La CGIL ha vinto la sua battaglia sui voucher e ha ritrovato una nuova unità interna propedeutica alla gestione unitaria congressuale e al suo riposizionamento sociale.
Come ho sempre sostenuto, chi ha parlato di leadership debole di Susanna Camusso, era fuori strada. Aveva ereditato una CGIL isolata politicamente e sindacalmente, scavalcata a sinistra dalla FIOM e a destra da altre importanti categorie e con un gruppo dirigente a fine corsa. È indubbio che la situazione, oggi, sia profondamente cambiata.
Adesso può legittimamente rilanciare la sua iniziativa provando ad uscire definitivamente dall’angolo dove la fine della stagione dei rapporti di forza favorevoli sul campo e degli accordi separati l’avevano in qualche modo confinata. Cisl e Uil confederali stanno accusando il colpo nel senso che non sembrano in grado di reagire propositivamente.
Tutto questo, però, porta con sé delle conseguenze. Essere corteggiati quasi esclusivamente dalla sinistra interna del PD e dagli scissionisti non può certo bastare alla CGIL anche perché oggi l’opposizione politica e sociale, quella vera, è ormai dislocata politicamente altrove e lo sarà a lungo e, nella quasi totalità delle aziende, tra i lavoratori occupati, c’è un indebolimento complessivo del messaggio sindacale generale.
Il rischio di essere ritornati al centro, si, ma del “nulla” è molto forte.
Confindustria è in difficoltà per diverse ragioni e questo ha lasciato il campo all’iniziativa delle federazioni nei singoli comparti economici. Federalimentare ha già segnalato la volontà di giocare le sue carte. Federmeccanica, dal canto suo, ha tirato fin dall’inizio la sua volata rendendo residuale il ruolo della casa madre sul cosiddetto “patto di fabbrica” trovando in FIM, FIOM e UILM solidi interlocutori. I differenti contratti nazionali hanno proposto strade diverse. Tutte andate a buon fine.
L’impressione è che il “rinnovamento” contrattuale si possa diffondere, pur in differenti modalità, in tutte le categorie più importanti seppure in modo differenziato.
Sul versante del terziario il contratto firmato da Confcommercio si presta, per come è stato concepito, a ulteriori adattamenti. La stessa neutralizzazione dell’ultima tranche in pagamento per oltre tre milioni di lavoratori, come misura concordata tra le parti, rappresenta una dimostrazione evidente di capacità di adattamento all’evolversi della realtà.
I contratti che mancano all’appello in questo comparto sono il frutto più di inesperienza negoziale delle controparti datoriali che da distanze ideologiche con i sindacati di categoria quindi, prima o poi, sono destinati a trovare una loro conclusione.
Per questo la vicenda mal gestita da tutti sui voucher, il cui epilogo è stato determinato più dal dibattito interno al PD che dal problema in sé, può innescare delle conseguenze che, se non gestite, rischiano di paralizzare l’iniziativa sindacale e quindi il sistema delle relazioni industriali nei prossimi mesi.
La CGIL faticherà a proporsi, da una parte, con un atteggiamento moderato nei differenti comparti economici nella contrattazione aziendale e di categoria e, dall’altra rivendicare una forte intransigenza sulla sua “carta dei diritti” incalzando le altre organizzazioni confederali proprio dove sono oggettivamente più deboli. Il rischio è che le contraddizioni esplodano riportando il sistema alla stagione della competizione e degli accordi separati anche in considerazione del possibile mutamento del quadro politico prossimo venturo.
Inoltre questo atteggiamento difficilmente potrà essere accettato dalle imprese. Alle aziende, il contesto e i vincoli che si creano a livello generale, pesano tanto (se non di più) di quanto siano soggettivamente disposte a concedere in termini di “rinnovamento” e di partecipazione. Qui sta il punto.
Cisl e Uil, sempre a livello confederale, non sembrano in grado di sottrarsi da questa morsa. Il “balbettio” sui voucher è lì a dimostrarlo.E posizionarsi come alternativa sociale al grillismo, da parte della CGIL, di questi tempi avrebbe l’unica conseguenza di tirar loro la volata.
Il Paese è indubbiamente stanco di narrazioni mirabolanti. Questo è vero. È però preoccupato per un futuro incerto, e si sente sempre più schiacciato economicamente verso il basso. Nelle imprese stesse si sta diffondendo la convinzione che il 2017 non migliorerà nulla nei fondamentali economici e che il Governo poco farà di positivo.
Ma a questa deriva non si risponde accompagnandola quasi fosse ineluttabile. A mio parere c’è solo una strada possibile. Se il sindacato, tutto il sindacato, non vuole essere risucchiato in un contesto che rischia di essere sempre più ingestibile deve rilanciare l’iniziativa sul “patto per il Paese”. Non c’è alcuno spazio fuori da questa opzione.
Per chi è nel mondo del lavoro, oggi, la priorità è restarci. Per i giovani è, al contrario, entrarci. Per gli altri è, quanto meno, di disporre di un reddito comunque costruito e della possibilità di rientrare in gioco prima possibile.
Le risposte a questi problemi, però, non si trovano ritornando ciascuno sui propri passi. Si trovano solo facendosi carico, con grande generosità, di un futuro da condividere e nel quale sapersi anche disegnare un nuovo ruolo. Ovviamente molto dipenderà anche dalle organizzazioni datoriali e dalla loro capacità di proposta. Ma molto dipenderà anche da chi, in tutto il sindacato confederale, è chiamato ad individuare una rotta alternativa. CGIL compresa.