Il 2022 si chiude, purtroppo, senza il CCNL del terziario e della grande distribuzione rinnovato. Fortunatamente, e dopo tre anni dalla scadenza, è stato concordato una sorta di percorso con un indennizzo parziale e un acconto sui futuri aumenti contrattuali (https://bit.ly/3j0lD5r) che farà passare il Natale (che resta un momento decisivo per le vendite) con qualche speranza in più sul rinnovo nei primi mesi del 2023.
Perché siamo arrivati qui?
Inutile girarci intorno, la responsabilità è delle due associazioni principali: Confcommercio e Federdistribuzione. Confcommercio nell’ultima scadenza (2019) era rimasta “scottata” dalla firma di un altro CCNL firmato tra gli stessi tre sindacati confederali e Federdistribuzione in dumping al suo. Contratto nazionale interamente copiato salvo nella parte economica dove sindacati e rappresentati della GDO hanno concordato un costo minore.
Un errore, pur comprensibile, per i sindacati che temevano di non riuscire a tutelare la maggioranza dei lavoratori della GDO le cui aziende avevano disdettato il CCNL firmato da Confcommercio e contemporaneamente un errore sia di Confcommercio che di Federdistribuzione che non si sono preoccupati a sufficienza delle conseguenze che si sarebbero verificate alla scadenza né della presenza di più contratti nazionali nello stesso comparto.
Quella sottovalutazione ha prodotto due effetti dirompenti. Il primo è che diverse insegne ne hanno tratto la convinzione che, dumping per dumping, si sarebbe potuto fare di più adottando contratti ancora più laschi e meno costosi. Il secondo è che le due associazioni hanno inevitabilmente perso autorevolezza con i rispettivi associati. Un contratto nazionale non è un contratto aziendale un po’ più grande come il pennello cinghiale della famosa pubblicità.
È ovvio che in tutti i comparti coesistono aziende sane e prosperose con altre in difficoltà. Nessuna però, può ostacolare la firma di un CCNL alla sua scadenza. È l’associazione di categoria che si assume la responsabilità di rispettare una scadenza e di onorarne la firma. Qui è successo che sia in Confcommercio che in Federdistribuzione è bastato il veto di alcune realtà importanti per neutralizzare l’impegno al rinnovo che, per sua natura, non è giustificabile perché così viene a mancare un principio di correttezza e di buonafede.
Il punto è che entrambe le associazioni erano e (forse) sono rappresentate al tavolo da esponenti privi di autorevolezza personale e politica e quindi non in grado di esercitare il proprio ruolo. E così sia il Presidente di Confcommercio che quello di Federdistribuzione si sono ben guardati dall’esercitare il loro lasciando latitare la trattativa nel nulla e qualche milione di lavoratori il primo e duecentomila il secondo in balìa del contesto economico e sociale. I sindacati di categoria a loro volta non hanno potuto che prenderne atto visto il loro “contributo” passato alla situazione.
In vista di un negoziato che slitta nel 2023 occorre sottolineare che l’aspetto economico e il necessario recupero dovuto anche alla ripresa inflazionistica non è sufficiente a determinare i contenuti di un rinnovo di un testo contrattuale che, nel caso del terziario così come quello della GDO, è obsoleto in molte sue parti e necessità di un salto di qualità nella gestione del welfare proiettando la sua validità in anni dove diritti e doveri, formazione degli addetti, politiche attive, previdenza integrativa, produttività e flessibilità del lavoro saranno ancora più centrali e da governare in comparti dove la contrattazione aziendale è poca cosa. Senza dimenticare che in gioco nel prossimo rinnovo c’è anche la titolarità della rappresentanza del comparto della GDO che l’anticipazione economica del 12 dicembre con l’acconto siglato contemporaneamente da tutte e quattro le organizzazioni datoriali titolari di un CCNL riapre in tutta la sua attualità.
E su questo si apre il tema del rapporto tra una confederazione (in questo caso sia Confcommercio che Confesercenti) e la sua titolarità a firmare contratti che valgono in più sottosettori e singoli comparti (in questo caso Federdistribuzione e mondo cooperativo) che, a loro volta, spingono affinché le loro specificità vengano riconosciute, rispettate e salvaguardate.
È evidente che l’intero commercio italiano non può continuare a dividersi nella rappresentanza su modelli novecenteschi. Gli “schiaffi” rimediati nel comparto ad ogni confronto politico e istituzionale a livello centrale dovrebbero aver fatto riflettere innanzitutto le imprese. La conclusione unitaria del prenegoziato con Filcams CGIL, Fisascat CISL e UILtucs UIL sull’acconto contrattuale fa sperare che le diverse organizzazioni abbiano preso coscienza dello stato in cui versano attualmente. Questo è un dato positivo che non va assolutamente sottovalutato. Occorre andare oltre ipotizzando scenari nuovi che puntino ad un accordo quadro che contenga parti comuni e specificità in un contesto di pari dignità tra i firmatari.
Una ricomposizione contrattuale la cui importanza politica andrebbe ben oltre la sigla in sé e consentirebbe ai negoziatori di mettere in secondo piano, almeno in questo rinnovo, parte dei contenuti (almeno quelli più ostici o costosi per le imprese) riportando a un equilibrio win win l’intero negoziato. È evidente che per compiere questi passaggi delicati ci vogliono i tempi e gli argomenti di interesse reciproco, gli interlocutori adatti e la sensibilità politica necessaria a condurre il negoziato non certo con l’ansia di un rinnovo sotto i riflettori e in modo tradizionale.
Per questo giudico l’accordo sull’acconto un buon passo in avanti che va colto e sostenuto. Spero non venga sprecato.