Il dato drammatico è che può succedere ovunque e a chiunque. Non serve limitarsi a puntare il dito sull’ultima disgrazia in ordine di tempo. Nel caso specifico serve innanzitutto capire cosa è successo. I pm Francesco Sottosanti e Alessandra Falcone hanno aperto un fascicolo in cui si ipotizzano i reati di omicidio colposo plurimo e crollo colposo. Il primo passo sarà fare chiarezza sulle cause del crollo e determinare così le responsabilità penali dell’accaduto. Secondo il “Corriere Fiorentino” al cantiere del supermercato lavoravano almeno una trentina di aziende in subappalto. Per il segretario generale di Fillea Cgil Firenze, è difficile che la trave sia stata montata male ed è anzi presumibile che sia stata la stessa componente mal realizzata, forse mal progettata o composta da materiali scadenti. “Se così fosse, l’incidente non sarebbe legato a una carenza di sicurezza nel cantiere”. Marina Caprotti, presidente di Esselunga ha dichiarato: “Esprimiamo profondo cordoglio e vicinanza alle famiglie delle vittime del gravissimo incidente nel cantiere di via Mariti a Firenze. Siamo sconvolti per quanto avvenuto. Il cantiere in costruzione era affidato in appalto a una società terza e siamo a disposizione delle autorità per contribuire a chiarire la dinamica di quanto accaduto e per qualsiasi esigenza”.
Quindi, prima di sentenziare, occorre capire. Errore di installazione, difetto di fabbricazione o errore nella progettazione? Ruota intorno a queste tre ipotesi l’inchiesta aperta dai magistrati. A queste ipotesi si aggiungerà inevitabilmente l’analisi della complessa filiera di appalti e subappalti. Bisognerà capire se gli operai coinvolti avessero o meno un inquadramento professionale equiparato alla loro mansione nel cantiere. Secondo quanto è emerso, l’azienda committente e la ditta appaltatrice del crollo nel cantiere Esselunga a Firenze risultano gli stessi del cantiere di un altro supermercato sempre Esselunga a Genova, nella zona di San Benigno dove, il 10 febbraio 2023, tre operai erano rimasti feriti a causa del cedimento di una rampa del parcheggio: la Villata spa, l’immobiliare partecipata al 100% da Esselunga, e Aep, attività edilizie pavesi, con sede a Pieve del Cairo (Pavia)”. Esselunga è parte fondamentale di una realtà complessa e articolata. Definirla “solo” una azienda importante della GDO è riduttivo. Trasforma prodotti come una qualsiasi impresa alimentare, è presente nell’HORECA, possiede beauty boutique, vende vini online e gestisce attività edilizie con un patrimonio immobiliare considerevole. La regia di tutto questo in termini di responsabilità e conoscenza delle problematiche che ne discendono e delle implicazioni dirette e indirette non è affatto semplice.
Landini, da parte sua, ha già “chiuso” l’indagine (che, al contrario, sarà lunga e complessa) e punta il dito sul nuovo codice degli appalti che ha introdotto l’eliminazione del divieto di subappalto a cascata. Condivido che questo è un problema da approfondire seriamente. «Chi vince una gara deve essere responsabile di tutta la filiera, stesse regole per pubblico e privato” ha concluso il segretario della CGIL. Sarà un argomento di confronto politico nel Governo e tra maggioranza e opposizione. Secondo i sindacati dell’edilizia gli operai in subappalto rappresentano il 70% del totale dei morti sul lavoro. Una cifra impressionante. La pratica del subappalto e del massimo ribasso, oltre a far risparmiare sui costi deresponsabilizza rispetto agli incidenti essendoci la quasi certezza che i controlli oggi in carico a dieci enti diversi difficilmente ne verrebbero a capo. Dario Nardella ha puntualizzato “C’è una differenza molto importante fra cantieri pubblici e privati. Purtroppo per i cantieri privati in Italia non abbiamo regole adeguate. E anche nel caso dei cantieri pubblici il codice degli appalti consente il ricorso al subappalto a cascata e al massimo ribasso che può determinare seri problemi. Proprio per questo coi sindacati da qualche settimana stiamo lavorando sia sul protocollo della trasparenza che sul protocollo dei subappalti”.
Per chi vive con passione e partecipazione come il sottoscritto le vicende del Commercio e della Grande Distribuzione quello che è successo a Firenze, nel cantiere dove si stava costruendo un nuovo punto vendita, resta comunque un fatto estremamente doloroso. Condivido ciò che ha scritto Giuseppe De Filippi sul Foglio “Questa tragedia potrebbe mostrare, se dagli accertamenti non emergessero specifici comportamenti dolosi, quanto la formalità dei controlli e delle autorizzazioni non consenta il raggiungimento di una sostanziale sicurezza”. Per questo condivido Giampiero Falasca sul Sole 24 ore “Non si può pensare che gli ispettori del lavoro riescano a controllare ogni azienda e ogni cantiere; serve la collaborazione di tutti gli attori per espellere dal sistema produttivo i soggetti che utilizzano la sicurezza sul lavoro come leva per ridurre i costi”.
