Le insegne dovrebbero essere valutate per la loro capacità di fare business e di integrarsi nei territori dove sono insediati. Per i loro risultati, per come interagiscono con il cliente e per la loro distintività in un contesto competitivo esasperato. Per come valorizzano i propri collaboratori. Non dovrebbero fare notizia perché sottopagano i loro dipendenti o aggirano norme e contratti come purtroppo a volte avviene.
È dovuto intervenire addirittura il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiarire la china pericolosa verso cui ci stiamo incamminando sul piano sociale: “L’occupazione si sta frammentando, tra una fascia alta, in cui a qualità e professionalità corrispondono buone retribuzioni, mentre in basso si creano sacche di salari insufficienti, alimentati anche da part-time involontario, e da precarietà. Si tratta di un elemento di preoccupante lacerazione della coesione sociale”.
Basterebbe questa frase per far “aprire occhi e orecchie” a chi, nella GDO, aggira la leale competizione applicando contratti, pur ritenuti localmente legittimi a causa della lacunosa legislazione vigente, ma in evidente dumping con chi rispetta le regole del gioco definite dalle principali organizzazioni di categoria. Su questo passa il confine netto tra “Imprenditori e Prenditori”. Sia che operino a monte della filiera, nell’agricoltura, nei servizi alle imprese o nella logistica o nel comparto stesso. A nord come a sud. Continuo a pensare che non c’è alcuna differenza tra chi compra prodotti agricoli pur sapendo che sono raccolti sfruttando gli immigrati e chi non paga il dovuto ai propri collaboratori nascondendosi dietro contratti definiti “pirata” per il loro contenuto chiaramente a danno del soggetto più debole.
Nel recente rinnovo dei due CCNL principali applicati in GDO (Confcommercio e Federdistribuzione) è mancato il coraggio di voltare pagina. Così come nessuno ha capito per tempo che pandemia e inflazione avrebbero cambiato il consumatore modificandone priorità e atteggiamenti così è stato, sul tema del lavoro e della sua necessaria evoluzione. E così il tema della distintività della GDO che avrebbe dovuto caratterizzare il primo vero testo di Federdistribuzione si è arenato perché è mancata la capacità di proporre uno scambio realistico e accettabile al sindacato consentendo così a quest’ultimo di sfuggire al confronto.
Nel giudizio complessivo non va sottovalutato che gli stessi temi oggetto del confronto e ritenuti impraticabili al tavolo negoziale sono di fatto risolti e superati da tempo nella stragrande maggioranza delle insegne a partire dall’inquadramento che prevede, ai livelli più bassi, una necessaria polivalenza nei punti vendita e a quelli più alti una modifica nei profili di responsabilità nella regia di punto vendita a cominciare dalle risorse più giovani e con una prospettiva di crescita futura. Certo restano ancora un pugno di realtà fedeli al testo scolpito nelle tavole della legge localizzate nel centro nord i cui responsabili delle risorse umane e le organizzazioni sindacali si rimpallano da tempo immemore su come uscirne sul piano formale.
L’esempio più evidente è Esselunga impantanata in un confronto aziendale sul tema. Quando leggo che la preoccupazione dei tre sindacati è che dietro il progetto Esselunga di polivalenza delle mansioni “è facile vedere l’obiettivo di efficientamento, di recupero di redditività e produttività” intesi quasi come elementi negativi mi cadono letteralmente le braccia. Che cosa dovrebbe fare l’azienda in un contesto competitivo come quello attuale? Saranno almeno 10/15 anni che nel 90% delle aziende GDO il problema della polivalenza in un punto vendita è stato superato sul piano concreto. Se togliamo Esselunga e Coop, qualche punto vendita Carrefour o PAM e pochi altri ben localizzati, il problema dell’organizzazione del lavoro e del conseguente inquadramento professionale non esiste perché è stato gestito nel tempo sperimentando modelli organizzativi diversi e percorsi professionali funzionali a quei modelli.
Quello che non capisco dei sindacati di categoria è perché non riescano a valorizzare e comunicare la differenza di atteggiamento tra insegne che rispettano il ruolo dei sindacali stessi e hanno una gestione sostanzialmente corretta del personale da quelle che andrebbero portate in tribunale un giorno si e l’altro pure. Altra cosa sarebbe chiedere, in Esselunga come altrove, di riavviare il percorso di rinnovo del CIA, qui fermo dal 2004, affrontare il tema del part-time, dei progetti formativi e di sviluppo professionale e tutto quello che un’azienda come Esselunga o altre dello stesso livello gestiscono spesso unilateralmente. La contrattazione aziendale dovrebbe servire a questo.
Sinceramente non capisco cosa stia succedendo nel sistema delle relazioni sindacali di categoria. Non capisco perché i tre sindacati non pongano come centrale la questione del part time involontario normandolo e riportandolo a percentuali accettabili. Perché non pretendano un maggiore legame di una parte del salario con i risultati del punto vendita magari bilanciato da deroghe gestionali nelle situazioni di difficoltà e una maggiore assunzione di responsabilità sugli appalti. Riprendendo così il governo complessivo di un tema che non può essere lasciato in gestione alla magistratura. E infine perché non promuovano insieme alle controparti una richiesta condivisa, di certificazione della rispettiva rappresentatività e quindi di chi può firmare i contratti di lavoro e, di conseguenza, una denuncia netta su chi applica CCNL in dumping con i loro.
Sergio Mattarella ha giustamente richiamato l’importanza del rispetto della dignità delle persone, l’osservanza della parità dei diritti. C’è ancora molto da fare nel nostro Paese se diamo una lettura seria all’indagine “State of the Global Workplace 2024” di Gallup, condotto in 90 Paesi. Eppure, se vogliamo guardare al futuro, dovremmo puntare, come Sistema, alle scelte condivise e stigmatizzare certi comportamenti isolando coloro che cercano scorciatoie solo per pagare di meno i propri collaboratori.