Festività nel commercio e rischiose nostalgie fordiste

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Ogni volta che si avvicina Ferragosto, Natale o il Primo Maggio riesplode puntualmente la polemica sulla liberalizzazione delle aperture dei centri commerciali. Sindacati e associazioni di categoria si confrontano sciorinando dati e argomentazioni a favore delle proprie tesi assolutamente inconciliabili. Quindi un dialogo tra sordi. La domenica e nelle festività lavorano, da sempre, centinaia di migliaia di persone. Nella sanità, nel turismo, nella pubblica amministrazione, nella logistica, nell’alimentare. Ovviamente tutti preferirebbero non lavorare in quei giorni ma nessuno si è mai scandalizzato. Nella Grande Distribuzione non è così. Nei settori sopra citati il motivo principale del lavoro festivo/domenicale è dato dall’indispensabilità di quei servizi per il cittadino, o per l’utente. Nella società in cui siamo cresciuti, organizzata per attività e sostanzialmente fordista, si andava tutti o quasi in ferie in agosto, si faceva la spesa al sabato, si lavorava dalle 8 alle 18.00 o a turni, ci si riposava la domenica. Ovviamente per molti è ancora così, oggi. Quindi i servizi che sostenevano quell’organizzazione sociale avevano una ragione per essere proposti in un certo modo, mantenuti e accettati nel tempo. Bisogna dare atto che, festività civili e religiose a parte, in questi anni si sono fatti molti passi avanti, tra le parti, per rendere meno fordista possibile il lavoro nella GDO trattandosi di negozi aperti al pubblico e non di reparti di una fabbrica. Dal part time ad una diversa distribuzione degli orari di lavoro individuali, da una seria regolamentazione del diritto di sciopero per evitare intralci alle vendite fino alla decisione di non svolgere assemblee durante l’orario di apertura al pubblico dei punti vendita. Tutte cose importanti che dal fordismo contrattuale facevano discendere una cultura precisa: mettere al centro, non il consumatore, ma la tutela del lavoratore come in una qualsiasi azienda manifatturiera. I contratti aziendali hanno trattato questi argomenti per oltre quarant’anni. Tutto questo non ha fatto i conti con l’evoluzione dei modelli di consumo e dei comportamenti di acquisto che nel corso degli anni sono profondamente cambiati spingendo le imprese a modificare le metodologie di vendita, il rapporto con il cliente, il livello di servizio. E senza mettere in conto le vendite on line, i servizi di consegna a domicilio, le casse automatiche e l’arrivo ormai imminente dei grandi player con le loro piattaforme che accentueranno ancora di più i cambiamenti del settore. Alcune aziende si stanno attrezzando con forti investimenti in formazione, nuovi modelli organizzativi che prevedono aperture h24, nuovi format di vendita e politiche commerciali molto aggressive. Domeniche e festività fanno parte di queste politiche. Un punto però resta ineludibile. Occorre procedere con una certa rapidità al superamento di un’architettura contrattuale costruita nelle singole aziende negli anni del “fordismo commerciale” mutuato dalla contrattazione aziendale tipica della cultura del settore industriale. Condizione indispensabile per le realtà del settore ma difficile da affrontare per il sindacato di categoria perché, negli anni, ha impostato una politica nelle singole realtà  tesa a salvaguardare, quasi esclusivamente, una o due generazioni di lavoratori (quelle che, di fatto, hanno costruito il sindacato nella GDO) “abbandonando” di conseguenza, al loro destino, i nuovi assunti e quindi i più giovani anche a seguito delle nuove forme di flessibilità in entrata che le aziende hanno utilizzato nel tempo. E questo ha determinato in molte realtà una spaccatura generazionale difficile da recuperare. Non servono grandi indagini di mercato per prendere atto che i consumatori preferiscono orari più ampi possibili di apertura sia giornaliera che settimanale in attesa, forse, di abituarsi a comprare direttamente dal divano di casa. E questo credo sia un punto ineludibile da cui partire. Le aziende, soprattutto in una fase di crisi dei consumi e quindi con possibili conseguenze sulle grandi superfici di vendita dove sono impiegati molti addetti devono poter disporre di tutti gli strumenti utili a sostenere i fatturati, i margini e di conseguenza l’occupazione. La tipologia dell’offerta, i modelli organizzativi, gli orari di apertura al pubblico, le campagne promozionali non possono essere materie di negoziazione sindacale. Le festività rientrano inevitabilmente in queste prerogative dipendenti dalle singole imprese. Chiarito questo punto su cui non ci devono essere equivoci di sorta ci possono essere specificità locali o problemi legati alla concorrenza commerciale che possono determinare nella singola realtà, anche su sollecitazione delle istituzioni, modalità applicative che tengano conto di sensibilità, opportunità, interessi tali da far propendere chiusure singole specifiche gestite a livello locale. Ma esclusivamente per ragioni di opportunità commerciale. Non altro. Questo perché non bisognerebbe mai dimenticare l’affermazione di Sam Walton, fondatore di Wal Mart, “esiste solo un capo supremo: il cliente, che può licenziare tutti nell’azienda, dal presidente in giù, semplicemente spendendo i suoi soldi da un’altra parte.”

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