Grande Distribuzione. Con il carrello tricolore si chiude una fase. Adesso occorre guardare avanti.

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La mancata convergenza su possibili candidati imprenditori alla guida di Federdistribuzione dopo il flop della selezione esterna ha prodotto, a marzo di quest’anno, un ottimo Presidente di transizione: Carlo Alberto Buttarelli. A memoria solo Cobolli Gigli aveva superato il soffitto di vetro dell’impalpabilità grazie al suo passato. La Federazione era guidata, di fatto, dal suo storico direttore Generale Massimo Viviani. I presidenti, durante i loro mandati, non se li è mai filati nessuno al di fuori dei convegni o dalle interviste sulle riviste di settore.

In effetti, la  GDO non ha mai avuto bisogno, in passato, di avere una leadership vera né una rappresentanza forte. Le insegne leader non le hanno mai volute. Tolto qualche lite in famiglia con Confcommercio sulle liberalizzazioni, per anni, alla GDO, è convenuto stare sottovento nella pancia della Balena di piazza Belli. Quando il sindacato era una controparte ruvida, poter contare su un contratto di lavoro tra i meno onerosi in circolazione era un plus indiscutibile. Semmai da rimodulare, ciascuno a casa propria, con la contrattazione aziendale.

Confcommercio, in cambio dell’adesione dell’intera GDO, assorbiva a livello nazionale i contraccolpi delle liti locali tra le sue associazioni territoriali e le singole insegne che, nel frattempo continuavano a crescere. Tolta Coop, nell’epoca dei governi più o meno di centro sinistra,  praticamente nessuna insegna faceva politica a livello nazionale mentre a livello locale, gli imprenditori più svelti e lungimiranti, in cambio delle posizioni migliori, ingolosivano i politici e gli amministratori locali con gli oneri  di urbanizzazione, con le assunzioni e magari con qualcosa d’altro. Quella fase si è chiusa quando le posizioni migliori ricercate per i formati tradizionali, si sono di fatto ridotte, altri formati sono stati premiati dai clienti   e le diverse insegne hanno intuito le difficoltà del sindacato ormai indebolito dal deciso apporto delle nuove formule di  flessibilità in entrata del lavoro e la conseguente ripresa del governo dell’organizzazione del lavoro da parte delle direzioni del personale o direttamente dall’imprenditore stesso. Le rigidità del lavoro imposte dai Contratti nazionali e aziendali potevano così essere affrontate e, nel tempo, superate.

Federdistribuzione  in tema di lavoro non ha mai avuto una sua identità negoziale riconosciuta perché resta una semplice sommatoria di aziende con un portavoce. Nonostante sia ormai passato molto tempo dall’ultimo rinnovo del CCNL la federazione e la sua  “commissione lavoro” non sono ancora riuscite a impostare una traiettoria originale di riferimento per le imprese e metterla a terra. Il contratto resta una sostanziale ricopiatura di quello di Confcommercio.  La federazione non riesce ad individuare su cosa potrebbe essere possibile costruire uno scambio credibile che guardi al futuro del comparto e condividerlo con il sindacato di categoria. I contratti nazionali, però, si fanno così. E soprattutto si fanno in due. Altrimenti resta solo il negoziato sul salario. Ma il contratto nazionale ha un’altra funzione. L’assunzione oggi di un ruolo di interlocutore politico e sociale vero,  rende però indispensabile costruire una leadership anche sul versante sindacale. Le aziende principali devono esporsi. L’autorevolezza delle federazioni di Confindustria passa anche dalla loro capacità di innovare i contratti e di convincere l’interlocutore sociale a condividerne le traiettorie.

In tutti questi anni la competitività tra le insegne e tra i formati distributivi è aumentata anche perché gli insediamenti commerciali si sono moltiplicati su tutto il territorio nazionale fino a sfiorarsi. Una crescita importante che non è stata accompagnata, però, da un maggiore peso politico della Federdistribuzione. Avendo poi fuori dal perimetro associativo la prima (Conad) e la seconda (Coop) del settore e, nella filiera, le dinamiche imposte dall’industria alimentare (aderenti a Confindustria) e l’attività di lobby di Coldiretti (agricoltura),  il peso politico era sostanzialmente irrilevante. Senza contare il tramonto dei vecchi leader che avevano costruito il comparto.

Senza grandi aspettative  il comparto si è trascinato, così, tra alti e bassi fino al lockdown che, sul piano del business, ha prodotto ottimi risultati. L’uscita “forzata” dalla pandemia ha portato con sé un forte cambio di fase caratterizzato dal contesto geopolitico mutato, alla crisi delle materie prime e dei costi dell’energia. La ripresa dell’inflazione ha colto così il comparto assolutamente impreparato. Dopo un modesto giro di valzer di qualche realtà  per contrastarla, più con finalità di immagine presso i propri clienti,  oggi è in arrivo il conto vero, nascosto dai fatturati gonfiati ma gravido di rischi per le conseguenze sui consumi e sui margini aziendali. Questo ha fatto comprendere un po’ a tutte le insegne principali che la partita “politica”, per contrastarne gli effetti su di sé dal sistema Paese, non poteva essere giocata ciascuno a casa propria, lasciando le aziende del comparto  alle prese con un fisco pesante, un’IVA che penalizza diversi  generi di prima necessità e un costo del lavoro sempre più difficile da contenere.

