“Pretese irrealistiche” per i sindacati, “finalizzate unicamente a far naufragare una già complessa negoziazione”, a dimostrazione della “ritrosia patologica” di Federdistribuzione “a dare il giusto riconoscimento in termini economici ai dipendenti delle aziende sue associate” (https://bit.ly/3vuvg2T). Per Federdistribuzione “la necessità, sempre nel rispetto dei diritti acquisiti, di andare incontro ai cambiamenti intervenuti negli ultimi anni nell’organizzazione del lavoro delle imprese e con l’obiettivo di renderne più puntuale l’applicazione” (https://bit.ly/3vmweym).
Da una parte i sindacati “illusi” che la firma con Confcommercio fosse ritenuta un passe-partout sufficiente ad esorcizzare 45 mesi di attesa e dall’altra, Federdistribuzione che fuori tempo massimo rilancia alla ricerca della sua distintività a questo punto, più formale che sostanziale. Non sarà certo lo sciopero dichiarato, pur legittimo, a preoccupare le singole insegne della GDO. Il punto vero è che Federdistribuzione e le aziende che ne determinano la linea in campo sindacale non accettano il ruolo da “gregario non protagonista” che i sindacati hanno pensato possibile assegnare a loro.
Confcommercio con la firma del CCNL (vedi art. 258) si è “autoproclamata”, con l’avvallo del sindacato di categoria, depositaria esclusiva della titolarità della rappresentatività dell’intero terziario. E quindi ha di fatto stabilito che, il CCNL firmato da Federdistribuzione, indipendentemente dal suo peso maggioritario nel settore della GDO, dovrà avere un ruolo gregario e subalterno al suo. E questo oltre ad irritare i titolari ne limita fortemente il raggio di azione. Non va dimenticato che il CCNL scaduto 45 mesi fa era stato firmato addirittura nel 2015. E, non avendo subito modifiche nelle sue normative principali la sua arcaicità risale ad ere geologiche ancora precedenti. Nel frattempo la vita nelle insegne della GDO a differenza dei piccoli negozi di vicinato o nelle realtà del cosiddetto “terziario di mercato”, è cambiata in profondità. Penso all’ inquadramento, oggi completamente stravolto rispetto ad allora, penso alla polivalenza, alle prestazioni richieste e al loro riconoscimento, agli straordinari e al loro pagamento, al peso del PT involontario. Penso ai modelli organizzativi attuali. Lo stesso contenzioso derivato dalla mancata applicazione formale di parti del testo del CCNL è crollato dimostrando la necessità di un aggiornamento e di una profonda manutenzione del ruolo del contratto nazionale sempre purtroppo rinviata.
Oggi la distanza tra testo contrattuale e realtà è talmente profonda che spinge i sindacati a volgere lo sguardo altrove. Salvo pretendere di lasciare tutto com’è sul piano formale. Un errore. È vero. Il CCNL firmato da Federdistribuzione è, nel testo, una effettiva ricopiatura letterale di quello di Confcommercio da cui è nato ma la sua sovrapponibilità finisce qui. Questo perché lo stesso testo messo a terra in luoghi e/o settori diversi in termini di organizzazione, dimensione e cultura, genera costi, comportamenti e crea contraddizioni diverse.
Il CCNL firmato da Confcommercio ha complessivamente un altra finalità. È una sorta di “salario minimo” ante litteram per milioni di persone di piccole aziende. Non ha alcun dimensione prescrittiva concreta né sul piano normativo né sul piano dei comportamenti richiesti. Dipende dalla realtà organizzativa in cui viene adottato. Parte della sua fortuna è proprio derivata dalla sua fliessibilità e alla sua adattabilità ai diversi contesti. Infine prevede un welfare sanitario obbligatorio e un welfare previdenziale facoltativo. Questi si, sono elementi unificanti indipendenti dalla dimensione aziendale o dal comparto. Un CCNL di natura confederale come quello firmato da Confcommercio (firmato cioè da una confederazione che raggruppa diverse categorie) si cala quindi nelle singole realtà aziendali in modo differente.
Aggiungo che lo stesso, prima di rispondere alle specifiche esigenze della singola azienda associata o meno, si rivolge innanzitutto ad una platea di funzionari politici e confederali che intermediano le necessità delle imprese. Decidere che è arrivato il momento di firmare o meno è quindi una decisione politica che la confederazione si assume indipendentemente dalle singole realtà associate. Per questo il ritardo di oltre quattro anni era “politicamente” ingiustificabile. Gli ottimi tecnici preposti al rinnovo, ricevuto l’input politico, hanno confezionato il testo e lo hanno negoziato con le controparti. Cosa e quanto di quel testo viene poi utilizzato dalle aziende (salvo gli aspetti salariali o legati ai versamenti del welfare) non è più un loro problema.
