Dal caro carrello al carrello tricolore. La Grande Distribuzione supererà compatta il prossimo trimestre?

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L’operazione “carrello tricolore” è finalmente decollata pur con qualche difficoltà di implementazione tra decisioni e messa a terra. Repubblica l’ha già segata.  Tutto come previsto. Servirà almeno una settimana  per andare a regime. C’è fretta di liquidare negativamente l’evento. Dall’esterno, per demolire un embrione sgradito di patto sociale e dall’interno perché la GDO muovendosi come comparto, e non insegna per insegna, disturba chi sulle divisioni e sulla competizione tra insegne ci ha costruito le proprie teorie. L’elenco delle realtà che hanno aderito è disponibile (https://bit.ly/3RH7MjW). Polemiche, dubbi e mal di pancia accompagneranno questa operazione fino alla scadenza,  come era assolutamente prevedibile. Con il testo ancora caldo delle 32 firme, dei sorrisi e delle strette di mano con il Presidente del Consiglio, anche lo stesso Presidente di Federdistribuzione intervistato da Repubblica,  si è fatto prendere la mano reinterpretando  il  Tom Cruise di Minority Report, e, annunciando, in un modo assolutamente intempestivo che uno dei firmatari, l’industria di marca, con il suo comportamento ondivago contribuirà, di fatto, a depotenziare l’intesa.

Io avrei atteso  il “reato” per contestarlo, piuttosto che darlo per scontato. C’è un problema di coerenza complessiva dell’accordo ed è dato dal contributo di tutti i partecipanti. Grande o modesto, si dimostrerà. Al di là del Governo che non ha alcuna intenzione di intestarsi un eventuale fallimento. Lo scaricherà inevitabilmente sull’ultimo anello della catena. L’IDM lo ha firmato, pur a modo suo, obtorto collo. Però lo ha firmato. Ed è su questa firma che occorre tenere alta la guardia.

Altri sui social banalizzano, già ora, i possibili risultati.  Innanzitutto i pattoscettici, quelli che hanno già deciso che siamo di fronte ad un banale esercizio di stile.  “Non ho mai conosciuto un pessimista che abbia concluso qualcosa di buono” amava ripetere Giovanni XXIII. Poi c’è ovviamente, chi contesta politicamente questo governo, e quindi, ne sminuisce la portata. Infine i benaltristi e i sognatori. Quelli che pensano che bisognerebbe sempre fare altro. Ovviamente sui social sono i più agitati. C’è poi chi non avrebbe voluto fare nulla, chi ipotizza la diminuzione dei prezzi per decreto, chi sogna aumenti di stipendi generalizzati, chi la giusta remunerazione per tutta la filiera con il conto spedito altrove e messo in carico alla collettività. O al consumatore finale. Giorgio Gaber nella sua famosa canzone quelli che….. avrebbe concluso questo elenco con un Oh Yeah!

Poi fortunatamente ci sono le insegne della Grande Distribuzione e del commercio in genere. Quelle che hanno dato mandato alle loro associazioni. A cominciare dalle principali che si stanno già muovendo con convinzione sperando di non essere lasciate sole dal Governo e dal resto della filiera nel confronto di merito che dovrà seguire nei prossimi mesi. Per ora, le insegne rappresentano  il colibrì della famosa storiella africana. L’incendio della foresta consiglierebbe a tutti di scappare. Di lasciar perdere. Lui no. Con nel becco la sua goccia d’acqua vola sopra l’incendio. E a tutti quelli che scappano e che lo deridono e che gli chiedono cosa pensa di fare con quella goccia d’acqua nel becco lui risponde tranquillo: “la mia parte, solo la mia parte”.

La stragrande maggioranza delle insegne ha deciso di scommetterci  sul serio e di fare la propria parte. Certo c’è chi è convinto  di averlo  sempre fatto (le famose vecchie e care promozioni). E chi in questi due anni ha sacrificato parte dei suoi margini per tenere volumi e clienti. Ma nessuno, fuori dal perimetro, gliene renderà  merito. Il passato conta poco.  Il “caro carrello” era addebitato alla GDO non agli aumenti dei listini, più o meno giustificati.  I clienti, come ho già scritto, leggono lo scontrino. Non le dotte elucubrazioni sulle cause internazionali dell’inflazione o degli andamenti delle materie prime. In questo senso nell’operazione in corso oltre alla normale passerella a favore di telecamera del Governo, c’è ovviamente una componente di comunicazione esterna  importante da parte della GDO senza la quale si sarebbe scatenata una campagna mediatica difficile da arginare. E questo avrebbe determinato a sua volta una rincorsa confusa e pasticciata sui prezzi, insegna per insegna, per rimbalzare le accuse. Questo rischio è, per ora, alle spalle.

