Delle quattro confederazioni/federazioni titolari di un contratto nazionale applicato dalle insegne della Grande Distribuzione le discussioni si sono sempre concentrate sulla scelta di Federdistribuzione di realizzare il proprio uscendo da quello storicamente firmato da Confcommercio. Comprensibile sul piano dell’immagine interna (essere firmatari di CCNL è un plus apprezzato dagli associati), inutile sul piano strategico perché come ho sempre sostenuto, l’obiettivo di un settore non dovrebbe mai essere l’indebolimento della sua rappresentanza per gli effetti negativi che provoca nel tempo sul piano del peso economico e sociale complessivo.
L’ombrello confederale inoltre porta con sé livelli di interlocuzione istituzionali e politici spesso sottovalutati ma decisivi nelle fasi controvento. Così non è stato. Ed è facile comprendere come sarebbe importante in una fase come quella che stiamo attraversando. Moltiplicare gli interlocutori ha generato una fragilità di fondo, un pericoloso senso di autosufficienza e, purtroppo, forme di concorrenza sleale tra imprese.
Ma, soprattutto, non ha fermato per nulla l’affermarsi di forme contrattuali alternative definite forse troppo sbrigativamente “contratti pirata”, dalla letteratura prevalente, ma che portano, in alcuni casi, firme di sindacati diversi da quelli confederali, tutt’altro che sconosciuti e altrettanto legittimi a legislazione vigente. Soprattutto nel sud e nel franchising. Com’era prevedibile quando la gara resta concentrata sui costi, alla fine vince chi “offre di più”.
Quindi l’esigenza di ripensarne strategia e contenuti prima di precipitarsi in una nuova sterile competizione è certamente decisiva. Di positivo c’è che le due confederazioni principali (Confcommercio e Confesercenti) non mirano, per dimensione e strategia, a far concorrenza al mondo Coop né a Federdistribuzione. Semmai ad assorbirne le istanze. Quindi un nuovo percorso da esplorare è a portata di mano.
Per Confcommercio, l’uscita di Federdistribuzione, non ha comportato particolari conseguenze organizzative. Il clima non è compromesso. Così come le diatribe tra le insegne private della GDO e Coop riguardano più il passato. La stessa Federdistribuzione nella ricerca in corso del nuovo Presidente che dovrà succedere a Claudio Gradara ha proposto, a chi è stato incaricato della selezione, un identikit che fa pensare alla volontà di provare a ricercare possibili convergenze nel comparto. L’accordo sulle chiusure festive tra tutte le associazioni del comparto ha poi rappresentato una prova generale di unità importante.
Ma questo è solo un aspetto del problema. Difficile da realizzare ma non impossibile. Sul tavolo, due di questi contratti nazionali (Confcommercio e Confesercenti), hanno una platea di riferimento e di interesse che esce dalla Grande Distribuzione e dal perimetro del Commercio in senso stretto e offrono all’intero terziario di mercato strumenti leggeri, flessibili e di facile applicazione. La vera partita, a mio parere, si giocherà su quel terreno di gioco.
Confcommercio ha già posato il filo spinato per ostacolare l’ingresso di Confindustria che, da parte sua, rivendica il diritto di poter rappresentare quella parte del terziario innovativo collegato al proprio mondo. Confesercenti sembra più defilata ma la ragione che l’ha spinta, nell’ultimo rinnovo, a non accontentarsi più di una firma per sostanziale adesione a quello di Confcommercio ma di pretendere la stipula di un vero e proprio contratto nazionale da protagonista può portare a diverse interpretazioni e preparare convergenze fino a poco tempo fa inimmaginabili.
La competizione tra Confcommercio e Confesercenti ha ripreso vigore e Confindustria potrebbe essere interessata ad avviare nuove interlocuzioni che le aprirebbero un mondo, quello della rappresentanza del terziario, oggi precluso. Rete imprese italia è in crisi, il patto che lega Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, CNA e Casa Artigiani scade a dicembre. Confartigianato se ne è già andata sbattendo la porta e quindi c’è aria di smobilitazione. Sul piano generale, Confindustria si propone come perno centrale di una convergenza tra tutte le organizzazioni di rappresentanza datoriale all’interno di una strategia comune che vede però contraria proprio Confcommercio che non sembra interessata a parteciparvi in posizione subalterna.
Carlo Bonomi sta imponendo un forte cambio di passo all’organizzazione degli industriali dagli esiti imprevedibili. Sul fronte della rappresentanza datoriale la partita della ripartenza, delle risorse collegate al recovery fund, della titolarità dell’innovazione nel nostro Paese non prevede un secondo classificato. Non credo ci sia posto per tutti. O si gioca tutti insieme la partita o qualcuno sarà relegato ai margini rischiando così di mettere in crisi il rapporto con i propri associati. La tensione è destinata inevitabilmente a salire.
Confcommercio, ad esempio, non condivide che nelle linee Guida del Governo solo il turismo, di fatto, è indicato come settore strategico nel proprio perimetro. Soprattutto che le scelte del Governo siano dominate dalla volontà di ritenere solo la manifattura e l’industria i soli settori intestatari di innovazione e ricerca. Per questo i contratti nazionali e l’interlocuzione con i sindacati confederali e con il Governo, il rapporto diretto con l’Europa, rappresentano un terreno importante per le associazioni. Sono aspetti dello stesso problema. Ne sostanziano l’autorevolezza In una fase complessa della vita del Paese.
E la GDO che è attesa, da una profonda riorganizzazione, dalla partita della concorrenza con i giganti della rete e dalla sfida dell’innovazione deve decidere se scendere in campo (e con chi) o restare in panchina limitandosi ad osservare gli altri sapendo che i prossimi anni saranno cruciali e avranno pesanti conseguenze economiche e sociali su tutti i soggetti coinvolti.