La campagna elettorale sta ormai entrando nel vivo. I diversi schieramenti avanzano le loro promesse. Ciò che appariva impossibile, vista la dimensione del nostro debito pubblico, viene proposto come fattibile e a portata di mano.
Colpiscono tre cose. Innanzitutto la fervida immaginazione pre elettorale dei partiti. La costante sembra essere quella di promettere di abolire ciò che è stato fatto dal Governo in carica e, contemporaneamente, proporre come elemento caratterizzante del proprio agire ciò che non è mai stato fatto.
Ciascuno espone la propria merce al pubblico supponendo che l’elettore si senta ingaggiato e quindi disponibile a investire, in quella direzione, il proprio voto. È singolare la numerosità delle proposte sul tappeto.
Sarebbe interessante analizzare non tanto la loro qualità ma la ragione che ha spinto gli spin doctor a lanciare i loro clienti in questa gara a chi la spara più grossa.
La seconda cosa che colpisce è la centralità del tema del lavoro. Argomento sottratto con la forza ai sindacati, alle organizzazioni datoriali e alle mediazioni conseguenti. La contesa elettorale sembra coinvolgere tutto l’arco della materia.
Le pensioni, il reddito pur diversamente declinato, le tipologie del lavoro, il welfare e le tasse per le imprese. Il tratto comune è la grande nostalgia del 900 che pervade ogni proposta.
La Politica, estranea da sempre al mondo del lavoro e delle imprese, fantastica un improbabile ritorno al passato dove a tutti sembrerebbe assicurato un reddito, un lavoro stabile, una pensione decorosa e in tempi più ragionevoli rispetto alla Fornero, un welfare adeguato e un fisco dove, pagando tutti, tutti potranno pagare meno.
A 23 milioni di lavoratori e a 3 milioni di disoccupati variamente intesi e certificati dall’ISTAT la Politica cerca di raccontare che tutto ciò che è avvenuto dalla grande crisi in poi è sul punto di terminare.
Che i fenomeni strutturali che stanno modificando i paradigmi economici e sociali con cui la nostra società è cresciuta e si è sviluppata sono esclusiva materia da convegni e che le risorse per attuare tutte queste promesse ci sono.
Basta un voto….
La terza cosa che colpisce è l’afonia dei corpi intermedi in questa fase. Forse storditi dalle mille promesse in campo il loro silenzio è assordante. Oggi hanno rotto la consegna due “irregolari” della Politica e del Sindacato. Carlo Calenda e Marco Bentivogli.
Hanno presentato un programma credibile sul versante industriale proponendo, di fatto, quello che dovrebbe essere il “Patto di fabbrica”. Lavoro, competenze e industria declinate in modo nuovo, collaborativo e convergente.
Vedremo se Confindustria, insieme a CGIL, CISL e UIL, coglieranno il potenziale presente in quel documento o preferiranno narcotizzarne gli aspetti più innovativi e partecipativi.
È un passo importante ma non sufficiente. Il 60% del PIL è prodotto dal terziario e, su questo, manca ancora una visione Paese credibile. Il punto sta qui.
O le grandi organizzazioni di rappresentanza si muovono su punti condivisi indicando contenuti e contesto di riferimento o resteremo al palo sovraeccitati da un dibattito pre-elettorale che, lo si voglia ammettere o meno, non porta da nessuna parte.