GDO. Crisi e riorganizzazione di un comparto economico e ruolo delle parti sociali

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L’esperienza dovrebbe insegnare nuovi approcci a problemi complessi ma, purtroppo, non è sempre così. Due esempi. Poche settimane fa, Confcommercio e i sindacati di categoria, hanno annunciato lo spostamento della scadenza del loro CCNL a dicembre 2019 come fosse una cosa auspicabile e scontata.

Contemporaneamente in queste ore le organizzazioni sindacali manifestano preoccupazione e annunciano presidi, scioperi e manifestazioni in vista del prossimo incontro al MISE con Auchan sul futuro, già scritto,  dell’ex colosso francese. Due avvenimenti apparentemente distanti dai quali si possono però trarre importanti indicazioni sulla stato delle relazioni sindacali e sulla necessità di imprimere un salto di qualità nell’insieme del comparto. Non solo per Confcommercio, ovviamente.

Nel primo caso il messaggio è chiaro: la chiusura del ciclo contrattuale in corso è stata caratterizzata quasi esclusivamente sul costo del lavoro con una estenuante rincorsa al ribasso tra associazioni datoriali e sindacati confederali. Le masse  salariali definite nei ben quattro contratti firmati sono risultate diverse e quindi, a posteriori, si è dovuto intervenire per modificare tranche e scadenze alla ricerca di un equilibrio che riavvicinasse i costi per le imprese che applicano i differenti CCNL. Altrimenti si sarebbero verificati consistenti esodi associativi verso i CCNL più convenienti.

Un’operazione intelligente sul piano datoriale (meno per i lavoratori del principale CCNL che si trovano a dover pagare il conto per responsabilità altrui ) che, mettendo una pezza sulle superficialità passate, segnala inevitabilmente il perimetro su cui si giocheranno i futuri rinnovi per le diverse associazioni datoriali: il costo del lavoro.

E’ ovvio che la presenza di quattro contratti nazionali in concorrenza tra loro porta ad una banalizzazione dei contenuti. Vince sempre chi costa meno. Questo, in prospettiva,  non è un bene né per le organizzazioni datoriali né per i sindacati confederali.

La riorganizzazione e il futuro del comparto della GDO restano così  un problema scaricato sulle singole imprese e sui loro lavoratori, così come i temi più innovativi che, di fatto, vengono tenuti fuori dalla porta sine die sacrificati dalla rispettiva voglia di dumping sui costi.

Salutare come un buon risultato l’accordo sulla proroga come ha fatto Confcommercio e alcune organizzazioni sindacali di categoria significa rassegnarsi a ricoprire un ruolo marginale e insufficiente in un momento di grandi cambiamenti che coinvolgono i propri associati. E’ il contratto nazionale che ne legittima il ruolo. Rinviarne la scadenza come fosse solo una partita burocratica fotografa la volontà dei contraenti.

Altra cosa sarebbe stata finalizzare questo (legittimo) rinvio alla richiesta di apertura di un tavolo al MISE sulla crisi del comparto. In quella sede,  Confcommercio, insieme  alle altre associazioni datoriali firmatarie di contratti GDO e i sindacati di categoria coinvolti dal necessario ridisegno del comparto,  avrebbero potuto lavorare per  mettere a disposizione dei loro associati e dei lavoratori un quadro di riferimento condiviso sulla gestione delle  conseguenze (ricollocamento nel settore, alternative per i siti in dismissione, formazione, costi, strumenti), sui potenziali accorpamenti e sinergie e sui passaggi propedeutici agli incontri che successivamente le singole imprese avrebbero potuto poi sviluppare nei loro incontri specifici. A cominciare dalle vicende aperte e dai problemi che sono presenti in molte realtà del settore.

Le associazioni datoriali  lo hanno fatto sulle festività e sulle domeniche trovando un punto di convergenza tra di loro, lo avrebbero dovuto  fare anche sull’evoluzione del comparto e sulle inevitabili conseguenze tra le quali, il problema delle aperture, ne costituisce un aspetto che per alcuni sottosettori non è di poco conto.

Pensare che, ad esempio,  la crisi di Auchan si risolva semplicemente scaricandola su Conad è una illusione che rischia di costare cara al sindacato ma anche alla credibilità delle associazioni datoriali coinvolte. Quello che le parti sociali faticano a  comprendere è che l’apporto di Conad, nell’operazione Auchan, non è il problema ma rappresenta una delle tante soluzioni possibili alla crisi del settore e dei formati che però andrebbero consolidate e accompagnate proprio per la loro complessità.

Le prima reazioni  del sindacato sono, purtroppo, pavloviane. Proteste e preannunci di scioperi che lasciano il tempo che trovano e disorientano i lavoratori. Auchan sta già facendo le valigie. Gli oltre sedicimila lavoratori, giustamente preoccupati,  hanno saputo della cessione  da una lettera ricevuta alla metà di maggio da Edgard Bonte, presidente di Auchan Retail, nella quale il manager ha salutato chiamandosi fuori dalle inevitabili conseguenze sui lavoratori dell’operazione. E questo non dovrebbe essere consentito.

C’è un costo sociale sicuramente compreso nell’operazione di cessione e quindi a carico di Conad ma ci sono una serie di ricadute fuori dal perimetro di responsabilità di quest’ultima che hanno altri indirizzi e costi che dovrebbero essere gestiti in ben altro modo.

E chi se deve occupare se non le parti sociali e il MISE? Se le associazioni non diventano promotrici di soluzioni possibili a cosa servono? Perché non pensare di attivare, ad esempio,  una serie di strumenti di settore  mettendo a disposizione anche i fondi interprofessionali, i differenti sistemi bilaterali in grado di individuare risorse utili alla gestione di casi di ristrutturazione e riorganizzazione del comparto?

Per i dirigenti Auchan, ma non solo, credo che Manageritalia, l’associazione dei manager del terziario,  sarebbe senz’altro disposta a costruire percorsi di formazione e ricollocamento interessanti e utili. Magari propedeutici al prossimo rinnovo del loro CCNL. Se non sbaglio c’è un protocollo firmato da Manageritalia con  Anpal che potrebbe costituire una buona base di riferimento.

Tutto questo può  spingere il MISE ad un ruolo altrettanto importante in termini sperimentali di impegno concreto, politiche attive e di coinvolgimento nelle soluzioni individuate. Insomma i due avvenimenti citati, ad oggi, non lasciano presagire, purtroppo,  alcuna  volontà innovativa. Segnalano un metodo di lavoro ordinario in una fase straordinaria. Personalmente lo ritengo un errore e una sottovalutazione del ruolo delle parti sociali.

La vicenda Auchan non è isolata. Non è la prima e non sarà l’ultima. Prendersela con una delle possibili soluzioni (Conad è una di queste) perché non si comprende la dimensione del problema chiamandosi fuori e rinunciando a percorrere strade nuove non depone a favore di nessuno.

Questi non sono più tempi per vecchie burocrazie autoreferenziali prive di fantasia né per chi vorrebbe scaricare le conseguenze di una profonda crisi di comparto e le conseguenti responsabilità su terzi a cominciare dai “coraggiosi” imprenditori coadiuvati dal middle management che metteranno a disposizione capacità e competenze per provare a rilanciare i singoli punti vendita ex Auchan che verranno loro assegnati.

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