Ci sono tanti modi per valutare un’azienda. C’è chi guarda i bilanci, chi la pubblicità, chi come reagisce quando un cliente pone una richiesta. Come un’azienda affronta il problema, come lo gestisce e come cerca di risolverlo. Vale per tutti ma soprattutto dovrebbe valere con clienti che hanno un livello di fidelizzazione importante .
Sotto questo punto di vista Fastweb non c’è proprio. Sono cliente da oltre dieci anni e ricevo ogni giorno offerte dalla concorrenza. Avendo una mail Fastweb tengo duro. Non mi va di cambiarla. Succede però un fatto inusuale che mi costringe a pormi un problema. Decido di traslocare da Corbetta a Milano. Circa trenta chilometri. Chiedo a Fastweb il trasloco della linea. Non mi sembrava una richiesta complicata.
Il primo tecnico dell’azienda con cui ho parlato ha cercato in tutti i modi di convincermi a non fare il trasloco della linea ma a chiudere il contratto e farne uno nuovo. “L’azienda non ama i traslochi di linea, preferisce i contratti nuovi”. Ho subito pensato che il sistema premiale aziendale sia costruito sui nuovi clienti e non a mantenere quelli che già ci sono.
Dopo una discussione infinita capisce che il numero di telefono e la mia mail per me sono importanti e si rassegna. “Però sappia non sarà una cosa breve” sembra dirmi “io te l’ho detto, adesso fatti tuoi”…. Dopo un mese mi ricontattano per convincermi ad annullare la prima richiesta di trasloco. “È da rifare” sentenzia un secondo responsabile. Argomenta tecnicismi sulla presenza della fibra (la casa è nuova e la fibra c’è).
Ne parla come come fossero già sotto casa mia pronti al collegamento. Mi chiede di rifare la procedura. Capisco che devo abbozzare quindi accolgo la richiesta e rifaccio la domanda.
Da quel momento in avanti scopro l’eccessiva ridondanza di personale di Fastweb. E’ un continuo cambio di interlocutori tra assistenza clienti, social, tecnici nei negozi. Ciascuno capisce la situazione, solidarizza e mi garantisce un pronto richiamo visto che il problema ….. non è di sua competenza.
In quei giorni chi mi contatta da Fastweb (anche tre volte in un giorno) mi esprime il suo disappunto e il suo rammarico e mi promette, perentorio, una chiamata successiva di chi è sicuramente in grado di risolvere il problema. Ovviamente non è così.
Nel frattempo gli operatori concorrenti forniscono in tempi ragionevoli il servizio ai vicini. Ogni tanto arriva una telefonata che cerca di addossare sul sottoscritto il problema. “Ma perché ha chiesto il trasloco della linea, era meglio chiuderla e aprire un contratto nuovo, poi il numero di telefono lo dovrà cambiare comunque”.
Tutto torna al via, come sempre.
Ovviamente nel frattempo pago un servizio che non uso da tre mesi e non dispongo del servizio che mi serve. E siamo solo a trenta chilometri da Milano. Mal contati ho parlato inutilmente con almeno venti persone.
Se mi avessero detto subito: “le consigliamo di cambiare operatore” l’avrei vissuta come un segno di grande serietà. Così non riesco neppure ad arrabbiarmi.
Un’azienda così impegnata a fare chiacchiere con i clienti come fonte principale del business mi fa quasi tenerezza.
Mi immagino le riunioni sulle performance della concorrenza, la formazione su come si gestisce il cliente, le indagini di clima e di gradimento. Quando sono tra di loro gli uomini Fastweb probabilmente pensano di essere un’azienda normale. Non un’azienda che perde un cliente dopo dieci anni così stupidamente.
È così che si fanno felici azionisti e top manager?
Magari alla prossima convention alla slide che misura la soddisfazione del cliente qualcuno rifletterà. Ci credo poco. La serietà di un’azienda si misura dalla capacità del gruppo dirigente di capire la realtà è i problemi. Non limitarsi ad un uso strumentale dei social basandosi sul fatto che il cliente, fino ad ora è stato troppo pigro per cambiare.
Tre mesi (e non è finita) di passione e di costi con la concorrenza che mi scrive ogni giorno proponendomi servizi e tariffe interessanti.
Fossi nel loro amministratore delegato organizzerei un corso molto semplice: Il cliente questo sconosciuto.
Lasciamo perdere.