Grande Distribuzione, commercio e terziario. Il negoziato c’è. Mancano i negoziatori (e i soldi..)

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L’altro giorno stavo chiacchierando con un bravo responsabile di punto vendita di un’insegna milanese. L’argomento erano le difficoltà a motivare la squadra di questi tempi, i giovani che faticano ad accettare questo tipo di lavoro come mai in passato e la presenza di dimissioni più marcate rispetto a qualche tempo fa. Lamentava che il cosiddetto “cliente interno” non fosse affatto una priorità da gestire per nessuno. Al di là dei proclami delle singole insegne. Una sua battuta mi ha fatto però riflettere.  In tempi di inflazione, di rinnovi di contratto nazionale rinviati, di congruità o meno dei salari non c’è molta sobrietà nelle dichiarazioni  delle insegne stesse. Capisco l’esigenza di molti manager o piccoli imprenditori  di veder confermato il loro ottimo lavoro  sottolineando  i  risultati 2022 e le premesse 2023 come titolo di merito personale o delle loro squadre. In tempi di inflazione occorrerebbe non dimenticare mai  il contesto economico sociale nel quale quei risultati vengono raggiunti. “Clienti interni” e dinamiche  economiche e politiche del Paese compresi.

C’è  in atto un braccio di ferro con la filiera a monte sulle responsabilità degli aumenti dei prezzi, c’è un’interlocuzione con il Governo per ottenere qualche utile sostegno in tema di riduzione del cuneo fiscale, i consumatori sono perplessi e indecisi con chi prendersela  per gli  aumenti e  il comparto è sotto attacco per la sua evidente insensibilità sociale. In questo  contesto sottovalutare il proprio ruolo e le conseguenti responsabilità nei confronti  dei propri collaboratori non segnala lungimiranza.  Difficile tenere su due piani distinti i propri risultati e la tutela dei propri clienti da una parte con le conseguenze economiche che coinvolgono l’insieme dei propri collaboratori. 

Seppure nelle stime preliminari, nel mese di giugno 2023, l’indice nazionale dei prezzi al consumo registra una variazione nulla su base mensile e un aumento del 6,4% su base annua, da +7,6% del mese precedente, la situazione è ben evidenziata dal recente lavoro del Centro Studi di Confindustria. Il costo dei generi  alimentari è salito dell’11,4% medio (26% nel quintile più basso) mentre quello dei ristoranti del 6,5% (dato Centro Studi Confindustria https://bit.ly/3NrI4fp). Si segnala una forte riduzione della spesa delle famiglie: -3,7% nel 2022 e -8,7% nel quarto trimestre del 2022 rispetto al primo del 2021. Una “zavorra” per i consumi totali, considerando che la spesa alimentare vale il 14% di quella complessiva, seconda solamente a quelle per l’abitazione (comprensiva di bollette).  Si può ipotizzare anche un effetto reddito, con le famiglie meno abbienti che hanno accumulato meno risparmi e ora subiscono una maggiore erosione del reddito reale, con un impatto soprattutto sui consumi alimentari.

La corda potrebbe spezzarsi presto e la percezione generale gioca tutta a sfavore del comparto.   Carlo Bonomi, Presidente di Confindustria, lo ha appena dichiarato. “la manifattura ha visto il MOL diminuire del 5% dal 2019 ma i salari sono cresciuti del 5%. Il disequilibrio viene dal Commercio e dal comparto delle costruzioni.” Ovviamente quando si parla di Commercio in generale, la Grande Distribuzione è la prima a finire sul banco degli accusati visto che il piccolo commercio, la ristorazione e il turismo durante la pandemia hanno preso una serie di  “sberle” che, comunque andranno le cose, cambieranno i connotati di quei settori.

Le divisioni interne, la concorrenza tra insegne e associazioni che le rappresentano, la pressione della filiera a monte  ha reso goffo e insufficiente  qualsiasi tentativo di  difesa singola ed ha annullato gli interventi messi in campo per attutire gli effetti inflativi. Troppo profondo il disequilibrio provocato sul reddito delle famiglie. Soprattutto su quelle a reddito medio basso. Tutto ciò che è stato messo in campo, pur in buona fede, per mitigarne gli effetti, è stato vissuto come un’operazione di marketing. L’accentuaro nomadismo dei clienti ne è una conferma. Quindi servirebbero  più sobrietà e meno proclami.

