Le polemiche ferragostane sugli stipendi di alcuni manager pubblici e privati rischiano di coinvolgere una intera categoria che lo stipendio se lo guadagna, ogni giorno, impegnandosi nel gestire ed essere punto di riferimento dei propri collaboratori e di realizzare, insieme a loro, gli obiettivi aziendali. La quasi totalità dei dirigenti privati in Italia merita il posto che occupa. Se lo sono guadagnato investendo sulle proprie capacità e competenze, mettendoci determinazione e passione, imponendo sacrifici a se stessi e, spesso, anche ai propri cari. E, ultimo, ma non meno importante, contribuendo al benessere del Paese sia come contribuenti che come consumatori. Certo fa più rumore un albero che cade rispetto ad una foresta che cresce e quindi lo status o i comportamenti di alcuni tendono a coinvolgere tutti in una sorta di giudizio negativo su di un’intera categoria che, invece, resta fondamentale per il nostro Paese e per le imprese impegnate in un difficilissimo rilancio in rapporto al contesto competitivo nazionale e internazionale. Ai manager, le imprese oggi chiedono di diventare un punto di riferimento per tutti i collaboratori, di saperli ingaggiare nelle sfide di tutti i giorni, di essere propositivi, collaborativi e disponibili a rimettersi costantemente in discussione. Una figura, quindi, lontana anni luce dal burocrate ripiegato su se stesso che tiranneggia i propri collaboratori, dal manager da copertina un po’ infantile e frivolo, o dall’individualista accentratore che pensa di essere in grado, da solo, di salvare il mondo. Il dirigente, quello vero, sa che solo impegnandosi per gli altri, con gli altri e attraverso gli altri, realizzerà i propri obiettivi che sono gli stessi dell’impresa nella quale è impegnato in un dato periodo del suo percorso professionale. Nel nostro Paese ci sono decine di migliaia di persone così. Ed è un capitale importante. Non fanno notizia proprio perché il loro compito principale non è quello di farsi notare. Ce ne vorrebbero molti di più, soprattutto nelle PMI per contribuire ai passaggi generazionali, ai progetti di internazionalizzazione, alla costruzione di intese di rete e di filiera, quindi al consolidamento di una nuova cultura manageriale di cui il nostro Paese ha tanto bisogno. E la qualità di queste persone la si può misurare anche nella lungimiranza dimostrata in tutti questi anni. Ritenuti dagli osservatori meno attenti soggetti individualisti, impegnati esclusivamente nella propria carriera, poco attenti agli altri, i dirigenti, hanno saputo creare strumenti collettivi importanti di tutela e di sviluppo attraverso i contratti nazionali che si sono via via succeduti negli anni. Nel terziario, ad esempio, la previdenza, attraverso la seconda e la terza gamba (Fondo Mario Negri e Pastore, la sanità integrativa per sé e per le proprie famiglie (Fondo FASDAC) e i diritti alla formazione individuale (CFMT formazione) dimostrano una volontà che va ben oltre l’aspetto retributivo tipico della contrattazione individuale. Così come, nell’ultimo rinnovo del CCNL del terziario, dove Manageritalia ha scelto di privilegiare un sostegno ai manager in fase di transizione professionale piuttosto che insistere su altri aspetti ritenuti sacrificabili all’interno di un quadro di rafforzamento complessivo del ruolo del contratto nazionale. Un’operazione intelligente che mira ad affidare al contratto una funzione di tutela collettiva integrabile, nelle singole imprese, con la negoziazione individuale. Soprattutto un’operazione che non scarica oneri sulle aziende ma trova un maggiore bilanciamento rispetto al passato. Questa lungimiranza appartiene a tutta la categoria che dimostra così il legame con la propria organizzazione di rappresentanza ma anche la capacità di saper guardare oltre i propri interessi immediati. Un contratto nazionale per i dirigenti ha senso solo se continua a dimostrare questa sua capacità di essere in grado di tutelare il singolo ma sempre in una visione collettiva in un contesto in continuo cambiamento. Con gli strumenti a disposizione il manager può crescere, svilupparsi, gestire al meglio le fasi di transizione tra un’azienda e l’altra, mantenere tutte le coperture contrattuali anche quando, per scelta o per necessità, da manager si trasforma in consulente, temporary o professional. E questo non è una risultato da poco. È scontato che ad alcuni top manager questo impianto può non essere indispensabile. Ma un contratto nazionale deve saper guardare ad una intera categoria e tenere conto del contesto economico, politico e sociale nel quale viene sottoscritto. Oggi i dirigenti privati del terziario hanno indubbiamente un nuovo contratto nazionale di riferimento. Ma lo hanno anche le imprese che dispongono di un quadro normativo più chiaro ed equilibrato. Quindi un risultato importante per tutti.