Grande Distribuzione. L’altitudine può far male a Conad?

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Chi va in montagna sa che fino a 1500-2000 metri si sale senza problemi. Sa anche che una parte di coloro  che raggiungono i 3000 sviluppano una forma di malattia da altitudine. Determinante è la velocità di salita e la capacità di adattamento a certi livelli. Temo che una parte di quel complesso sistema imprenditoriale che è Conad rischia di sviluppare una sindrome di questo tipo.

Essere i primi comporta innanzitutto averne la consapevolezza. Nient’altro che la realizzazione di una ricetta apparentemente  semplice fatta di autorevolezza, visione del futuro, gioco di squadra, responsabilità verso i propri collaboratori e impegno nei confronti delle comunità dove si è insediati e quindi verso il Paese. In un sistema policentrico, dal punto di vista delle decisioni imprenditoriali, qual’è il Consorzio, più che la posizione in classifica dell’intera squadra il rischio è che ad alcuni imprenditori del consorzio interessava e interessi tuttora il proprio perimetro di business e il peso che questo consente nel determinare traiettorie e strategie dell’insieme del sistema. In altri termini, un problema di equilibri e di gestione del potere. Teorie complottiste, ricorsi alla magistratura, veline, fibrillazioni interne nascono tutte da qui.

Come nella fattoria degli animali di Orwell dove gli animali sono tutti uguali ma qualcuno si sente più uguale degli altri. E questo malessere come una talpa scava, tronca le radici  rischiando di indebolire il tessuto connettivo che lega l’intero consorzio. Cosa assolutamente da evitare. L’accelerazione imposta dall’acquisizione di Auchan ha costretto gli imprenditori di Conad ad affrontare una salita forzata per la quale probabilmente non tutti si erano preparati. Alcuni hanno intuito le potenziali opportunità di crescita complessiva o almeno per il proprio perimetro, altri, lo si è capito quasi subito hanno temuto il percorso imposto dall’operazione stessa e quindi sono emersi, fin da subito, diversi problemi di tenuta. Sia imprenditoriali che manageriali.

Ho vissuto personalmente la crisi finale che ha preceduto il passaggio di Standa al gruppo Rewe e ho visto fior di manager schiantarsi nel tentativo di recuperare clienti e fatturato persi negli anni. Operazione molto difficile da realizzare e altrettanto facile da sottovalutare. Il cambio di insegna non è mai sufficiente. Occorre tempo. Molto di più di quello che era stato probabilmente preventivato a tavolino. Alle prime difficoltà nel rapporto tra singole cooperative e Margherita Distribuzione, la società che dal 1 agosto 2019 ha preso in carico tutte le attività che in Italia facevano capo ad Auchan, tutto questo è cominciato ad emergere. O di fronte alle richieste sindacali. Oppure in seguito alle decisioni dell’ antitrust. O, infine, di fronte all’impossibilità di scegliere di “fiore in fiore” solo i punti vendita più graditi. Ma, come ci ricordava sempre Vujadin Boskov l’eccentrico allenatore della grande Sampdoria: “Partita finisce quando arbitro fischia”.

E la partita fin da allora si sapeva che sarebbe stata lunga e complessa. Soprattutto che non si sarebbe conclusa con la semplice spartizione di qualche punto vendita perché la situazione che aveva spinto alla ritirata il gruppo francese era ben più compromessa di ciò che era apparsa ad una prima valutazione. Auchan, checché ne abbiano sperato gli incolpevoli dipendenti, aveva deciso da tempo di andarsene.

La dimostrazione è che il quartiere generale in avenue de Flandre  a Croix è riuscito, poco tempo dopo,  a superare di slancio una pandemia in più Paesi e a tenere il piede in Russia e in Ucraina contemporaneamente nel disastro generale di una guerra, continuando a gestire contraccolpi e contraddizioni, ma si è guardato bene dal provare a restare nel nostro Paese. Anzi. La “fuga”, vista a posteriori, è stata una scelta certamente spregiudicata ma attentamente calcolata. A parte il “tradimento” nei confronti di chi ci aveva creduto e investito professionalmente, Auchan ha evitato una lunga e ben più costosa agonia, non ha subito alcun contraccolpo sulle altre attività presenti nel Paese né sull’immagine delle stesse e, con la cessione a Margherita Distribuzione, ha consentito la messa in salvo della stragrande maggioranza dei dipendenti grazie alla rapidità dell’operazione condotta da Conad consentendo ovviamente a quest’ultima, una importante opportunità di crescita. Non certo una passeggiata.

