Una delle ragioni delle difficoltà del sindacato di categoria nella Grande Distribuzione sul rinnovo del CCNL è data dal non riuscire ad individuare un nuovo terreno di scambio, da condividere con le imprese in mancanza del quale il contratto nazionale rischia di non rinnovarsi tanto presto. Negli anni dello “sviluppo infinito” la flessibilità necessaria alle diverse insegne era compensata dalla crescita occupazionale, dalle contropartite economiche e organizzative individuate attraverso la contrattazione aziendale.
Alle prime avvisaglie del cambio di fase, aziende e sindacati, hanno cercato e trovato nuovi equilibri nelle insegne definendo sostanzialmente un doppio binario nei rapporti di lavoro. Da una parte i lavoratori che, più o meno a titolo individuale, avrebbero conservato diritti e tutele in essere e, dall’altra i nuovi entrati ai quali venivano proposte condizioni differenti soprattutto sotto l’aspetto quali-quantitativo della prestazione. Flessibilità e tempo determinato in entrata, part time involontario, obbligo della prestazione domenicale, turnazioni d’orario, inquadramento sostanzialmente più basso.
Questa differenziazione, pur con tutti i tentativi di correzione messi in campo dal sindacato strada facendo, ha consentito di mantenere aperto un confronto negoziale in diverse aziende. In molte altre questa flessibilità definita a monte dalla legge o derivata dal CCNL ha, di fatto, escluso il sindacato dal confronto consentendo una sostanziale mano libera alle insegne. La diffusione dei punti vendita e dei diversi formati distributivi ha reso ancora più stringente l’attenzione ai costi da parte delle imprese e quindi il costo del lavoro e la sua compressione è diventata una priorità per l’intero comparto.
Da qui il superamento o il congelamento della contrattazione aziendale in numerose realtà, i piani di riorganizzazione con il cambio di mix degli addetti, una ricercata intercambiabilità di ruoli e persone e la cessione a terzi di punti vendita inizialmente in alcune zone del Paese per poi diffondersi un po’ dovunque. Ultimo, ma non meno importante, e pur in presenza di almeno tre CCNL in dumping uno con l’altro (più quello della cooperazione), la diffusione crescente dei contratti pirata.
Le tre vertenze che ho scelto e i differenti approcci seguiti su cui voglio proporre qualche riflessione riguardano la cessione di Auchan a Conad, il riposizionamento di Carrefour italia e, infine, Coop Alleanza 3.0 che con la riorganizzazione proposta è anch’essa alla ricerca di un diverso equilibrio competitivo.
Il passaggio della rete Auchan a Conad è stato indubbiamente il più ruvido sul piano delle relazioni sindacali. Conad non aveva allora e non ha nemmeno oggi un area riconosciuta e forte di gestione delle relazioni sindacali in grado di accompagnare operazioni di quelle dimensioni e le sue inevitabili conseguenze. ANCD non aveva il profilo e la personalità sufficiente per accompagnare un cambiamento così repentino e radicale estraneo alla cultura delle singole cooperative. Ben altra cosa rispetto alle rispettive leadership che avevano maturato la decisione.
L’adesione recente a Confcommercio potrebbe aiutare a ricomporre un quadro di relazioni sindacali stabili elemento indispensabile per il principale gruppo nazionale della GDO. Alcune forzature e situazioni specifiche, l’ho già scritto a suo tempo, avrebbero potuto essere gestite in altro modo. Ma la sostanza del problema non cambia. Una parte del sindacato di categoria ha sbagliato l’approccio al negoziato. Ha pesato la cultura sindacale costruita in Auchan, il rapporto con i delegati cresciuti in quel mondo, la convinzione, infine, che di fronte ci fosse la classica realtà “provinciale” rappresentata da ANCD.