Se vogliamo venirne a capo è da qui che occorre partire. Il settore del commercio in Italia occupa 3,4 milioni di addetti distribuiti in poco più di un milione di imprese attive. L’infortunistica nel comparto è relativamente bassa. Sul piano generale di tutto il mondo del lavoro nel 2023 le denunce di infortunio presentate all’Inail sono state 585.356, in calo del 16,1% rispetto alle 697.773 del 2022 secondo il periodico Dati Inail, curato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto, che analizza i numeri provvisori delle malattie professionali e degli infortuni denunciati nel 2023, rilevati alla data dello scorso 31 dicembre.
I primi dati del 2023 evidenziano che il calo del 16,1% delle denunce di infortunio è la sintesi del -19,2% dei casi avvenuti in occasione di lavoro, passati dai 607.806 del 2022 ai 491.165 del 2023, e del +4,7% di quelli occorsi in itinere, nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il posto di lavoro, da 89.967 a 94.191. I decessi denunciati sono ancora più di mille. Rispetto all’anno precedente, da 1.090 a 1.041. Al netto dei decessi da Covid-19, che si erano già quasi azzerati nel 2022, la riduzione degli infortuni mortali resta comunque alta, di poco oltre il 4%. “A diminuire sono solo i decessi avvenuti in itinere, dai 300 del 2022 ai 242 del 2023, mentre quelli in occasione di lavoro sono stati nove in più, da 790 a 799. Il 91,7% dei casi mortali riguarda gli uomini, con un calo dell’1,5% rispetto al 2022, e quasi la metà dei decessi rientra nella fascia tra i 50 e i 64 anni.
Trentasei le vittime in 15 infortuni mortali “plurimi”. Gli infortuni mortali “plurimi”, in cui hanno perso la vita due o più lavoratori, nel 2023 sono stati 15 per un totale di 36 vittime, 22 delle quali con mezzo di trasporto coinvolto. Nel 2022 erano stati denunciati 19 incidenti plurimi per un totale di 46 decessi, di cui 44 stradali”. Nei primi sei mesi dell’ultimo quadriennio sono state registrate 2021 vittime sul lavoro in Italia: 570 gli infortuni mortali nel 2020, 538 nel 2021, 463 nel 2022 e 450 nel 2023. Per quanto concerne i settori lavorativi più colpiti, nel 2020 sono Attività Manifatturiere, Trasporti e Magazzinaggio e Sanità e Assistenza Sociale ad aver fatto rilevare il maggior numero di decessi, quello della Sanità, chiaramente connesso all’anno di esordio dell’emergenza sanitaria; nel 2021 sono Costruzioni, Attività Manifatturiere e Trasporti e Magazzinaggio i settori con più vittime.
Mentre nel 2022 e nel 2023 i primi tre settori con più morti sono stati Trasporti e Magazzinaggio, Costruzioni e Attività Manifatturiere. Per questo preoccuparsi della sicurezza non significa limitarsi a considerare gli adempimenti formali previsti dalla legge. Ha ragione Giampiero Falasca: “Sono troppi i luoghi di lavoro dove la sicurezza è vissuta come un optional, una seccatura che rallenta l’operatività quotidiana; un approccio che porta a considerare come fatalità infortuni che, invece, si potrebbero evitare con una buona prevenzione”. E conclude: “Il discorso cambia se il decentramento produttivo viene utilizzato per eludere gli standard normativi: le catene di imprese prive di reale consistenza imprenditoriale, l’utilizzo di manodopera irregolare, i pochi investimenti nella formazione e nelle strutture aumentano in modo considerevole i rischi per la sicurezza”. Purtroppo di fronte alle tragedie che si ripetono con una frequenza impressionante ci troviamo a porre sempre gli stessi interrogativi. Questo non è più accettabile.
Basterebbe rendere obbligatori le misure di sicurezza ogni 2 anni,pena la chiusura della azienda di qualsiasi categoria lavorativa e senza aiuti di cassa integrazione nel caso di chiusura delle aziende che non hanno messo i dispositivi secondo le norme
È tutto il sistema che è marcio. Dai contratti voluti e firmati dagli stessi sindacati. Le regole ci sono ma non vengono osservate così pure i controlli sulle aziende e sui materiali e sugli appalti… I corsi di sicurezza fatti on line … Nessuna pratica di formazione sui reali rischi da toccare con mano o constatare di persona… Inutile infilare la testa sotto la sabbia o puntare il dito… Tutto ciò è alla luce del sole tutti sanno ma realmente nulla si fa…. Perché la macchina funzioni bisogna oleare il sistema….e quando accade la disgrazia….si cercano gli unicorni.