Non c’è quotidiano che non sottolinei i successi del CEO FCA. Anche chi ha dovuto compiere una conversione di 360 gradi passando da critiche feroci e pregiudiziali al sostegno incondizionato. Ha certamente dimostrato di essere un ottimo manager e i risultati ottenuti sono evidenti. Per quanto mi riguarda c’è un però. La sua non è una vittoria solitaria. Ed è incomprensibile che, proprio lui, non capisca che nel momento del trionfo è sempre buona cosa dividere gli onori con chi lo ha reso possibile. Certo Renzi e il Governo sono stati alleati indispensabili e questo va loro riconosciuto. Ma non è abbastanza. Nella solitaria lotta contro la FIOM di Landini Marchionne ha trovato altri interlocutori sindacali cche hanno scommesso su di lui e sulle sue promesse rischiando la loro reputazione e, a volte, la loro incolumità. FIM, UILM e Fismic hanno sottoscritto e poi difeso (non subìto) gli accordi sottoscritti nelle assemblee e nei referendum accettando di passare agli occhi di media poco attenti come succubi di Marchionne, sindacati gialli e via discorrendo. Si sono dipinte all’esterno e sulla stampa le fabbriche come opifici dell’800, piegate e umiliate da un padrone delle ferriere dove solo la pistola alla tempia a ciascun lavoratore ha permesso lo scempio dei diritti e instaurato una nuovo concetto di schiavitù. Mi rendo conto che per molti sindacalisti, soprattutto quelli con cui condivido l’età Marchionne è un’anomalia evidente. Temo anche per molti dirigenti aziendali che si sono visti mettere in discussione e spazzare via in pochi istanti carriera e reddito. Ma Marchionne è un prodotto specifico di questa epoca, svelto, globale e opportunista. Inaccettabile per chi pensa di poter dettare tempi, modalità e contenuti delle relazioni industriali come fossimo nel secolo scorso. Marchionne aveva una strategia, una filosofia e un comportamento difficile da accettare e da condividere. Non ero presente al tavolo in cui si sono svelati i passi da compiere e quindi mi limito a osservare da fuori. Al sindacato non restava che accettare la sfida o scommettere sul fallimento e non sedersi nemmeno. C’è chi ha fatto la prima scelta e chi la seconda. Beh, Marchionne sbaglia a non condividere questo risultato con chi gli ha creduto e ci ha messo la faccia. Soprattutto la FIM CISL che ha il maggior numero di iscritti in azienda. È questo per due ragioni. Innanzitutto perché ammettere che esistono uno o più sindacati che nella collaborazione e nella conseguente sottoscrizione di intese hanno rilanciato un ruolo fondamentale per il futuro dell’impresa e dei lavoratori è semplicemente la verità. Nessuno può vincere da solo. In secondo luogo perché è interesse del Paese che cresca la consapevolezza e lo spazio per un sindacato riformista e collaborativo che sa difendere gli interessi dei suoi rappresentati in modo efficace se pur diverso dal passato. Nel mondo globalizzato il lavoro in un Paese si difende anche creando alleanza nella filiera nella quale l’azienda è inserita fuori da logiche classiste. Altri si dedicheranno, legittimamente, alla costruzione di sindacati che continuano a trovare nel conflitto e nella contrapposizione la loro ragion d’essere. Ma non legittimare i primi è un errore che un manager del livello di Marchionne non dovrebbe commettere.