Milano non è per tutti. Resta una città complessa che attrae e, contemporaneamente, respinge. È una città cara per viverci. Acquistare una casa resta un miraggio per molti. Soprattutto per i più giovani. Non ha la dimensione di Roma ma ha periferie “difficili” quanto e più della capitale. Pur diversa da tutte le altre spesso ne anticipa tendenze e contraddizioni.
È una città che, tra l’altro sta invecchiando. Una famiglia su due è composta da single e un residente su quattro è anziano. I nuclei familiari superano le 700mila unità. Quasi la metà (il 47,3%) è composto da una persona. E tra questi il 39,3% (131mila nuclei, in crescita negli ultimi 10 anni) si tratta di anziani soli. I minori costituiscono il 15% della popolazione cittadina. I dati, molto interessanti, emergono dall’analisi del nuovo piano welfare del Comune.
Gli over 65 sono 312 mila, una quota di popolazione aumentata del 6,5 per cento negli ultimi 20 anni. Gli over 80 sono 115.500, addirittura il 64,9 per cento in più rispetto a inizio secolo e rappresentano ora l’8,4 per cento della popolazione totale. Molto significativo anche il dato delle famiglie monoparentali (in cui c’è un genitore con almeno un figlio) che raggiunge le 32 mila unità (+7,6% negli ultimi 10 anni). Oggi rappresentano il 15 per cento della popolazione cittadina, mentre nel 2000 l’incidenza rispetto al totale della popolazione era del 12,6.
Ma la tendenza che in questi anni è stata mantenuta in crescita soprattutto grazie ai figli degli stranieri (19 mila nel 2000 e 53 mila nel 2020) non prevede un nuovo rialzo nei prossimi anni. La previsione futura è infatti di un calo di quasi 20 mila unità: si passerà dai 209.243 del 2020 ai 189.802 stimati nel 2030. Secondo l’Istat, il reddito medio in Italia è pari a 21.570 euro all’anno e la città di Milano ha un reddito medio pro capite di quasi 34mila euro all’anno. Ma questa rischia di essere la media del pollo.
Alla voce “deboli”, secondo un recente studio della CGIL, ci sono i lavoratori part time, sia a tempo determinato che indeterminato: operai e impiegati che, avendo chiesto il tempo pieno ma senza risultato, portano a casa poco più di 12 mila euro all’anno; a questi si sommano i lavoratori a chiamata: il loro reddito medio annuo si attesta sotto gli 8 mila euro. E. Infine a queste fasce si aggiunge quella fetta pari a circa il 40-50% dei 23mila nuclei familiari che percepiscono il Reddito di Cittadinanza a Milano. Secondo il Comune questa parte di percettori sono lavoratori che prendono in media 500 euro al mese, quindi 6 mila euro all’anno.
Dall’altra parte della forbice fa da contraltare chi un lavoro ce l’ha ben retribuito che accentua la polarizzazione ampliando le disparità fra lavoratori contribuendo a rendere più cara la città in quello che offre. Quindi, anche quella che è sempre stata una grande forza della città, rischia di trasformarsi in una sua debolezza strutturale perché un numero sempre più importante di persone con possibilità di spesa contribuisce a innescare, a Milano (a differenza che nel resto d’Italia) un aumento dei prezzi, al netto della ripartenza dell’inflazione, già a partire da quello delle abitazioni.
Incidenza dei mutui, aumento delle spese, costo dei figli, stanno cominciando a creare una classe di residenti che, pur avendo un buon reddito medio faticano ad arrivare a fine mese. Milano poi si conferma la città più cara dove fare la spesa alimentare seppure con variazioni profonde in relazione all’età, agli stili di vita e alle condizioni di salute. Rimangono comunque delle differenze comportamentali tra italiani e stranieri e tra abitanti del centro, semicentro e periferie.
La GDO, non solo a Milano, a partire dalle prime richieste di aumenti provenienti dalla filiera a monte, ha sottovalutato gli effetti di questi cambiamenti e l’impatto del cambio di fase collegato pensando possibile contrastarne gli effetti assorbendoli e gestendoli come fossero un semplice elemento tattico di competizione con altre insegne e formati. Ricordiamo a questo proposito la pressante campagna contro il “carovita”. Sicuramente anticipatrice quanto velleitaria che si è inevitabilmente tradotta in un autogol che ha pesato sul conto economico di chi l’ha lanciata. E senza convincere fino in fondo, in quella fase, gli stessi consumatori milanesi che pur in attesa della cosiddetta “tempesta perfetta”, da più parti annunciata come imminente, non ne avevano ancora subito gli effetti.
Lo scenario geopolitico si è poi aggravato, l’inflazione ha cominciato a correre, i costi energetici, e non solo, a lievitare e a mettere in serie difficoltà i budget delle imprese e delle famiglie. Soprattutto in una città ricca di contraddizioni come Milano che l’analisi del nuovo piano welfare del comune evidenzia nelle sue caratteristiche di fondo.
Questa difficoltà a cogliere la profondità della crisi e la sua durata ha purtroppo reso meno autorevoli le prese di posizione della GDO innanzitutto nei confronti del Governo. Il balzo in avanti dei risultati economici determinato durante la pandemia, lo scontro con l’industria a monte e quindi la difficoltà di fare fronte comune, le divisioni associative e la volontà di procedere ciascuna per conto proprio hanno reso poco credibili le rivendicazioni. L’iniziativa dell’ abbassamento delle luci per dieci minuti racconta più di tante parole la difficoltà del comparto a farsi sentire e ad impostare una strategia di lunga durata condivisa purtroppo sommata ad una leadership settoriale fragile.
Così come è cambiato l’atteggiamento dei consumatori. Si è incrinato il rapporto tra insegne leader e tradizionale fidelizzazione spingendo in parte verso i discount (che, per assurdo, in alcuni casi avevano addirittura già aumentato i prezzi in silenzio) ma che godevano di una franchigia di credibilità maggiore oppure modificando i contenuti del carrello e le cadenze di acquisto e quindi penalizzando alcuni format rispetto ad altri. L’hinterland ha indubbiamente retto meglio. Così come altre parti del Paese. Le contraddizioni altrove non sono ancora visibili come in città.
Per Milano e chi vi opera il contraccolpo è stato però evidente. E per la composizione sociale della città questa situazione continuerà per lungo tempo e non saranno più sufficienti i tatticismi tradizionali delle insegne in conflitto tra di loro o ipotetici scudi all’aumento dei prezzi tutti molto simili quanto inefficaci.
La città indica e anticipa solo un disagio che sarà dell’intero Paese se non si interviene con decisione. Bisognerebbe però alzare lo sguardo. Non esiste una via solitaria praticabile da ciascuna insegna alla crisi che avanza. Non è un caso che il CEO di ENI lancia un allarme sull’inverno del 2023 indicandolo, già oggi, come peggiore, per imprese e famiglie, di quello in arrivo a sottolineare i tempi lunghi e la profondità inedita di questa situazione.