Sulla GDO aleggiano diversi pregiudizi. Emergono in ogni occasione non appena qualsiasi comportamento di una insegna viene utilizzato come pretesto per sottolinearne le negatività e gli interessi. Ricordo la filippica di Gianluigi Paragone oggi in affanno contro uno dei personaggi più trasparenti della Grande Distribuzione come Mario Gasbarrino e, in questi giorni, l’attore Alessandro Gassmann contro CRAI sulla vendita delle mascherine perché in modo assolutamente onesto e trasparente quest’ultima ha detto ciò che tutta la GDO pensa.
E cioè di non essere stata trattata con la stessa correttezza riservata alle farmacie. E siccome Gassmann ha una notorietà riconosciuta e una forte simpatia personale la corsa ai distinguo e alle reprimende delle insegne concorrenti non si è fatta attendere. Probabilmente tutto si sistemerà nei prossimi giorni però resta la ragione che spinge un’azienda ad uscire in solitudine allo scoperto. E ad altri la necessità di riprenderla anziché stringersi intorno a sua difesa.
È già successo con i buoni spesa dove le fughe in avanti non hanno aiutato. Per non parlare della giusta lotta contro le aste al ribasso. La GDO ha quattro associazioni che, a torto o a ragione, sostengono di rappresentarla completamente (Federdistribuzione, Confcommercio, Coop e Confesercenti) c’è n’è una quinta (Confimprese) che però, non essendo firmataria di contratti nazionali, per il momento resta in panchina in attesa di poter scendere in campo.
ADM, pur fuori dalle logiche derivate dalla sottoscrizione o meno del contratto di lavoro, con altre caratteristiche e grazie al suo Presidente, mi sembra l’unica che cerca, pur valorizzando e rispettando le diverse specificità presenti nel comparto, di lavorare per unificare gli sforzi con in testa un disegno che cerca di guardare avanti. E questo impegno le andrebbe riconosciuto.
Aggiungo che, spesso, all’interno di ciascuna federazione, le singole insegne si muovono per conto proprio nei confronti delle istituzioni locali e nazionali. Rischiando così di mettere in secondo piano il ruolo associativo. Non è cosa di oggi, ovviamente. È purtroppo sempre stato così.
In molte occasioni, fortunatamente, le singole associazioni pur divise, marciano unite. Ed è quando ottengono i risultati migliori. Il Covid-19 è stato uno di questi momenti. La grande distribuzione ne è uscita complessivamente bene. Ha retto l’impatto dei consumatori preoccupati dalla situazione, ha collaborato con le istituzioni, ha attenuato il panico e ha contribuito a risolvere il problema degli “ultimi” spesso invisibili al resto della società. Si è schierata al servizio della collettività e delle istituzioni, ha mandato in prima linea i propri collaboratori, ha sopportato costi di gestione dei PDV ben maggiori e senza mai lamentarsi.
Ha anche subito incursioni di altre lobby che hanno imposto alle insegne cosa vendere o meno. Sui Cash and Carry che sono restati ingiustamente chiusi al pubblico e sulla concorrenza della rete. Così come sulle mascherine. L’immagine pubblica veicolata è che hanno fatto un sacco di soldi per la crisi. Cosa non vera. E che sono tirchi perché non rinnovano i contratti di lavoro, pagano poco gli addetti e vogliono imporre il lavoro festivo ai loro collaboratori.
Delle quattro associazioni sicuramente Federdistribuzione è la più rappresentativa sul fronte istituzionale. Confcommercio segue a ruota pur con un approccio più rivolto all’intero commercio. Le altre due, pur essendo meno rappresentative, hanno buoni rapporti con le istituzioni. Soprattutto a livello locale. La Cooperazione poi ha una sua autorevolezza data dalla propria storia.
Quando marciano unite il peso del comparto si sente. Quando ognuna marca il proprio territorio l’autorevolezza inevitabilmente viene meno. Dietro l’angolo alcune scadenze attendono l’intero settore. Innanzitutto lo stato di tutto ciò che non è alimentare stravolto dalle chiusure forzate. Sia in termini di sottosettori specifici messi a dura prova in questi mesi che nelle attività collegate nei luoghi di vendita e nelle diverse modalità imprenditoriali presenti.
Per non parlare delle imprese che compongono l’intera filiera. Dall’agricoltura alla produzione fino alla logistica e ai trasporti. Cosa succederà ai prezzi? Riprenderà l’inflazione? Se ciascuno si muoverà per conto proprio non è difficile prevederne l’esito e chi verrà additato come responsabile.
Seguirà la vicenda delle aperture. C’è un accordo tra le associazioni ma ci sono anche spinte centrifughe per rimetterlo in discussione.
Infine i contratti di lavoro. Quattro sono decisamente troppi. Oggi sono in dumping tra di loro. Esiste, inutile negarlo, un problema di costi che questa crisi aggraverà. Le imprese non si possono permettere un aumento del costo del lavoro. E aggiungo che non va sottovalutata la pressione sui costi indotta dalla libertà di movimento di cui godono nuovi e insidiosi concorrenti dalla rete. E il nuovo contratto non può non farsene carico.
Ma c’è anche un problema di contenuti da rinnovare. Un nuovo rapporto tra fisso e variabile legato all’andamento dell’azienda e/o del PDV potrebbe essere un punto di incontro che consentirebbe di rivalutare la contrattazione aziendale oggi in forte declino.
Occorre puntare decisamente verso modelli che favoriscano la responsabilizzazione e quindi il coinvolgimento dei lavoratori. Che, in questa crisi, hanno dato segnali importanti in questa direzione. Infine il tema della necessaria evoluzione dei sistemi bilaterali e del welfare contrattuale che, oltre a previdenza, sanità e formazione dovrebbero cominciare a sostenere strumenti di politiche attive a livello territoriale. Temi importanti su cui si giocherà una parte dell’immagine e il futuro prossimo della Grande Distribuzione dopo il Covid-19.
Certo occorrerebbe abbandonare la logica dei campanili e guardare con maggiore generosità ad un progetto che vada oltre i recinti attuali. Ma questo riguarda la volontà delle singole insegne e delle associazioni oggi presenti. Insieme all’innovazione del servizio e alla riorganizzazione dei formati credo questa siano la vere sfida con cui la GDO dovrà misurarsi nei prossimi anni.