Argomenti affrontabili solo in termini di scelte politiche precise. E quindi di peso degl interlocutori seduti a quel tavolo.  In quel momento, probabilmente, c’è stato un significativo sussulto di consapevolezza.  Le insegne hanno capito che la partita andava giocata anche su altri piani. E, soprattutto,  andava giocata assolutamente in prima persona e  a livello politico. E qui siamo alla storia recente. Federdistribuzione ha gestito, pur in condivisione,  il negoziato con il Governo, si è messa sullo stesso livello di confederazioni che con l’Esecutivo si frequentano ben più spesso, influenzandosi a vicenda, ed è riuscita ad affrancare il settore dall’accusa di speculare come e più di altri sull’inflazione e di non avere alcuna sensibilità sociale. Un piccolo ma significativo capolavoro politico innescato dalla scelta di aderire convintamente al “carrello tricolore”.

Restano gli scettici anche nel comparto. Com’era prevedibile fin dall’inizio. C’è chi, già il giorno dopo il via si è recato a misurare la convinzione nei punti vendita, chi a tuonare contro l’inutilità dell’iniziativa e chi, tra le insegne, fa il furbo lanciando il sasso (la promozione del carrello a parole) ma nascondendo la mano (la sua concreta adesione). E c’è poi chi, zitto zitto, l’ha messa a terra in assoluta libertà e, scegliendo tempi e modalità ha cercato, non certo, di fermare l’inflazione, cosa fuori dalla portata di questa intesa, ma di essere in buona compagnia per governarne alcune conseguenze inducendo nel consumatore l’idea che la sua insegna si stava impegnando assumendo almeno un’obbligazione di mezzo visto che non poteva assumersene una di risultato.  Con due benefici indotti.  L’operazione ha messo tutto il comparto (discount, super, ecc.)  sullo stesso piano nella percezione del consumatore. È questo sta contribuendo a sfatare l’idea  che la convenienza è solo materia da discount. Spero che, chi gestisce i supermercati lo comprenda e lo sappia gestire in futuro. La stessa decisione di lasciare alle singole insegne la libertà di scelta dei prodotti ne amplifica la portata. E poi il dato politico. Anche solo rafforzando e aumentando le tradizionali  politiche commerciali le insegne e le loro associazioni non solo hanno evitato la “gogna nediatica” ma hanno conquistato una fiche al tavolo dove si comincerà, finalmente, a discutere delle esigenze della filiera, di fisco e di altro ancora.

La GDO ha fatto da sponda al Governo? Certo che si, hanno tuonato fin dall’inizio le opposizioni e qualche media. Tra l’altro Urso alle prime avvisaglie del calo dell’inflazione si è buttato a peso morto su Twitter: “ Grazie al Sistema Italia per questa prova di coesione e di solidarietà che ha avuto un pieno e straordinario successo. Nel primo mese del ‘carrello tricolore’ l’inflazione è crollata di 3,5 punti percentuali, dal 5,3% all’1,8%, migliore performance in Europa!” Obiettivo raggiunto! Una frenata senza precedenti, frutto anche delle efficaci misure messe in campo nel settore dei carburanti e della corale iniziativa del ‘carrello tricolore’. Grazie ai commercianti e agli esercenti, alle reti delle farmacie e delle parafarmacie, alla grande distribuzione organizzata per il loro immediato riscontro e grazie anche alla filiera produttiva, all’industria e all’agricoltura e ai grandi marchi del Made in Italy, per aver scelto di aderire al Patto anti inflazione: un successo dell’intero sistema Paese. Ora abbiamo l’obiettivo di consolidare il dato raggiunto, rilanciando così i consumi e la produzione in vista delle festività natalizie e di fine anno”.

Che dire. Una tipica forzatura della politica che annuncia  un merito inesistente sul calo dell’inflazione. lo spiega bene l’ISTAT: “La drastica discesa del tasso di inflazione si deve in gran parte all’andamento dei prezzi dei beni energetici, in decisa decelerazione tendenziale a causa dell’effetto statistico derivante dal confronto con ottobre 2022, quando si registrarono forti aumenti dei prezzi del comparto”. Ma sarebbe successo  anche se il governo fosse stato di un altro colore. Un passo avanti è però la creazione del tavolo permanente per il mondo della distribuzione e del commercio presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy. Punto importante previsto dal Patto stesso e necessario per individuare gli interventi a sostegno del settore. A dicembre, in sede di valutazione, oltre a misurare i risultati concreti sul versante dei consumatori il tavolo  dovrà affrontare le misure necessarie  per contrastare gli effetti negativi derivanti dagli aumenti  dei costi e dall’instabilità dei mercati delle materie prime e dell’energia. L’inflazione farà il suo corso ma l’isterismo sulle responsabilità si è calmato e nessuno potrà accusare la GDO di aver privilegiato  i propri interessi. Anche se li ha perseguiti. Questo è fare politica. Così come si comporta  Confindustria, Confcommercio e Coldiretti.

Cosa che non ha ben compreso, per un certo tempo,  la rappresentanza dell’industria alimentare che ha preferito aderire alla spicciolata all’iniziativa piuttosto che assumersi una responsabilità in prima persona, a livello associativo. L’adesione di Galbani e Parmalat dopo Ferrero e di molti altri, è però un bel segnale. Adesso, per la GDO,  occorrerebbe un ulteriore salto di qualità. Buttarelli come Roberto Mancini ai campionati europei di calcio ha contribuito a vincere la partita più importante. In questo modo ha riposizionato  politicamente  Federdistribuzione. Adesso c’è però da preparare il 2024. Personalmente credo che sia arrivato il momento, per le insegne e i gruppi principali, di “metterci la faccia” in prima persona nelle rispettive associazioni. L’obiettivo non può che essere  l’unità vera del comparto. Come in Francia. La crisi economica, quella vera, rischia di essere appena iniziata visto quello che si muove a livello geopolitico. E questa ha bisogno di una forte leadership trasversale. Argomento sul quale ritorneremo presto. 

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