Il rinnovo dei contratti del commercio e della Grande Distribuzione è di nuovo fermo al palo. La difficoltà di arrivare ad una conclusione in un negoziato policentrico con troppi attori non protagonisti in scena  è evidente. Confcommercio, Confesercenti e Federdistribuzione sono mesi che marcano il loro territorio per dimostrare di non essere a ruota di nessuno.  Alcuni sembrano aver capito che, arrivati a questo punto, più che grandi ambizioni di innovazione e modifica del testo è meglio che il costo del rinnovo contrattuale sia il più contenuto possibile. Tra l’altro aziende principali non mi sembrano intenzionate a tirare troppo la corda. “Annusano”  più delle associazioni, che il vento sta cambiando. Ed è un vento contrario. 

Confcommercio, sulla carta, ha certamente la responsabilità maggiore ma non sembra volersene far carico. Il Presidente, in altro tempi, sarebbe già intervenuto. Confcommercio sta cercando da tempo una sponda nel Governo sulla detassazione degli aumenti  contrattuali (che non c’è) e tiene sulla corda la GDO per vecchie ruggini. Ci sarà, come annunciato, una detassazione su tredicesime e straordinari ma solo solo per i redditi più bassi (da 25 mila a 35 mila euro). Ovviamente a Federdistribuzione e a Confesercenti conviene abbozzare. Non hanno alcuna convenienza a smarcarsi. Un pasticcio difficilmente districabile.

Filcams CGIL, Fisascat CISL e Uiltucs sono in trincea. Non possono contare sui rapporti di forza perché sono a loro sfavorevoli. I contratti nazionali sono ormai anni che non si rinnovano con  le mobilitazioni ma grazie alla capacità delle parti di trovare utili compromessi. Il sindacato punta a chiudere  perché l’inflazione morde pesantemente anche i lavoratori del comparto. Una firma multipla  su testi sostanzialmente analoghi sancirebbe, di fatto,  un ritorno ad un percorso comune delle diverse associazioni datoriali.   Sul piano politico sarebbe un buon risultato. Le aspettative, di questi tempi, non sono altissime. All’orizzonte si staglia però  l’IPCA (indice prezzi al consumo armonizzato) che segnala un possibile aumento dovuto di 100 euro al 4° livello da riparametrare verso l’alto per gli altri livelli. Mi immagino i mal di pancia. Ovviamente le aziende sono seriamente preoccupate per i costi. Per questo stupisce la mancanza di capacità di sintesi al tavolo negoziale. L’ultimo CCNL è scaduto nel 2019 e nel frattempo stanno proliferando i cosiddetti “contratti pirata”. Anche tra realtà rappresentate dalle associazioni che ne contestano l’adozione. E non  è un fenomeno improvviso e recente.

Dagli anni Novanta in avanti si sono sviluppati i primi contratti collettivi alternativi al sistema confederale. Attraverso questi sistemi paralleli, la riduzione del costo del lavoro è realizzata in modo relativamente legale e articolato. Spariscono istituti contrattuali, si modifica l’inquadramento dei lavoratori, si comprimono i minimi tabellari. Il risultato è una riduzione che va dal 15 al 20% del costo del lavoro per ogni addetto. Nella GDO e non solo sono decine le aziende a livello locale che li hanno adottati creando un vero e proprio dumping tra imprese. Non sono temi da sottovalutare. Il rinnovo del CCNL è un passaggio chiave per affrontare i nodi dei prossimi anni della categoria. E cosa si fa al tavolo principale? Nulla. Giustificando così il doppio binario.

Da un lato il disinteresse per i CCNL principali e dall’altro la presa d’atto  all’adozione di testi alternativi che smontano, tra i vari argomenti, il cuore del welfare contrattuale. Un grande risultato  soprattutto per Confcommercio, non c’è che dire! Una deriva sempre più difficile da rimettere in carreggiata. Soprattutto se i negoziatori anziché chiudere una partita ormai ai tempi supplementari, continuano a buttare la palla in tribuna.

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2 risposte a “Grande Distribuzione, commercio e terziario. Il negoziato c’è. Mancano i negoziatori (e i soldi..)”

  1. Da Delegato Sindacale UILTuCS, Le dico che se il rinnovo non avviene è solo perché Federdistribuzione propone sempre più flessibilità come la multiperiodalita’ , che per noi sono proposte IRRICEVIBILI, quindi non si dica che mancano i negoziatori, ma la volontà da parte Datoriale…

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