Essendomi trovato diverse volte a gestire le fasi concitate che precedono la chiusura di un contratto nazionale capisco le tensioni finali che le animano e che rischiano di far precipitare il negoziato. Ricordo ad un rinnovo del CCNL dei Dirigenti di Confcommercio le pretese di Auchan per ottenere una deroga esclusiva che le consentisse di non applicarne una norma contrattuale. Solo il buonsenso dei negoziatori evitò il deragliamento della trattativa. Potrei citare decine di esempi vissuti negli anni dove rappresentanti di singole aziende o dirigenti di associazioni territoriali trasformavano il loro punto di vista o il problema da loro sollevato come vincolanti per accedere alla cosiddetta “non stop” negoziale che, per rispettare la tradizione, doveva concludersi nottetempo quando la stanchezza portava i più riottosi a più miti consigli.
Tutti i negoziati, vivono di fasi precise. Nella prima, entrambe le parti, rappresentano i loro “irrinunciabili” punti di vista. Spesso provocatori. Per le associazioni questa è la fase della sommatoria delle esigenze delle singole aziende. È la fase del “Non debemus, non possumus, non volumus”. È un “NO” a prescindere mascherato da accuse reciproche, tatticismi, drammatizzazioni sullo stato dell’arte. Ovviamente anche dalla presenza di problemi di contesto. Sembra assurdo ricordarlo ma, nel caso dei recenti rinnovi dei CCNL del terziario e della distribuzione moderna questa fase è durata anni. Anni che hanno comportato evidenti risparmi sul costo del lavoro. Nella seconda fase del confronto si inizia a prendere atto che, al di là delle possibili prove di forza a cui il sindacato potrebbe ricorrere, qualcosa andrà comunque fatto. È la fase dove i negoziatori, pur ribadendo i loro punti di vista, iniziano ad ascoltare anche le ragioni degli interlocutori. Fase delicatissima ma fondamentale perché propedeutica alla terza fase dove entrambe le parti iniziano a cogliere gli spazi sui quali costruire il negoziato vero e proprio.
Nel rinnovo di cui ci stiamo occupando c’è però una differenza fondamentale tra i meccanismi decisionali delle due confederazioni (Confcommercio e Confesercenti) da una parte e quelli delle due associazioni (Federdistribuzione e ANCC per Coop) dall’altra. Le prime due, hanno come protagonisti funzionari ed esponenti politici centrali e territoriali pur con l’anomalia, per la prima volta, della presenza di una azienda (Conad) forte dei suoi 80.000 dipendenti che ha esercitato per lungo tempo un condizionamento evidente teso ad allungare i tempi del negoziato stesso. In queste realtà, la decisione di firmare o meno è essenzialmente politica. Spetta esclusivamente ai vertici confederali decidere se ci sono le condizioni.
Nelle associazioni, al contrario, è la volontà della maggioranza delle insegne che hanno più peso a stabilire la presenza o meno delle condizioni. Le associazioni e i loro funzionari coordinano, suggeriscono, propongono ma non decidono nulla. E qui casca l’asino. Da un lato c’è chi comprende che una sintesi va trovata e la partita va chiusa. Dall’altro le alleanze e le divergenze tra insegne, la personalità dei rispettivi leader, l’aver visto riconoscere o meno le proprie aspettative, e, ultimo ma non ultimo il lavoro che l’associazione ha fatto (o non ha fatto) nel tempo per guadagnarsi una autorevolezza decisionale fanno la differenza. In quella fase concitata, LIDL essendo una realtà leader, alla luce delle chiusure di Confcommercio e Coop si è assunta la responsabilità, condivisa anche da altri, di chiedere la “nonstop” finale con i sindacati.
Non faccio nomi ma in quella fase ho ascoltato altre importanti realtà che avevano preso atto della necessità di chiudere. Non potendo fare altro ha probabilmente prevalso il desiderio di Federdistribuzione di tenere insieme sensibilità diverse. Da qui lo stesso errore che qualche settimana prima aveva fatto Prampolini di Confcommercio rilanciando e poi ritirando le richieste fatte ormai fuori tempo massimo. Il sindacato di categoria era ormai perfettamente a conoscenza che il negoziato era in chiusura.
Rilanciare richieste, con l’evidente imbarazzo di chi sa che sta commettendo un errore, mi ha fatto subito pensare a UNES e al recente pasticcio combinato sul demansionamento dei direttori di punto vendita. La formulazione trovata tra Federdistribuzione e i sindacati in sede di stesura sulla futura commissione salvaguarda i diritti acquisiti e quindi smonta inevitabilmente il teorema UNES. Confcommercio, al contrario, non prevede nessuna modifica sul tema. Un minuto dopo la firma del CCNL di Federdistribuzione UNES ha comunicato ai suoi dipendenti che applicherà il CCNL firmato da Confcommercio. Delle due l’una. O c’è una relazione tra gli accadimenti, o più semplicemente UNES segue Conad con cui ha relazioni consolidate dalla notte dei tempi e con cui potrebbero nascere futuri sviluppi.
Al di là del fatto in sé, questa vicenda però porta a due riflessioni. Se Federdistribuzione non costruisce una sua “distintività” vera propedeutica ad una nuova fase con i sindacati, un CCNL autonomo da Confcommercio non serve a nulla. E, infine, un’associazione se resta la semplice sommatoria di esigenze e specificità delle singole insegne senza una capacità di sintesi non va da nessuna parte. Rischia di assomigliare a quelle osterie di Trastevere del secolo scorso dove ciascuno portava il pasto al sacco da casa e si sedeva solo per consumare il vino. Un po’ poco per affrontare le sfide che la Grande Distribuzione deve affrontare..