Questo errore di valutazione ha comportato due effetti. Innanzitutto ha rafforzato la convinzione di Conad che il confronto con questa parte del sindacato fosse inutile se non addirittura dannosa per la conduzione e la conclusione dell’operazione e, in secondo luogo, la scelta sostanzialmente aventiniana dei negoziatori di FILCAMS e UILTUCS ha impedito un ruolo propositivo nella gestione delle ricadute occupazionali e degli esuberi lasciandole, di fatto, in mano all’azienda e sulle spalle dei singoli lavoratori.
Nella vicenda Carrefour il sindacato di categoria si è mosso unitariamente. Forse preoccupato dalle voci che arrivano insistentemente dalla Francia e che potrebbero rimettere in gioco di nuovo Auchan nel nostro Paese ha puntato a trovare un’intesa. La presenza di una solida direzione risorse umane e della volontà comune di arrivare ad un’accordo ha consentito alla multinazionale francese di raggiungere i suoi obiettivi che hanno nel 2022 l’epicentro sostanziale del cambiamento.
Il sindacato ha, da parte sua, ottenuto il mantenimento del CIA in Carrefour e una sorta di copertura temporale del contratto integrativo aziendale da applicare ai lavoratori che passano al franchising. Un risultato politico importante ma, contemporaneamente, una contraddizione in termini. La cessione di punti vendita a terzi è un portato dall’insostenibilità dei costi. Il franchisee regge meglio del franchisor perché ha le sue logiche gestionali. Pretendere il trascinamento dei costi derivati da una contrattazione aziendale maturata in un altro contesto potrebbe non essere una buona idea perché spingerà il franchisee ad agire in altro modo sempre sul costo del lavoro. Resta comunque aperto un interessante terreno di confronto con l’azienda sulla produttività e sulla gestione del singolo PDV che andrebbe valorizzato.
Infine Coop Alleanza 3.0. La vertenza è ancora aperta. Questa realtà è l’unica dove il sindacato ha la forza per impedire in tutto o in parte la strategia aziendale. E quindi il risultato sarà una conseguenza diretta della responsabilità e della lungimiranza delle parti. L’azienda, a differenza di Conad e Carrefour, non può tirare dritto senza il consenso del sindacato e quindi ha posto sul tavolo le sue richieste in un quadro di riunificazione degli attuali tre CIA (Adriatica, Estense e Nordest). Nulla di diverso da ciò che è presente da tempo nel resto della GDO.
Riorganizzazione della prestazione lavorativa giornaliera, maggiore disponibilità a coprire il servizio nelle domeniche e nei festivi, differenziazione tra personale in forza e nuovi arrivati del premio aziendale da orientare esclusivamente ai risultati economici del PDV e revisione di parte delle maggiorazioni. E, infine che nella valutazione della prestazione individuale, pesi il giudizio del responsabile diretto.
Per il momento il sindacato ha sostanzialmente respinto tutto il pacchetto e ha deciso di coinvolgere i lavoratori con delle assemblee. Non ha saggiamente rotto il negoziato perché credo si renda conto che le specificità della cooperazione hanno dei limiti che non possono essere trasformati in “piombo alle ali” che ne impediscano il rilancio. Così come l’azienda si rende conto che la sua trasformazione necessità sia di tempi di maturazione che di consenso.
Quindi lo spazio per una mediazione esiste. Sta ai negoziatori individuarlo. Quello che è certo è che buona parte della credibilità del sindacato e della capacità di accompagnare i cambiamenti in questo negoziato è sul tavolo e pesa di più che altrove.
Il nuovo CCNL oltre all’aspetto economico e alla valorizzazione del welfare dovrà definire il quadro di riferimento per i prossimi anni. Produttività e organizzazione del lavoro, sistemi premianti, mansioni e inquadramento da aggiornare ne costituiscono i pilastri fondamentali. Sottovalutarli lascia il sindacato in un impasse evidente e porta le imprese al “predicare bene e razzolare male”. Tipico di queste situazioni.