Il Governo francese sta lavorando con la Grande Distribuzione a un “cesto anti-inflazione”. Si punta ad un paniere di beni di prima necessità composto da una ventina di prodotti, che la GDO si dovrebbe impegnare a vendere quasi a prezzo di costo. Secondo l’entourage del ministro Olivia Grégoire “L’idea è di avere una base di beni di prima necessità i cui prezzi sono i più bassi possibili che comprende prodotti che vanno dall’igiene del bambino all’igiene degli adulti, ai latticini, ai prodotti freschi, alla pasta.un paniere anti-inflazione che dovrebbe far leva su un impegno volontario dei distributori e dei loro partner di filiera piuttosto che definito da disposizioni legislative o regolamentari. È il risultato di un confronto positivo a 360° necessario in fasi come queste.
Da noi è, per il momento, difficile pensare ad un simile gioco di squadra. L’industria sta provando a scaricare a valle l’aumento di costo delle materie prime e dell’energia che pur ci sono. Le imprese della GDO, forse sottovalutando il contesto geopolitico e a causa della competizione tra le diverse insegne, hanno cercato di assorbire una quota molto significativa dell’aumento dei prezzi per buona parte del 2022 pagandolo in termini di margini e il Governo ha dovuto innanzitutto considerare le sue priorità nella legge di bilancio pur mettendo in campo circa 35 miliardi di euro per i sostegni alle imprese e alle famiglie.
Eppure i dati di The Europen House Ambrosetti realizzati per ADM alla presentazione del convegno MARCA che si terrà a Bologna parlano chiaro. La GDO ha segnato due punti importanti a suo favore. Innanzitutto durante la pandemia mantenendo aperti ed efficienti i suoi 25.000 punti vendita sull’intero territorio nazionale assorbendone gli extra costi ed evitando così contraccolpi sociali e accaparramenti. E nel 2022 ha consentito un risparmio medio per famiglia fino a 77 euro; 3,9 miliardi di mancati aumenti di prezzo.
Marco Pedroni, Presidente di ADM, è stato chiaro. “Non deve ingannare il segno più con cui si chiude l’anno ma che non lascia dubbi sui rischi del 2023 se l’inflazione dovesse mantenersi a questi livelli senza una convergenza condivisa di tutti gli attori sulle conseguenze. Da qui l’appello all’industria e alle sue associazioni, per ora respinto al mittente, di aprire un tavolo di confronto sulle conseguenze dell’inflazione e sugli strumenti possibili da mettere in campo, che coinvolga l’intera filiera.
Un dato della presentazione di Valerio De Molli è stato molto significativo. La variazione dei prezzi del paniere medio che già oggi colpisce le famiglie meno abbienti supera il 17% contro una media dell’11,6%. E non stiamo parlando dei 5 milioni e passa di poveri. Stiamo parlando del ceto medio e medio basso.
Essendo questa un’inflazione da costi è difficile poi pensare che le misure messe in campo dalla BCE siano sufficienti a tenere sotto controllo un problema che è causato da fenomeni geopolitici di cui non è possibile prevederne né la durata né la fine. Sarà quindi un 2023 all’insegna dell’incertezza e caratterizzato da forti rischi di recessione. Inutile poi vagheggiare interventi sul cuneo fiscale.
Anche Pedroni ci ha provato unendosi al coro di chi pensa quella una strada facilmente percorribile. Metterci mano resta comunque un’operazione complessa. Il problema della riduzione del cuneo fiscale e contributivo non tocca solo pensioni e prestazioni sociali. C’è un’altra componente difficilmente comprimibile del cuneo. Se prendiamo ad esempio il contratto del settore commercio distribuzione e servizi: su ogni ora lavorata gravano i costi di alcuni “istituti” contrattuali, come la 13esima e 14esima mensilità, il TFR (in pratica, una mensilità), le ferie e festività (in media più di una mensilità), cui vanno aggiunti i costi per l’adesione al fondo di assistenza sanitaria integrativa, al fondo pensione, i permessi retribuiti e altre agevolazioni. In totale, il nostro 1,57 volte passa quasi al doppio che, aggiungendo gli altri obblighi contrattuali, di sicurezza e di gestione, arriva a 2,2 volte.
Non essendo voci eliminabili il costo di questa operazione andrebbe messo in carico alla fiscalità generale. Confindustria propone di attingere le risorse necessarie ad un intervento mirato ai bassi salari attraverso un maggiore efficientamento e razionalizzazione della spesa pubblica e utilizzando parte delle maggiori entrate previste. Operazione intelligente ma complessa nella sua messa a terra per le contemporanee richieste “elettoralistiche” di buona parte dei partiti che compongono la maggioranza. È quindi evidente che gli spazi di intervento sono piuttosto ristretti e devono tenere conto di un equilibrio complessivo all’interno della filiera.
Una filiera che Cuba 600 miliardi di euro di fatturato dei quali 155 sono generati dalla distribuzione moderna con un valore aggiunto diretto di oltre 25 miliardi. Fino ad ora il livello di ascolto a livello politico è stato scarso. C’è pure sul tavolo un CCNL da rinnovare che coinvolge i lavoratori dell’intera GDO in un comparto che ha 440.000 occupati diretti e sostiene una rete di oltre tre milioni di addetti considerando le filiere attivate.
Solo partendo dalla consapevolezza che la Distribuzione Moderna è un asset strategico per il nostro Paese sarà possibile trovare un punto di incontro negoziale che consenta alla GDO di continuare a mantenere un ruolo di “calmiere sociale” tanto significativo e importante in questa fase. Per farlo occorre però che per il Governo diventi prioritario un sostegno ai consumi a favore in particolare delle famiglie più fragili e che, soprattutto, si muova per rimettere in binari percorribili un confronto costruttivo.