Ma questo ha imposto agli imprenditori del consorzio di salire di quota rapidamente, restare quotidianamente sotto i riflettori, uscire dal tran tran delle cooperative per essere vivisezionati da sindacati e media e forse di essere messi un po’ in ombra dalla personalità di Francesco Pugliese. Questo ha messo in fibrillazione chi, nel consorzio e  a quelle altitudini, non avrebbe mai potuto arrivare con le proprie risorse e capacità imprenditoriali. È chiaro che la vera forza di un sistema policentrico qual’è Conad è solo nell’unità e nel gioco di squadra. Se viene meno emergono visioni e interessi differenti che rendono difficile il governo complessivo del sistema. La ricerca di responsabilità altrui rischia di diventare la cifra del profilo e dei comportamenti di chi fatica a muoversi a quelle altitudini. 

Ed è Conad e la sua tenuta complessiva che a questo punto rischiano molto. Non tanto per l’uscita per fine mandato di Francesco Pugliese. Tutti i Top manager sanno di avere una data di scadenza definita dal mandato ricevuto. Conad deve però molto al suo leader. I numeri parlano chiaro. L’insegna ha continuato a crescere chiudendo il 2022 con 18,4 miliardi di euro, con un aumento dell’8,5% sul 2021 e del 69,2% rispetto agli ultimi 10 anni, raddoppiando le proprie dimensioni rispetto agli ultimi 15. Conad conferma il piano di investimenti nel triennio 2022-2024 di oltre 2 miliardi di euro, di cui 701 milioni verranno utilizzati nel 2023, secondo i quattro pilastri strategici dell’insegna: canalizzazione, digitalizzazione, focus su prodotti a marchio Conad e sostenibilità.

Nei passaggi decisivi dell’acquisizione di Auchan, quando abbiamo avuto modo di confrontarci, Francesco Pugliese ha sempre mantenuto una visione a 360° e non ha mai sottovalutato né i rischi né le conseguenze. Ma tant’è. Il suo errore è stato,  a mio parere,  pensare che la crescita di fatturato portasse con sé la consapevolezza e la crescita del ruolo dei partecipanti all’operazione. Così non è stato. Una parte del Consorzio puntava agli onori. Non agli oneri. Pretendeva  un amministratore di condominio, non un amministratore delegato.

Adesso è arrivato Mauro Lusetti alla Presidenza. “Il suo percorso professionale nel mondo della cooperazione inizia a 20 anni presso Federcoop di Modena e nel 1980 approda a Mercurio Modena, la cooperativa che riunisce i dettaglianti della provincia. In qualità  di Responsabile Sviluppo e Ufficio Tecnico, dal 1984 guida il gruppo di lavoro a cui è affidata l’apertura del Centro Commerciale La Rotonda di Modena, il primo ipermercato Conad in Italia, che inaugura nel 1990, anno in cui dalla fusione di Mercurio Modena e Mercurio Bologna nasce Conad Nord Est. Presso il Consorzio nazionale Conad è responsabile nazionale Sviluppo canali fino al 1996, quando torna a Modena come direttore dell’Area Emilia di Conad Nord Est. Qui nel 1996 è tra gli artefici dell’unificazione con Conad Liguria e Conad Piemonte e nel 1998 della nascita di Nordiconad, di cui diventa, nel 2001, amministratore delegato. È stato consigliere di Conad, membro della Direzione nazionale di Legacoop e della Giunta di ANCD, l’Associazione nazionale cooperative dettaglianti” (dal sito della Lega Coop).

Il suo non sarà un  compito facile. Dovrà provare a riportare il confronto tra le diverse anime interne ad un livello accettabile. Condizione fondamentale ma non sufficiente perché le stesse dovranno decidere il ruolo della centrale di Bologna, nominare un nuovo AD, rilanciare o meno la loro presenza in Confcommercio  e, di conseguenza, se riprendere un rapporto tra ANCD e il sistema cooperativo. E decidere, una volta per tutte,  se essere i primi della classe è un banale risultato aritmetico derivato dalla somma dei fatturati o una responsabilità verso i propri collaboratori e verso il Paese. 

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Una risposta a “Grande Distribuzione. L’altitudine può far male a Conad?”

  1. E’ proprio vero che la vera fatica non è raggiungere l’alta quota ma restarci. La figura di Francesco Pugliese è stata determinante per l’acquisizione di Auchan e la sua lungimiranza ha portato a risultati eccellenti in tutte le cooperative.
    Auguro che la nomina del nuovo AD vada nella direzione di porre le basi di un nuovo equilibrio nel complesso sistema cooperativistico di Conad.

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