Una multinazionale decide di delocalizzare la propria produzione in Slovacchia. Sembra una mossa violenta e improvvisa a cui è difficile replicare. Lavoratori e sindacati reagiscono cercando anche di mediatizzare la vicenda per coinvolgere l’opinione pubblica. Le istituzioni annaspano.
È parso chiaro fin da subito che la vicenda Embraco sarebbe stata di difficile composizione. Da una parte una multinazionale che decide di chiudere una attività produttiva in provincia di Torino, licenziare quattrocentonovantasette lavoratori e trasferire la produzione di motori per frigoriferi altrove.
Dall’altra la difficoltà del sindacato metalmeccanico e il dramma dei licenziati e che si troveranno, alla fine della procedura, senza lavoro e senza stipendio. In mezzo le istituzioni che, in piena campagna elettorale, si trovano private di quella autorevolezza e capacità di proporre una mediazione possibile.
Aggiungo la dichiarazione tombale del ministro Carlo Calenda: “Considero l’atteggiamento di Embraco irresponsabile, inaccettabile e contrario agli impegni assunti nel corso di vari incontri al Ministero”.
C’erano a disposizione 45 giorni più altri 30 per esplorare tutte le alternative possibili. Ad oggi non hanno sortito alcun risultato.
Sergio Cofferati, europarlamentare, ha presentato addirittura un’interrogazione alla Commissione Europea per chiedere: “Quali azioni si intendono intraprendere per assicurare che aziende sostenute pubblicamente non possano poi delocalizzare l’attività per massimizzare i profitti?”
Ma come si è arrivati a questo punto? Anche perché, in queste situazioni, basta poco per far esplodere la rabbia dei lavoratori. Non ultima quella scoppiata, pochi giorni fa, tra l’azienda e i lavoratori che hanno accusato la multinazionale di licenziare a Chieri, mentre, nello stabilimento in Slovacchia aumentano gli stipendi. Polemica fortunatamente rientrata perché decisamente inconsistente ma sintomatica del clima di tensione.
È da considerare che stiamo parlando della regione di Prešov. Quella con gli stipendi più bassi del Paese. Lì si guadagna il 20% in meno del resto della Slovacchia. Circa 750 euro/mese.
Nel frattempo però Embraco, sta completando, nel suo nuovo impianto, situato a Spisska Nova Ves (nella regione di Prešov) una nuova linea di assemblaggio che darà lavoro a circa 300 nuovi dipendenti ormai nella fase finale di assunzione. Sostituiranno, di fatto, quelli licenziati nello stabilimento italiano.
L’azienda ha investito 13,5 milioni di euro per questa linea, che produrrà compressori di nuova generazione. I lavori sono iniziati, sembra, nel Maggio 2010. Quindi la decisione di chiudere La fabbrica piemontese risale almeno a quell’anno.
E in tutti questi anni nessuno ha detto o saputo nulla di tutto questo? Personalmente lo trovo molto strano. Embraco sembra abbia ottenuto incentivi per un totale di 6,5 milioni di euro dallo Stato fin nell’agosto dello scorso anno. Di questi, oltre 2 milioni di sgravi fiscali.
E questo, al di là delle polemiche sulla mancanza di comunicazione ai sindacati in tutto questo tempo, dimostra però che l’azienda non ha alcuna intenzione di fare marcia indietro sulla delocalizzazione quindi la partita, se ci sarà, si potrà giocare solo sulla reindustrializzazione del sito produttivo dismesso. E sulla quota di responsabilità che Embraco intenderà assumersi per aiutare questo processo. Compresa la disponibilità o meno di tenersi in carico i lavoratori in cassa integrazione come da richiesta dei ministri Giuliano Poletti e Carlo Calenda.
L’unica nota positiva è che Embraco ha incaricato Ranstad HR Solutions di valutare eventuali manifestazioni di interesse da parte di società disposte a investire a Riva di Chieri. Sempre secondo l’azienda ci sarebbero alcuni soggetti interessati.
È poco? Però è l’unico punto su cui si può lavorare. La discussione ora torna a Roma, dove è previsto un incontro al Ministero per l’8 febbraio. Forse occorrerebbe spingere sul versante istituzionale affinché l’impegno alla reindustrializzazione veda una maggiore corresponsabilizzazione dell’azienda.
I licenziamenti sono legittimi e la procedura è stata rispettata e di questo dovrebbe essere dato atto all’azienda. I toni, a mio parere, andrebbero però rapidamente abbassati.
Farsi carico della cassa integrazione per sostenere un processo di reindustrializzazione altrui, tutt’altro che definito nel percorso e nelle modalità, presenta dei rischi che l’azienda forse non se la sente di correre.
Cosa possono mettere sul tavolo i Ministeri coinvolti per ovviare concretamente questi rischi? Coinvolgere Whirpool come sostengono alcuni sindacalisti, proprietaria di Embraco può essere un arma a doppio taglio. Può funzionare come arma di pressione o può irrigidire ulteriormente l’azienda nella fase finale della procedura. È difficile pensare che un progetto ormai completato e quasi operativo possa essere rimesso in discussione da chi lo ha promosso. Semmai potrebbe essere utile per agevolare altre soluzioni perché è difficile immaginare una sconfessione del management di Embraco.
Purtroppo lo spazio di manovra è molto ristretto e i tempi non giocano a favore di una soluzione meno negativa di quella prospettata. Vedremo se le parti, istituzioni comprese, sapranno gestirli costruttivamente.