Per Federdistribuzione la musica è completamente diversa. Quando Federdistribuzione rivendica una sua “distintività” parla anche di questo. Staccarsi da quello firmato da Confcommercio è stata la parte meno complicata. Il difficile viene ora. Non è più lo stesso contratto ma non ha ancora il profilo richiesto. Il sindacato sa benissimo che lo scontro di questi anni che ne ha impedito il rinnovo ha dietro questo problema. Può essere ancora ulteriormente rinviato ma prima o poi dovrà essere affrontato pena l’obsolescenza definitiva del ruolo di questo CCNL. Chi dava per scontato la firma in queste ore (come pure il sottoscritto) si è dovuto ricredere.
Le aziende aderenti a Federdistribuzione sanno che il CCNL va chiuso ma sanno anche che chiuderlo come una semplice fotocopia di quello di Confcommercio ne segnerebbe il destino. Soprattutto in tempi di ridefinizione dei criteri sulla rappresentatività. E questo dovrebbe saperlo bene anche il sindacato. Questi cinque anni di tira e molla sono certamente figli del contesto socio economico e della rigidità di entrambe le parti ma sono anche il prodotto dell’incapacità di misurarsi insieme su dove sta andando il settore della Grande Distribuzione. Il sindacato, confondendo i ruoli in commedia, pensa che Confcommercio e Federdistribuzione siano due semplici controparti con il CCNL scaduto.
Con la prima ha chiuso sul salario in modo soddisfacente accompagnando il resto con un elegante esercizio di stile fine a sé stesso che non passerà alla storia. Con la seconda l’esercizio è più complesso perché il CCNL si cala nella vita vera e coinvolge aziende e persone. Difficile cavarsela con una fotocopia. Occorre quindi uno sforzo maggiore da entrambe le parti…
Con tutto il rispetto ma chi ha scritto l’articolo non ha mai lavorato in questo settore…
Solo trent’anni. Tu da quanto?
Buonasera, non capisco come alcune delle proposte datoriali, quali l’inquadramento per i movimentatori di merci al V livello anzicchè IV, o degli store manager di negozi di prossimitá sotto gli 800mq al III livello, possano essere considerate risposte ad un contesto di mercato in evoluzione quanto piuttosto uno svilimento di figure professionali che operano negli stessi termini dei loro omologhi in confcommercio, ma si troverebbero a percepire una remunerazione inferiore. se davvero l’oggetto del contendere è l evoluzione e la flessiblitá delle figure professionali, non riesco a capire perchè questa debba passare per il sotto inquadramento, considerando che nel contesto attuale, dove si richiede all’operatore conoscenza della rotazione della merce, del suo riordino, delle sue profonditá di stock etc.,anche la mera attivitá di rifornimento richiede un certo livello di competenza; senza contare che, nel mondo moderno fatto di smart working e settimane cortissime, è estremamente difficile reperire risorse disposte a lavorare 6/7, le feste le domeniche e tutto quello che ne consegue,a me, da lavoratore del settore, pare piuttosto che si stia sottovalutando enormemente la componente umana, illudendosi che in futuro non meglio precisato, se ne potrâ fare a meno. la forza del settore sono ancora le persone, sopratutto quelle che riescono ad appassionarsi al lavoro nonostante i suoi enormi contro. La dimostrazione di questo confdistribuzione ce l ha in casa, c è una catena che con la sua politica di deumanizzazione dell operatore, rifornimenti notturni aperture h24 non ha raccolto questo grandi risultati. Mi scusi se mi sono permesso questo sermone, sarei curioso, qualora volesse rispondermi, della sua opinione e di quali secondo lei sarebbero le giuste misure per ottenenere qualcosa di equo e funzionale per tutti. buon lavoro
E semplicemente vergognoso che le aziende della gdo piangono visto che durante la pandemia hanno fatto soldi a palate e con la inflazione galoppante hanno aumentato i prezzi a dismisura.Non firmare il contratto del commercio dal 2019 e uno scandalo
Penso che in questo articolo si dimentichi di dire che questa organizzazione rappresenti una minima parte del terziario. Si fa grande mostrando brand importanti. Si dovrebbe fare un ragionamento forse più ampio sul fatto che azienda così famose abbiano poi un monte retributivo così basso. Domandarsi come facciamo azienda così a gestire centinaia di mq con 3/5 dipendenti . Fa senso pensare che in fondo un Oviesse o una Lidl nonostante il grosso brand in molte zone d Italia lascerebbero a casa giusto qualche decina di lavoratori..e allora si domandi. Dopo l.uscita di federdistribuzione da Confcommercio ci si aspettava chissà qualche cataclisma per poi rendersi conto che è venuto solo lo zero virgola qualcosa del totale dei dipendenti del terziario.
Federdistribuzione rappresenta la GDO. È ha un suo contratto nazionale. Come Federmeccanica rappresenta l’industria metalmeccanica. Cerchiamo di non fare confusione. Il terziario di mercato è un altra cosa.
240€ in più a regime e demansionare i dipendenti bella prospettiva