Grande distribuzione, audizioni parlamentari e ipotesi di soluzione

Tweet about this on TwitterShare on FacebookShare on LinkedIn

Credo che i parlamentari dei 5S non si sarebbero mai aspettati di trovarsi di fronte ad un tema così complesso e di difficile soluzione come quello della regolazione del lavoro festivo e domenicale.

In fondo sembrava tutto così semplice. Lavoratori sfruttati e mal pagati da un lato e piccoli commercianti incazzati per la arroganza della Grande Distribuzione, entrambi parte significativa del loro neo elettorato,  chiedevano a gran voce la chiusura delle domeniche e dei festivi. Procedere manu militari sembrava essere la soluzione migliore. La domenica? Tutti davanti alla televisione o, al massimo, al computer per acquistare sul web o ad ordinare una pizza. Mai più a fare la spesa in un centro commerciale.

Le audizioni parlamentari stanno, al contrario, facendo emergere la realtà per quella che è. Uno spaccato di un settore economico importante che coinvolge decine di migliaia di persone e di attività  grandi e piccole, modelli di consumo in evoluzione, interessi da ricomporre e equilibri da individuare.

E così i parlamentari, anziché interlocutori plaudenti si stanno trovando di fronte ben  quarantacinque soggetti che, a vario titolo e in rappresentanza di specifici punti di vista stanno riscrivendo davanti ai loro occhi una materia che va ripensata, soppesata con grande cautela e sulla quale, le soluzioni possibili non coincidono con le semplificazioni iniziali. Intanto i tempi si allungano. E’ evidente che la deadline non può più essere la fine dell’anno. Occorrerà trovare un compromesso soddisfacente per tutti. E questo compromesso non è materia per gli estremisti di entrambi gli schieramenti.

Dal confronto emergono i tre problemi che hanno innescato il conflitto.

Il trattamento economico e la turnazione dei lavoratori impiegati nei festivi aggravato dalla mancanza del contratto nazionale per le imprese aderenti a Federdistribuzione, l’effetto cannibalizzazione in alcune zone delle grandi superfici utilizzato per dimostrare la mancata crescita dei fatturati e, infine, la crisi dei piccoli commercianti messa (a sproposito) interamente sulle spalle GDO.

Infine permane una sottovalutazione preoccupante non tanto sul ruolo e sulle prospettive espansive dei giganti del web quanto sulla scarsa conoscenza del loro modo di operare nello specifico che, questo sì, può alterare il contesto competitivo ben al di là del tema della mitica webtax agitata più a sproposito che altro.

Sul contratto l’ho già scritto più volte: un boomerang per le imprese e per un intero settore causato dalla miopia di chi ha condizionato un intero comparto per i propri problemi di costo del lavoro inducendo Federdistribuzione a cavalcarli con convinzione in nome e per conto del comparto stesso. Un flop prevedibile. 

Le liberalizzazioni di Monti puntavano a favorire il business e i consumi non a evitare di pagare il giusto ai lavoratori. E questa intransigenza ha alleggerito momentaneamente il conto economico di qualche multinazionale in crisi ma ha condizionato il resto del comparto. Adesso però i buoi sono fuori dalla stalla e il contratto nazionale della GDO non c’è.

Probabilmente l’indicazione delle prossime settimane  sarà di applicare il contratto di Confcommercio o quello, praticamente identico, di Confesercenti cercando di individuare scivoli o altro più per salvare la faccia con i propri associati magari garantendo loro di riprovarci in prossimo futuro. Gli stessi sindacati sono molto preoccupati perché, giustamente, Confcommercio ha dichiarato  di non voler aprire alcun confronto alla scadenza del prossimo CCNL se prima non si risolverà questo contenzioso che provoca un effetto dumping sulle imprese.

Sulla  cannibalizzazione prodotta dalla miopia della politica locale e delle stesse  imprese e sui piccoli commercianti è inutile piangere sul latte versato.  Oggi la realtà ci dice che alcuni format sono in crisi e non è certo aggravandone la situazione che se ne arresta il declino. Così come i piccoli esercizi che oggi sono anche all’interno dei centri commerciali stessi  o anche nei centri storici e quindi non trarrebbero alcun giovamento da questi interventi. Solo una vendetta postuma che, a mio parere, non serve a nulla. Forse sarebbe meglio studiare  quali politiche attive sono utili e possibili per rispondere alle esigenze dei piccoli senza danneggiare la distribuzione organizzata. Occorre trovare un compromesso praticabile. Quindi gli estremisti devono stare in panchina.

Confcommercio punta ad una soluzione semplice ed equilibrata. Nell’audizione si è parlato di festività (3 civili e 3 religiose) su cui è possibile procedere con una chiusura decisa a livello centrale e poi di definire i criteri ispiratori di successivi e ulteriori interventi analoghi a livello regionale che potrebbero essere adottati rispettando le necessità derivate  dal contesto (aree turistiche, tipologie di attività, ecc.).

Certamente nessuno è disponibile ad accettare l’idea delle chiusure domenicali con deroghe su cui insistono ancora i due partiti di maggioranza.  E questo è un bene. La partita è ancora tutta da giocare.

Confcommercio punta ad essere protagonista nella ricerca di una soluzione  e ha messo in campo tutto il suo peso nei confronti della Politica. Contemporaneamente sta lavorando in sintonia con i suggerimenti che provengono direttamente dalle imprese del settore che vogliono giocare un ruolo e non subirlo.

Ha inoltre dichiarato anche la disponibilità a concordare un percorso unitario con altri ma, ad oggi, questo non è stato possibile perché le associazioni più piccole sembrano più interessate a far gestire ad altri la mediazione per mantenere una sorta di intransigenza blablatica ad uso interno.

Niente di nuovo, sotto il sole….

Tweet about this on TwitterShare on FacebookShare on LinkedIn

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *