C’è una novità importante sulla piazza di Milano. I punti vendita della grande distribuzione si assomigliano un po’ tutti. Questo è il paradosso che riapre una partita che sembrava ormai chiusa. Pensavo che si puntasse ad essere “diversi”. Non ad essere tutti “uguali”. Credevo che la “prima della classe” restasse a lungo irraggiungibile per una concorrenza che, dopo aver perso per strada il “Viaggiator Goloso” di Unes, (l’unica insegna in grado, in passato, di impensierire Esselunga a Milano) sembrava rassegnata a giocare in un campionato minore.
Ci ha pensato l’insegna di Pioltello a rimetterli in gara. Qualità del servizio, professionalità, convenienza e offerta si stanno schiacciando inesorabilmente verso il basso. Il contagio dell’ossessione sui costi l’ha raggiunta e questo la spinge ad un avvitamento inevitabile nonostante continui ad investire. I vari Esse aperti e ben settanta bar Elisenda testimoniano una volontà. Però i risultati si fanno con i superstore. I mal di pancia interni e nei punti vendita, non lasciano dubbi. Quello che si vede, per chi ha l’occhio attento, è un rallentamento che viene colto dalla concorrenza come un segnale di debolezza evidente su cui lavorare per ridurre il gap.
Milano non era contendibile fino a pochi anni fa. I milanesi non andavano volentieri né al discount né al supermercato: andavano da Esselunga. Al di là delle singole gestioni, nessuna insegna è però arrivata preparata né al lockdown, né alle tensioni geopolitiche e al contesto economico e sociale che sono seguite. Il consumatore ha cambiato atteggiamento. È diventato meno disponibile, più attento, infedele per convenienza e le insegne sono rimaste un po’ spiazzate inseguendo il suo disorientamento e le preoccupazioni per il “carovita” con proclami e strumenti vecchi e inadeguati. Hanno cercato di confondere il cliente. Non di convincerlo. Un autogol complessivo dell’intero comparto. Quest’anno ci penserà l’inflazione a nascondere tutta la polvere sotto il tappeto. Ma presto i nodi verranno al pettine. Milano è l’epicentro di queste contraddizioni. Con i suoi contrasti economici e sociali che non potevano non riflettersi sui consumi e le priorità collegate.
Una delle critiche (fondate) all’operazione Auchan da parte di Conad ha riguardato la rinuncia ad “entrare” in Milano dalla porta principale sfruttando la presenza dei PDV di Auchan per sfidare, proprio sul suo terreno Esselunga e le altre insegne. Quelli che allora avevo chiamato scherzosamente i “cugini di campagna” del Consorzio non si sono però comportati come Federico I Barbarossa nel 1162. Non hanno posto d’assedio né hanno espugnato Milano. Sono girati alla larga. Dietro la “scusa” dell’antitrust si è forse celato uno dei limiti dell’agglomerato Conad che persiste oggi e ne costituisce il vero ostacolo alla sua crescita futura in certe realtà: la mancanza di soci formati, disponibili vogliosi e preparati ad affrontare il mercato fuori dal loro tradizionale perimetro di business. Aggiungo che la rottura con il recente passato rischia di renderli ancora più diffidenti e conservatori di fronte alle sfide e alla complessità del mercato. C’è però da notare che in città e nell’hinterland Conad vanta da lungo tempo “compagni di strada” che conoscono il territorio con i quali potrebbe rilanciare un confronto interessante che guarda al futuro.
A Milano c’è però dell’altro. I discount stanno entrando come un coltello nel burro e insegne “toste” ma sub regionali come Iperal, Tigros, Bennet per citarne alcune, mordono alle caviglie la leadership di Esselunga. Carrefour che, come numero di punti vendita è il secondo su piazza, apre supermercati di vicinato ovunque. A volte sembra voler mettere in concorrenza i franchisee o i PDV stessi tra di loro. Però si muove, sperimenta, cerca di risalire la china. Apre lo store Terre d’Italia e contemporaneamente prova a “travestirsi” da discount. Esprime una vitalità interessante. UNES arranca, purtroppo, e paga una persistente confusione a livello manageriale. Banco Fresco ha fatto capolino in città con grandi progetti e Cortilia e i GAS (gruppi di acquisto solidale) attivi nei quartieri trascinano quella quota di giovani e meno giovani che assegnano, alla qualità e alla consegna a domicilio, una possibilità che inizia a delineare una città dove online e off line sono due facce della stessa medaglia. E questo apre scenari dove servono alleanze, risorse economiche e manageriali importanti per contribuire a ridisegnare la nuova mappa dell’intera struttura commerciale cittadina (e non solo).
Il cambiamento socio economico di Milano è evidente. Da un lato il “Rapporto sulla Città 2022” realizzato grazie al contributo di Fondazione Cariplo ed edito Franco Angeli lo fotografa molto bene: “Disuguaglianze e marginalità, disoccupazione, crisi economica ed educativa, vivibilità degli spazi urbani, sostenibilità integrale dello sviluppo “sono in cima alle preoccupazioni, così come lo sguardo lucido sulle contraddizioni di Milano, sulle promesse disattese e insieme sulle reali prospettive di realizzazione di progetti individuali e collettivi”. Dall’altro la Milano città europea, tutt’altro che un luogo affetto da dipendenza da lavoro e da eventi. In città che attrae milioni di turisti, investimenti e lavora per costruire il proprio futuro ben oltre i vecchi confini cittadini.
Oggi Milano se osservata dal territorio che la delimita occupa solo 182 chilometri quadrati. Sarebbe al quarantatreesimo posto in classifica come capoluogo. Roma ha un’estensione di oltre 1.200 chilometri quadrati. Se però la osserviamo da un altro punto di vista, occupa oltre 1.400 chilometri quadrati, il quarto d’Europa. Ed è quella che comprende realtà come Monza, Brescia, Bergamo fino addirittura Verona (ed è ciò che si vedrà ovunque se si pensa alla realtà che sortirà dalle Olimpiadi invernali del 2026). Milano come volto vincente dell’Italia nelle relazioni con il mondo intero. Ovviamente per sfruttarne il potenziale attrattivo non per mettere in discussione confini amministrativi, territoriali o specifici modelli di vita, relazione e lavoro.
Per la GDO questo ripensamento della città è una sfida importante da cogliere fino in fondo. In Lombardia ci sono oggi oltre 3000 punti vendita nel food. E limito volutamente il discorso a questo perimetro. Non credo aumenteranno in futuro però cambieranno in profondità sia nella qualità degli addetti (provenienza e professionalità) nell’offerta commerciale e nel servizio. C’è molto lavoro trasversale da fare. Qualcuno, sbagliando, aveva sottovalutato il potenziale di cambiamento che si sarebbe portato dietro l’Expo. Spero non si commetta oggi un errore analogo.
Ottima analisi
Grazie.