur vincolate da tutte le cautele e le protezioni necessarie.
Nelle numerose task force messe in campo, per attenuare le responsabilità della politica, diverse esigenze non sono state prese in considerazione. Tre su tutte. Famiglie con figli in età scolastica e con genitori che lavorano, lavoratori autonomi e commercio in genere. Per questi l’impegno al rispetto delle norme individuali e le protezioni e le cautele richiesti alle altre attività economiche non sono stati ritenuti sufficienti.
Tra il rischio del contagio che resta potenzialmente presente in tutte le attività in ripresa e la certezza di essere lasciati soli con il proprio problema il Governo sembra abbia scelto questa seconda opzione. Su altre questioni la partita tra “aperturisti” e “chiusaioli” almeno c’è stata.
La semplice passeggiata pur rimasta “attività motoria” così come prevede il linguaggio burocratico è passata. I metri di distanza sono diventati due anziché uno quando aumentando la velocità di movimento la classica corsetta nel parco si trasforma in “attività sportiva” a tutti gli effetti. Ci sono almeno le regole.
Alle famiglie senza nonni è stato lasciato il compito di far quadrare il cerchio. Dovranno riprendere a lavorare e contemporaneamente occuparsi dei loro figli. Come? Non si sa. Al momento della costituzione delle task force molti si sono lamentati che non ci fossero imprenditori. È vero ma la mia impressione è che mancano assolutamente rappresentanti di coloro i quali quelle decisioni, volenti o nolenti, le devono subire. È quindi non sono rappresentate le possibili conseguenze concrete. Solo i rischi e le opportunità teoriche.
Non è la stessa cosa se a parlare della necessità del lockdown è un pensionato, un dipendente pubblico o un commerciante che pochi mesi fa ha chiesto un prestito per rilanciare la propria attività. I primi sono necessariamente più influenzabili da chi esprime cautele. Comprensibilmente non vogliono rischiare e faticano ad accettare le esigenze di chi quel rischio “deve” prenderselo.
Sopite le tensioni tra territori e generazioni rischiano di prendere inevitabilmente piede quelle tra garantiti e non garantiti in epoca di Coronavirus. Tra categorie economiche ascoltate e non ascoltate.
“La misura è colma” recita un documento della Federazione dei pubblici esercizi di Confcommercio. Nemmeno loro hanno potuto condividere con la task force il dramma che stanno vivendo.
Una pacca sulle spalle di comprensione, una promessa di indennizzo e via. Eppure il numero dei contagi nelle piccolo commercio e nella GDO sono lì a testimoniare che una gestione attenta anche di quelle attività è possibile. Ristoranti, parrucchieri, bar e altre attività non assomigliano certo a RSA per rischiosità di concentrazione se gestiti con protezioni adeguate. Non basta limitarsi a tenere tutto chiuso.
Qualcuno si è preso la briga di ascoltare queste categorie prima di emettere sentenze così dure di condanna per il loro futuro? Non so quanti treni per pendolari sono mai stati presi da chi partecipa a queste task force ma veramente è possibile pensare che, in ora di punta e pur con tutte le precauzioni possibili, rappresentino meno rischi rispetto ad un bar o ad una qualsiasi attività commerciale?
È chiaro a tutti che più si posticipa la loro ripresa più i rischi di chiusura di molte attività diventeranno concrete e irreversibili? Non vedo alternative. Il confronto deve essere immediatamente ripristinato tra associazioni di rappresentanza e livelli istituzionali per trovare risposte concrete. Quanto c’è voluto per consentire le attività di asporto che sembravano impossibili da gestire? Quanto ci vuole per sostenere economicamente con la rapidità necessaria chi non ce la fa più?
Non è difficile prevedere cosa potrà succedere se non cambierà l’approccio alla peculiarità del nostro sistema economico. Non solo quello produttivo. Chiunque frequenti da vicino componenti di queste categorie sa benissimo che la pazienza è agli sgoccioli.
Capisco la preoccupazione delle istituzioni e della politica in generale di non restare con il cerino in mano a fronte di una ripresa dei contagi ma il compito di chi ci rappresenta non può essere quella di scaricare l’intero costo di questa fase su chi non può reagire né far sentire la propria voce. Occorre maggiore consapevolezza. Quella che a mio modesto parere, è mancata in questo passaggio è che andrebbe rimessa in campo immediatamente.