Chi più chi meno, siamo circondati da punti vendita di ogni tipo. Se prendiamo ciò che è emerso nell’ambito del progetto Urban Pulse 15 del Centro studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne, in collaborazione con Il Sole 24 Ore il 39% dei cittadini italiani ha già oggi punti vendita di alimentari sotto casa. Sia della GDO (iper e supermercati, discount e minimarket) che del piccolo commercio al dettaglio (panifici, macellerie, pescherie, fruttivendoli, e così via). Ad aggiudicarsi la classifica delle città che hanno la possibilità di raggiungere un punto vendita alimentare a piedi, è il Mezzogiorno con ben 14 città tra le prime venti. Le più lontane dall’obiettivo sono invece Belluno, Rieti, Udine e Treviso, dove solo 1 cittadino su 4 può raggiungere a piedi il supermercato.
C’è quindi ancora spazio di resistenza per il piccolo commercio e per la prossimità GDO, franchisee, discount, ecc. e contemporaneamente la necessità di ripensare i punti vendita più grandi al di fuori di quel raggio. Mentre gli esperti continuano a riflettere sui tradizionali formati distributivi e le loro peculiarità il consumatore va dove gli conviene. E se può risparmiare sulla spesa, sul tempo per gli acquisti e sulla benzina, lo fa volentieri. C’è però, come sostiene Andrea Meneghini, in atto un cambio definitivo del concetto di vicinato, e questo cambio passa soprattutto per un travaso del fatturato da un cluster all’altro. Nel caso della Grande distribuzione, ovvero iper e supermercati, discount e minimarket è Torino a detenere la percentuale maggiore di residenti (80,8%) servita da un supermercato entro i 15 minuti. Segue Milano (75,9%), Pescara (75,5%) e Livorno (71%). Diverso è però il rapporto tra centri città e hinterland delle stesse. La grande distribuzione vince nelle aree metropolitane, mentre il commercio al dettaglio si piazza meglio nelle aree extraurbane e soprattutto nel Sud.
“Contano anche le abitudini di consumo differenti – afferma Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro studi Tagliacarne – al Sud si predilige il negozio sotto casa e il rapporto con il negoziante, a cui viene chiesto di conservare il prodotto prescelto o di portarlo a casa. Un tipo di rapporto che, in un Paese che invecchia, sarà (forse) sempre più importante coltivare in futuro, ovunque”. Se la distribuzione alimentare svela una predominanza delle città del Sud, analizzando la situazione dal punto di vista dei servizi di pubblica utilità (scuole, ospedali e servizi di mobilità), il primato torna al Nord. Quindi il modello della “Città a 15 minuti” coniato dallo scienziato franco-colombiano Carlos Moreno, obiettivo di molti sindaci italiani di grandi città, per il commercio, non sarebbe particolarmente complesso da raggiungere. In buona sostanza, quasi ci siamo già.
Al di là dei giudizi sulla vivibilità delle realtà che vantano il primato un dato è certo: in alcune aree c’è una eccessiva sovrapposizione, in altre il piccolo commercio presenta i suoi limiti generazionali e le sue difficoltà di prospettiva ma regge, in altre ancora, i limiti strutturali dei formati maggiori e i luoghi dedicati allo shopping e all’intrattenimento rischiano l’obsolescenza se non ripensati rapidamente. È così mentre Coldiretti, Confagricoltura e Confindustria (Union food) si accapigliano su chi può vantare la rappresentanza della dieta mediterranea nel mondo, Confcommercio, l’altra grande delle big four dell’associazionismo datoriale ci racconta che i consumi alimentari nazionali sono a dieta. E non da oggi. La tendenza al contenimento degli acquisti di prodotti legati all’alimentazione domestica copre un intero trentennio oggetto dello studio e, semmai, si accentua, nel 2024.
Gli italiani spendono sempre meno per il cibo. È così mentre all’estero continua la gara nella quale la ristorazione italiana miete successi da noi la tendenza sembra essere un’altra. Più telefonini e meno cibo, quindi. Trent’anni dove calano i consumi alimentari e però, contemporaneamente, aumentano sempre più i punti vendita della GDO. Non si comprimono le spese considerate rappresentative del “benessere”. Vero o presunto che sia. Al boom dei cellulari (+6500%) si affianca quello dei pc e prodotti audiovisivi e multimediali con un + 962% . All’interno del comparto del tempo libero sono in crescita progressiva le spese per i servizi ricreativi e culturali con un +90%. Parallelamente le spese per l’alimentazione e bevande sono diminuite del 10,6%. Per il 2024 si conferma la tendenza al contenimento di quanto si spende per l’alimentazione domestica, abbigliamento e calzature, elettricità e mobili: tutte cose alle quali si può (o si deve) rinunciare per far posto ad altro.
Questo spiega, almeno in parte, la sensibilità e la reazione dei consumatori di fronte al cosiddetto “caro carrello”, giudicate eccessive dagli operatori vista l’entità degli aumenti rapportata ad altri prodotti, ma tant’è. Il consumatore preoccupato modifica quantità e qualità della spesa alimentare di fronte all’aumento dei prezzi. O acquista dove trova prodotti analoghi proposti a prezzi inferiori. E magari evita code e trasferte nei centri commerciali se non per occasioni particolari, risparmiando così sulla benzina. Il nostro Paese è tra quelli che hanno reagito meglio sia in termini di crescita che di rapidità nel rientro dell’inflazione però l’economia mondiale continua a mostrare forti elementi di fragilità che stanno limitando le possibilità di crescita e quindi inducono imprese e consumatori ad una maggiore cautela.
Secondo Confcommercio “Sul versante dei prezzi la stima, che può essere considerata estremamente prudente, è di una crescita dell’1,3%”. In questa situazione i consumatori si fanno oltremodo prudenti. Scelgono discount e promozioni. Girovagano per punti vendita. La “fedeltà” a cui il commercio tradizionale e moderno era abituato regge ancora in determinati contesti: le valli alpine, i territori con scarsa popolazione, dove l’età e le abitudini dei clienti, resistono, o perché la concorrenza è mediocre. O, infine, dove spostarsi in auto è oltremodo scomodo. Uno scenario caratterizzato da elementi oggettivi con cui misurarsi. Per adattarvisi e guidare il cambiamento necessario servono risorse economiche e umane all’altezza.