Tanti consumatori travestiti da Albert Einstein trasformato per l’occasione in un’icona del risparmio o, come dice lo spot di Eurospin, della spesa “intelligente”. Prezzi, promozioni azzeccate, ruvide politiche di acquisto e di rigida gestione dei costi hanno consentito a questa realtà di balzare per gli utili al secondo posto, dopo Esselunga, tra il 2015 e il 2019 (indagine Mediobanca).
Nessuno tra gli “anziani” esperti del comparto avrebbe mai scommesso un euro nel 1993 sui quattro imprenditori che hanno pensato e saputo sviluppare negli anni successivi oltre 1200 negozi con più di 15.000 collaboratori. E non certo solo con i sottocosto civetta di cui si parla spesso.
Insegna amata dai molti consumatori che la frequentano e odiata a monte della filiera e da alcuni concorrenti diretti per la spregiudicatezza dei sottocosti estremi che, a detta dei critici, rischiano di banalizzare e svalutare il prodotto agricolo e il lavoro che vi sta dietro. Recentemente è toccato alle fragole 500 gr. vendute a poco più di un euro ma il top è stato raggiunto con l’anguria ferragostana ad un centesimo. Ogni volta scatta la polemica che generalmente finisce in nulla in attesa della puntata successiva. Il discounter italiano ritiene di essere nel giusto e quindi tira dritto. I consumatori che lo frequentano, applaudono felici.
Pur con qualche eccezione, la vitalità e la crescita di questo formato, spinge ancora una parte della GDO tradizionale a seriosi quanto inutili distinguo. Di fatto, una querelle circoscritta tra imprese e lobby di filiera con qualche opinionista al seguito che però lascia indifferenti i consumatori. Oggi in Italia il discount è un formato in grande spolvero. Secondo i dati Mediobanca siamo ad un +8,7%. Tra le italiane dietro Eurospin troviamo MD, IN’S, Dpiù, Todis e numerose altre insegne che competono con le tedesche Penny Market, LIDL e Aldi (abbreviazione di Albrecht Discount) l’ultima arrivata.
In Germania, in Gran Bretagna e altrove, al contrario, i discount sono da tempo parte integrante del panorama della GDO. In Austria addirittura Aldi è un punto di riferimento non solo per la parte commerciale ma anche per il livello delle retribuzioni dei suoi collaboratori. In Gran Bretagna esiste una situazione sostanzialmente analoga al di là della dimensione del formato. Essendo parte integrante del sistema non sono considerati parvenu fastidiosi come capita a volte da noi. Vengono addirittura presi di mira, per le loro politiche commerciali, negli spettacoli di cabaret.
In Italia non c’è l’abitudine di utilizzare l’umorismo tra i retailer per rappresentarne, di fatto, la realtà. Il nostro è un mondo ancora troppo autoreferenziale e conservatore. La Germania è, al contrario, la patria dei discount. Sul banco tra i più bersagliati LIDL e Aldi sia nella versione Nord che Sud. L’umorismo utilizzato per dire quello che si pensa rappresenta una modalità diffusa.
Ma cosa stigmatizzano i cabarettisti tedeschi, inglesi o irlandesi? Cosa fa sorridere migliaia di spettatori che poi sono anche clienti di questi discount? Il bersaglio è l’offerta che spinge il consumatore ad una spesa creativa, fantasiosa, esagerata ma, forse, “poco” utile.
Si va da “Aldi Lidl song” (https://youtu.be/S-8GeEHR0mc) dove si racconta la spesa di un marito costretto a sostituire la moglie perché si è rotta un piede che improvvisamente scopre con un’ironia tutta irlandese l’acquisto compulsivo quanto inutile, al “The LIDL song” di Andy Convay (https://youtu.be/Jxl8P1fNT9Y) dove, dopo aver comprato di tutto, “ho però scordato il latte che era quello che avrei dovuto comprare”.
