i Corpi intermedi al decollo della terza repubblica: in campo o in panchina?

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Il copione sembra già scritto. Ciascuno per sé sperando che il contesto socioeconomico riporti a più miti consigli l’euforia dei vincitori delle elezioni politiche. C’è l’aumento dell’IVA che incombe in modo sinistro sulla ripresa, ci sono le riforme varate dai governi precedenti da mantenere per non compromettere i segnali positivi sull’occupazione.

C’è però un risultato elettorale che segnala, al di là degli stessi vincitori, un disagio profondo che attraversa la nostra società tra generazioni e territori. Un disagio che comunque lo si valuti cerca ancora, fortunatamente, uno sbocco parlamentare.

Suona un forte campanello di allarme a chi amministra la cosa pubblica, indica urgenze e nuove priorità sociali, invita alla riflessione. La cosiddetta nuova Politica proprio per carenza di risorse economiche ma anche per mancanza di esperienza si muoverà forse in modo maldestro, più con l’occhio a possibili prossime elezioni che, nelle intenzioni dei vincitori, dovrebbero servire per confermare un nuovo bipolarismo.

Quindi i vincitori saranno alla ricerca di quel tempo assolutamente necessario a chiunque per dare alle aspettative emerse uno sbocco possibile. Il dato indiscutibile alla base della protesta è comune a tutti i Paesi europei.

Ce lo ricorda Enzo Spaltro: “Se chi sta bene non fa star meglio chi sta male, prima o poi chi sta male fa stare peggio chi sta bene”. E se intorno allo stare male vengono proposti progetti politici semplici il puzzle prende immediatamente forma.

La nuova politica, per muoversi con rapidità, tenterà inevitabilmente di disintermediare con l’obiettivo di raggiungere i propri elettori scavalcando le necessarie mediazioni o cercando di dividere chi presidia il sociale. Non sarà un passaggio facile perché rischia di cogliere impreparati i diversi soggetti in campo.

Dario Di Vico, con la sua consueta franchezza lo aveva già sollevato nel suo ultimo libro “il Paese dei disuguali”. Lo ha ripreso in occasione dell’evento di Confcommercio a Cernobbio: “Non sarà facile quindi riscrivere il perimetro dello «spazio sociale», ci sarà bisogno di nuova elaborazione politico-culturale e poi di scelte programmatiche conseguenti.

A questa prova decisiva le forze sociali arrivano non in perfetta salute, per usare un eufemismo. Presentano, infatti, strutture in ritardo con i tempi e segnate dal mancato ricambio dei gruppi dirigenti. Si muovono sovente con la ripetizione di vecchi riti e non riescono a reinterrogarsi sul senso profondo della loro azione”.

Personalmente credo siano critiche utili su cui andrebbe avviata una riflessione. E sono critiche per tutte le organizzazioni di rappresentanza. Nessuna esclusa.

Susanna Camusso, da parte sua, ha immediatamente rilanciato. La CGIL è, sotto certi aspetti, la più esposta. Condivide buona parte delle critiche dei vincitori alla maggioranza che ha dato vita ai governi precedenti ma sa benissimo che le sarà precluso l’incasso. Anzi. Il rischio che venga progressivamente trasformata in un facile capro espiatorio dal prossimo Governo è molto alto.

Il vecchio sistema è ormai a fine corsa. Ciò che funzionava nel 900 nella Politica e nel Paese non sembra funzionare più. Ma questo è sempre più evidente anche per le organizzazioni di rappresentanza.

Difendere il perimetro così com’è serve a poco. Il nuovo, in costruzione disordinata, avanza anche attraverso una semplificazione partitica e sociale che ha individuato nell’intero establishment novecentesco un nemico a cui addossare i limiti di promesse difficili da mantenere.

Per questo le organizzazioni di rappresentanza rischiano molto su questo terreno. Nella campagna elettorale i vincitori le hanno corteggiate (essenzialmente quelle datoriali) forse più per irretire e convincere le rispettive basi al voto che per convinzione. Vedremo dalle prossime mosse cosa succederà.

Personalmente non credo che sia una buona politica limitarsi ad attendere gli errori (che ci saranno) per dimostrare l’inconsistenza di chi ha vinto sperando in un ritorno al passato. Quando devi rifinanziare tra il 15 e il 20% del debito pubblico all’anno non puoi permetterlo. Così come è illusorio pensare che convenga presentarsi in ordine sparso cercando di condizionare il nuovo Governo su singoli atti.

Occorrerebbe, al contrario, farsi portatori di una proposta di cambiamento su cui far convergere tutti gli attori in campo che consenta al Presidente Mattarella di sparigliare le carte in ragione degli interessi generali del Paese. I tempi necessariamente lunghi della crisi, a mio parere, potrebbero giocare a favore di questa ipotesi.

Un Governo che sappia affrontare seriamente i problemi usciti dalle urne (sostegno alla ripresa, fisco, lavoro, reddito) in un quadro sinceramente europeo. Chiamando tutti ad un senso di responsabilità.

La qualità della terza repubblica si misurerà proprio sulla maturità che una nuova generazione politica e sociale sapranno mettere in campo con l’obiettivo di ricreare una sintonia vera con il Paese.

Chiudersi all’interno delle proprie liturgie, dei propri recinti organizzativi e delle proprie pur legittime convinzioni  significa solo dimostrare le proprie difficoltà a mettersi in relazione con i cambiamenti in atto.

E questo vale anche per il sindacato dove i problemi, purtroppo, non mancano. Si odono in lontananza scricchiolii preoccupanti in alcune categorie importanti (terziario e alimentaristi) sull’azione unitaria del sindacalismo confederale che segnalano il rischio di un ritorno a divisioni che la stagione dei contratti nazionali sembrava avesse esorcizzato ma che potrebbero ritornare all’ordine del giorno se non viene dato seguito agli accordi sottoscritti con Confindustria, Confcommercio e le altre organizzazioni datoriali sulla rappresentanza.

Tra non molto si aprirà la stagione dei contratti nazionali dove il tema della collaborazione tra imprese e lavoratori potrà diventare centrale, in questa logica, pur declinato in modalità differenti.

Se la qualità della terza repubblica passasse proprio dal superamento degli antagonismi del 900 e dalla rimessa al centro degli interessi nazionali e dalla ricucitura delle profonde spaccature della nostra società avremmo tutti fatto un grande passo in avanti per diventare un Paese normale.

E gli stessi corpi intermedi avrebbero dimostrato, ancora una volta, la loro capacità di mettersi in gioco, quando è necessario.

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