Fino alla nascita del Governo di centro destra le diverse lobby, sempre molto attive, interagivano con la politica attraverso canali conosciuti e riconosciuti. La difesa dei legittimi interessi di parte era affidata a professionisti, o alla diverse associazioni di categoria, che veicolavano, a ciascun partito rappresentato in Parlamento o in altre situazioni, le proprie determinazioni sulle differenti iniziative che la politica o le diverse istituzioni coinvolte si apprestavano a mettere in campo. Era quindi la politica a dover trovare le mediazioni e le conseguenti sintesi necessarie.
L’equilibrio è di fatto saltato con il nuovo esecutivo. Innanzitutto perché alla base del successo elettorale dei partiti che compongono la sua maggioranza c’è l’impegno, più esplicito che in passato, di buona parte dell’associazionismo imprenditoriale dell’agricoltura, dell’industria e del commercio. Non prenderne atto è da ingenui. Affrontati i due temi fondamentali sotto lo sguardo attento del Presidente della Repubblica e attraverso un’assunzione di responsabilità diretta del Presidente del Consiglio sulle compatibilità economiche in rapporto con l’Europa e il nostro sostegno all’Ucraina nel quadro delle nostre alleanze militari il resto delle determinazioni, dall’agricoltura all’industria nazionale, dal commercio e dal turismo le scelte o le “non scelte” sono frutto di un lavoro di concerto con le rispettive associazioni di categoria.
Quindi le contraddizioni interne ai vari comparti o tra comparti, se non trovano una ricomposizione win win, vengono schiacciate da questi equilibri determinati dalla nuova situazione politica. La Grande Distribuzione, prima della nascita di questo Governo, contava sull’ascolto guadagnato dal mondo cooperativo e dal suo tradizionale rapporto con il centro sinistra che, a vario titolo, ha sempre partecipato direttamente o indirettamente al governo del Paese beneficiandone della sua attività di lobby oppure dei rapporti diretti che, a partire dai territori le diverse insegne si erano costruite con la politica, di destra o di sinistra che fosse, per far arrivare le proprie istanze. Il cambio di Governo e il riacutizzarsi dell’inflazione hanno spazzato via questi elementi di raccordo lasciando qualche spazio ai rapporti diretti dove la convenienza reciproca ha giocato un ruolo determinante ma ha reso irrilevante alle lobby principali il peso e le istanze della GDO.
Ovviamente le tradizionali divisioni interne del comparto rendono difficile prenderne atto collettivamente e spesso si preferisce addebitarlo agli usi e alle consuetudini del settore: “È sempre stato così e non cambierà mai” è la risposta a chi lancia un allarme vero. Difficile quindi rimediare una linea comune tra “acerrimi” concorrenti che preferiscono comportarsi come i polli del Manzoni beccandosi tra di loro mentre vengono portati in polleria. La nuova situazione politica e la gestione del perdurare dell’inflazione potrebbero però aprire uno scenario nel quale sarebbe necessario inserirsi. Per due ragioni. Innanzitutto perché i comparti a monte hanno interesse a spostare decisamente gli equilibri a loro favore. Per l’industria di marca e per l’agricoltura l’inflazione, se gestita con intelligenza, non è di per sé un male. Dopo lo spavento della pandemia e con una guerra all’orizzonte un po’ di fieno in cascina non guasta. Certo non sarà così per tutti. Ma tant’è. E poi è fondamentale esserci per un problema di potere. Se hai un asse forte con il Governo contribuisci ad individuare le soluzioni necessarie e dove spostare le risorse necessarie. Sia nel primario che nell’industria. E, infine, un nemico facile da individuare serve a tutti. Lo vediamo già oggi in Spagna con le proposte strampalate di Podemos contro la GDO o nei discorsi sull’avidità delle insegne in Gran Bretagna (la cosiddetta greedflation).
Alla GDO non resta che subire quindi? Si. Se continua a illudersi, insegna per insegna, che la nottata passerà presto e tutto tornerà come prima. I fatturati del 2023 rischiano di essere un risultato effimero se non corroborato dai volumi. Personalmente rifletterei su tre temi. Innanzitutto sulla durata del fenomeno inflazionistico e se questo cambierà o meno i consumi e l’atteggiamento dei consumatori che già oggi vengono portati ad individuare nella GDO la responsabile principale degli aumenti. Già il nome “caro carrello” presuppone di aver già individuato il colpevole. In secondo luogo se ha senso o meno subire, senza alcuna reazione concreta, gli effetti degli aumenti decisi scaricandoli, in tutto o in parte, sui proprio margini ottenendo, al massimo, qualche promozione che non riesce ad illudere i consumatori facendogli intravedere la fine del tunnel.. In terzo luogo se non è il caso di affrontare il tema di come uscire dall’angolo della sostanziale irrilevanza associativa.
Ovviamente i primi temi pongono due domande retoriche. È ovvio che non ha senso scommettere su un rientro a breve dell’inflazione. Guerra ai confini dell’Europa e conseguenze economiche e geopolitiche impongo una grande cautela al riguardo. Lo stesso vale per le negoziazioni; pretenderne di più brevi per gestire meglio il contesto temporale è più comprensibile che ergersi a paladini inefficaci dei consumatori, più o meno mascherati. Resta la terza: la costruzione di una lobby efficace.
Il difficile rinnovo del CCNL di categoria “costretto” ad un percorso comune con le altre associazioni mentre ciascuna azienda può tranquillamente costruirsi in casa il proprio contratto su misura suggerisce che “marciare divisi per colpire uniti” non basta più. Così come non serve a nulla una federazione autonoma, pur brillante e propositiva, ma che non è in grado di incidere sul contesto. La firma sostanzialmente unitaria dello stesso CCNL sarà un segnale su cui lavorare in prospettiva futura. Si può quindi ritornare a parlarsi tra associazioni avendo un obiettivo comune. Così come il recente ritorno in Eurocommerce di Confcommercio da dove se n’era andata anni fa. In Eurocommerce siede già Federdistribuzione. Un altro indizio che, volendo, è possibile trovare luoghi dove riprovare a lavorare insieme.
Lo stesso vale, su un altro versante possibile, con ADM (Associazione Distribuzione Moderna) dove Coop, Conad e tutta la GDO trovano le ragioni della necessaria unità. Nulla osta quindi ad individuare momenti di confronto che possano creare nuove condizioni associative. È chiaro che non si conta nulla se, come oggi, la prima azienda della GDO sta in Confcommercio, la seconda, Coop, per i fatti suoi e buona parte del comparto sta in Federdistribuzione, in Confimprese (vedi OVS nel nofood) o, peggio ancora, da nessuna parte. Mentre i tavoli che contano con questo Governo sono presidiati dalle grandi organizzazioni di rappresentanza, Coldiretti, Confindustria e Confcommercio.
Il commercio italiano deve provare a fare fronte comune. In altri termini trovare strade nuove. Basta decidersi. A mio modesto parere, la stessa uscita di Federdistribuzione da Confcommercio non ha reso politicamente irrilevante solo la Grande Distribuzione ma ha reso più debole la stessa Confcommercio privandola di un importante stimolo costruttivo e innovativo che la rende meno autorevole, nell’elaborazione di proposte comuni proprio sulla sua ragion d’essere: la tutela e lo sviluppo del Commercio nazionale indipendentemente dalla dimensione, dai formati, dalle differenti proposte imprenditoriali fisiche o digitali che siano. Ed è da questi scenari, interessi comuni e opzioni possibili che occorrerebbe ripartire.