Anche in Germania il leitmotiv degli umoristi è che nei discount trovi tutto forse addirittura troppo ma quando arrivi alla cassa ti accorgi che il sacchetto è pieno di prodotti ma non hai comprato quello per cui eri entrato nel punto vendita. E la cassiera ti prende pure in giro. Nel pezzo di Werner Meier (https://youtu.be/VrHzjG2BNug) è il volantino e la sua struttura che è preso di mira. “Ho letto il volantino Aldi, è sottile e facile da leggere. Prendo subito una penna e mi preparo a comprare tutto. Fioriere in terracotta, laptop, pantaloni termici, lavatrici, bastoncini da trekking, salsicce in scatola! Vado subito in banca e chiudo il mio conto di risparmio!” Così fino alla rivisitazione simpatica di “Why I am see hey” (https://youtu.be/RGrQnPW6o08).
Al di là dell’ironia sul bombardamento delle offerte e sulla difficoltà ad accaparrarsele (vedi le scarpe della LIDL) c’è però una grande differenza tra come nella GDO si osservano le dinamiche dei consumi e le logiche distributive rispetto agli altri Paesi. Nel resto d’Europa la discussione seria o semi-seria pone sempre al centro il cliente e il consumismo. Gli eccessi, le reazioni, la convenienza e le distorsioni. Non altro.
Da noi non è così. Si parla spesso troppo bene di sé stessi. E troppo male degli altri. Ad esempio nelle discussioni sui comportamenti dei discount al centro c’è quasi sempre l’effetto sui fornitori, il dito alzato dei concorrenti GDO, i commenti sulle loro scelte di marketing o sulle loro promozioni. Il cliente è sempre un intruso visto addirittura da alcuni come un bambino immaturo da educare (sic!).
Si criticano le insegne coinvolte quasi queste dovessero attenersi a regole del gioco che però non hanno mai sottoscritto. E così i discount (buon per loro) così come Amazon e compagnia, hanno vita facile nella loro crescita. Altro che “stesso mercato stesse regole!”.
È, banalmente, la “legge del contrappasso”. Non basta mettere una pietra sul proprio passato per proporsi con un’immagine diversa. Nell’immaginario collettivo, la GDO è ancora quella cosa lì. Facile preda quindi per chi vuole strumentalizzare.
Da noi poche insegne si pongono concretamente dalla parte del consumatore. Basta guardare gli spot televisivi. Eppure la vera battaglia si svolgerà lì. Sarà sempre più il cliente con le sue scelte e i suoi problemi di economia domestica a determinare il grado di fedeltà al singolo punto vendita a decidere le sorti degli operatori commerciali quindi delle singole insegne.
Accompagnarlo nelle sue decisioni, anticiparne orientamenti e necessità, garantirgli qualità e prezzo equo, offrirgli un servizio adeguato rappresenta la vera sfida della GDO. Inutile sentirsi sotto assedio. Occorre far percepire al cliente una diversità, una peculiarità, un interesse alla sua soddisfazione. Poi quest’ultimo sceglierà dove andare o come comportarsi. La rivoluzione sta tutta lì.
Serve uscire dai soliti schemi e dotarsi di strumenti nuovi e la capacità di utilizzarli. Servono importanti risorse economiche. È una buona notizia che la concentrazione della Gdo è arrivata al 57,5% ma è ancora ben lontana a quella di altri paesi europei come la Francia, la Gran Bretagna e la Germania, dove è superiore al 75% (indagine Mediobanca).
Deve evolvere innanzitutto la cultura delle imprese del comparto. I consumatori come dimostra il lockdown si comporteranno di conseguenza. E serve un associazionismo che sappia darsi finalmente una visione unitaria, coerente e sa farla rispettare non penalizzando chi corre di più pur a modo suo ma consentendo attraverso regole del gioco trasparenti una corsa leale dove vince il più bravo e non solo il più furbo. E soprattutto dove la voce è una sola.