Declinare crescendo?

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È vero. A volte quando osservi i comportamenti nei CDA di alcuni sindacalisti negli  enti bilaterali ti viene il sospetto che vivano fuori dal tempo. Lontani dalla realtà. Avendo fatto il DHR per tanti anni mi rendo conto che la capacità di comprendere i problemi concreti delle imprese, la rapidità necessaria a risolverli e  l’attenzione ad affrontare tutto ciò che non è noto e scontato sono caratteristiche sempre meno presenti. Anche il linguaggio è vecchio e di difficile comprensione per i non addetti, soprattutto se sono di altri Paesi. La stessa comunicazione spesso propone una caricatura della realtà, i toni sono quasi sempre esagerati e poco credibili e offrono soluzioni semplici ma quasi mai realizzabili nei modi e nei tempi proposti ai destinatari. I comportamenti incoerenti. Ad esempio tutte le deroghe in pejus consentite per i nuovi assunti (lavoro domenicale, turni, disagi vari) hanno creato un confine tra generazioni che non è più  stato colmato. Le stesse piattaforme contrattuali, i tempi di rinnovo e la distanza tra obiettivi e risultati spiegano bene la difficoltà nel costruire strategie e consapevolezze nuove tra i lavoratori. L’idea che del sindacato si può farne a meno è presente in molte aziende soprattutto là dove le imprese cercano di gestire in modo autonomo il rapporto con i propri collaboratori. Di fronte a chiavi di lettura molto tradizionali si consolida sempre più la voglia di fare a meno del loro contributo. Gli incontri si trasformano in liturgie della parola, i colleghi dirigenti delle altre direzioni (vendite, acquisti, logistica, ecc.) guardano noi DHR come professionisti della chiacchera e nell’impresa si consolida l’idea della irrilevanza e dell’inutilità del confronto con i sindacati. E spesso anche noi quando ci sediamo di fronte a loro partiamo prevenuti con la convinzione che stiamo solo perdendo tempo. In azienda, in molte realtà, si va senza di loro. Nel bene e nel male. Di Vico fa bene a porre il problema. Siamo forse già in una fase post sindacale. Personalmente non credo sia una buona cosa. E questo per varie ragioni. Non ci sono solo le aziende che propongono forme di welfare aziendale o che si occupano positivamente dei propri collaboratori. In Italia ci sono oltre quattro milioni di imprese. Proviamo a pensare come potrebbe essere una realtà senza contrattazione nazionale, senza equilibrio tra diritti e doveri, dove non esistono regole e dove se la cava il più furbo o solo chi è disposto a tutto pur di lavorare. Il sindacato è necessario in una società complessa come la nostra. Certo c’è chi ne puó fare a meno sia individualmente che collettivamente ma non è cosí per la stragrande maggioranza dei lavoratori. Secondo me anche per le imprese è utile. Pensiamo solo al dumping contrattuale.  Detto questo possiamo discutere di quale sindacato avrebbero bisogno i lavoratori e le imprese oggi. Io ho le mie idee. Penso ad un sindacato che sa collaborare con l’impresa in modo nuovo. Che comprende e forma i suoi esponenti a capire il nuovo e ad affrontarlo senza paura. Intransigente sui principi ma aperto alle novità. Pronto a sperimentare soluzioni innovative e conscio che la stagione dell’obiettivo-lotta-risultato è finita. Oggi la stagione è condivisione-convergenza-risultato. Ma questa è solo una mia opinione. Al sindacato spettano le mosse che vorrà compiere e decidere le traiettorie conseguenti. Io, a differenza di Di Vico registro segnali nuovi. Nelle categorie dell’industria della CISL e in alcune aree del nord ma anche provenienti dalla conferenza organizzativa della CGIL vedo proporre riflessioni significative sia in direzione di un superamento della situazione di concorrenza tra sigle confederali sia nel merito. i rinnovi contrattuali la governance degli organismi bilaterali, il welfare contrattuale e gli accordi sulla rappresentanza possono costituire un passaggio importante. Speriamo venga colto da tutti.

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