Ci penseranno le associazioni dei consumatori (escluse dall’intesa) e l’opposizione politica a sminuire ogni decisione e a tenere sulla corda i protagonisti per tutto il trimestre. E poi ci sono i soliti del “io l‘avevo detto”  e “abbiamo sempre fatto così con le promozioni” pronti a riemergere dalle catacombe. Se l’operazione fallirà, questo deve essere chiaro a tutti,  l’intera responsabilità cadrà sulle spalle della GDO. E questo i CEO più navigati lo hanno capito benissimo. Ovviamente l’inflazione non diminuirà in forza di questa operazione. Altre dinamiche interne e internazionali la fanno fluttuare alimentando ansie o meriti difficili da intestarsi. Però c’è chi va a fare la spesa. E  deve decidere se curarsi, pagare le bollette o se una serie di prodotti è costretto a lasciarli  sul lineare. Sapere che c’è in atto un tentativo per fermare (almeno) la salita dei prezzi e la percezione che qualcuno se ne stia occupando è importante. Il nostro è un Paese strano. Chi ha un reddito medio alto fatica a comprendere l’impatto diverso dell’inflazione, ad esempio  nel prezzo di un pacco di pasta, su di sé piuttosto che su redditi bassi e fissi. Quindi tende a sottovalutarne le conseguenze sul piano della tenuta del tessuto sociale. Tutti elementi che concorrono a valorizzare  intese come queste. Un Governo  di qualsiasi colore non può permettersi di sottovalutarlo. Soprattutto in una situazione economica e sociale gravida di rischi potenziali.

La GDO quindi, con questa firma, ha dimostrato di crederci e di volersi impegnare. Molto meno l’industria di marca con i suoi tentennamenti. Qualcuno all’interno  della loro compagine non ha compreso il cambio di fase dopo l’euforia da ripresa  del post pandemia. C’è chi ha tentato prima di scaricare i costi sui listini rifiutando il confronto con la GDO poi con la skrinflation di nascondere gli aumenti diminuendo le quantità nelle confezioni. Qualcuno ci ha messo mesi per capire che si stava  infilando in un vicolo cieco. Comprensibile per alcuni sottosettori (vedi le carni e non solo), meno per altri. Verrà, questo è certo, il tempo delle polemiche ma non è questo il giorno. Oggi con l’accordo si è deciso di giocare la stessa partita. Non di fare inutili falli di gioco. All’inizio sarà la MDD a catalizzare l’interesse. Spero presto si arrivi al coinvolgimento concreto dell’IDM con iniziative visibili. Altrimenti si risolverà in  un grande spot a favore della Marca del Distributore. E, se la GDO saprà tenere il punto fermo, in una pessima figura per l’IDM. Alcuni confermeranno la loro strategia su  “prezzi bassi e fissi” su un paniere di prodotti. Altri punteranno  a promozioni specifiche “old fashion” per il periodo indicato.  Nessuno sottovaluterà il desiderio evidente dei propri clienti di vedere concretamente sui lineari gli effetti reali dell’accordo.

I dati economici che emergono a livello Paese sono pesanti. Il debito pubblico sta arrivando a quota 3.000 miliardi di euro e il suo costo in interessi per lo Stato raddoppierà, a oltre cento miliardi l’anno. Da lì quindi arriverà poco o nulla. Anzi pensioni e salari (pur ipotizzando i rinnovi dei CCNL) continueranno a soffrire. La guerra ai confini dell’Europa proseguirà sicuramente per tutto il 2024 con il suo carico di incertezze sul fronte dell’energia e delle materie prime. Contemporaneamente la necessità di tenere salda l’alleanza militare,  a prescindere dalle situazioni dei singoli Paesi, sta producendo un effetto di (finta) stabilizzazione che eviterà molto probabilmente speculazioni internazionali contro il nostro Paese ma ci lascerà soli con i nostri problemi strutturali, probabilmente aggravandoli.

Il “carrello tricolore” pur cigolando alla partenza non è la soluzione ma rappresenta un segnale. Ben altri “patti sociali” servirebbero al Paese.  Si può però coglierlo per fare un passo in avanti oppure banalizzarlo e ritrovarsi al punto di partenza come in un eterno gioco dell’oca. E rinfacciarsi le responsabilità come tra bambini all’asilo. L’inflazione continuerà ad inciderà comunque su pensioni e redditi bassi contribuendo a modificare in profondità la struttura dei consumi. Questi tre mesi, spero, ci daranno alcune indicazioni su cui riflettere per ipotizzare nuove traiettorie. Intanto consolidiamo, con serietà, questo passaggio. 

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