Forse è un caso o forse, no. Due importanti avvenimenti in campo sindacale si sovrappongono lanciando inevitabilmente segnali diversi tra di loro. Entrambi poco visibili e questa non è una buona cosa.
Da un lato il Congresso della CGIL a Bari dal titolo “Il Lavoro è’”, dall’altro l’iniziativa della FIM CISL, a Milano, dal titolo “SmartUnion4BetterFuture”. Si potrebbe tradurre, semplificando:”Il lavoro sarà”.
A Bari due culture sindacali profondamente radicate nella CGIL si confronteranno e, al di là del vincitore, portano allo scoperto ambiguità poco affrontate ma mai risolte nel più grande sindacato italiano.
Il documento e il percorso congressuale le hanno ben mascherate ma la preoccupazione che Maurizio Landini porti in CGIL la cultura politica e organizzativa della FIOM ha fatto emergere tutto il malcontento che il sindacato dei metalmeccanici ha saputo, nel tempo, attirare su di sé.
Maurizio Landini a differenza di Vincenzo Colla è un “nativo” metalmeccanico. Non si è contaminato con altre esperienze in altre categorie o in strutture orizzontali. L’accusa che si percepisce è che i fiommini si comportano come se tenessero sempre sotto esame tutti gli altri pur non potendo vantare analoghi risultati.
Che un’area vasta della CGIL manifestasse un dissenso profondo, quasi fisico nei confronti di Landini era assolutamente prevedibile. E che in questa parte crescesse la consapevolezza di doverne annullare o ridurre l’impatto era assolutamente inevitabile.
Questo però ha portato in superficie le differenze sulla natura e sul modello di sindacato che il documento congressuale aveva in qualche modo reso meno evidente. Certo è possibile che l’esigenza di evitare un confronto aspro e dagli esiti incerti possa portaread una mediazione e che, questa mediazione, rimandi ancora una volta, il problema di fondo.
Sarebbe un peccato perché è anche l’elemento che potrebbe innescare l’elaborazione di una strategia comune con le altre organizzazioni confederali. Colla, Martini e molti altri sono convinti che sia maturo il tempo della partecipazione. E che sia, di fatto, l’ultima vera chance per il sindacato confederale.
Landini è, al contrario, convinto che il modello sindacale che hanno in mente le categorie che non condividono la sua designazione sia subalterno e inefficace. Sostanzialmente una trappola. Però di queste differenze non si parla. E quindi, parafrasando Adenauer: pur vivendo sotto il medesimo cielo l’orizzonte resta diverso. E questo impedisce alla CGIL di giocare il proprio ruolo fino in fondo.
A Milano, al contrario, si respira un’altra aria. Le idee sono chiare. Due giorni di ritiro per confrontarsi e discutere sul futuro. Del lavoro e della società senza la paura del nuovo, sapendo che le navi non sono costruite per restare in porto. Così come il sindacato.
Battere la paura, ricostruire i legami sociali, praticare la solidarietà rappresentano i messaggi positivi, costruttivi, che possono unire le diverse generazioni. Ed è un grave errore tentare di reimpostare l’azione sindacale inseguendo il populismo politico. E‘ una battaglia persa. E, soprattutto, consegna le speranze e la voglia di cambiamento ai profeti di sventura.
Non è nuovismo fine a se stesso. C’è un confine etico invalicabile tra scelte politiche e sindacalismo confederale. Non si può essere sindacalisti e razzisti. Né tollerarne i comportamenti. Il nuovo passa anche da un’intransigenza etica. Le persone, il loro destino, Il senso di una comunità in cammino il ricatto del breve, la paura, si affrontano solo con una visione del mondo positiva, costruttiva, solidale.
E se le persone tornano al centro, torna al centro il lavoro, la voglia e la capacità di cambiare, di collaborare e quindi di partecipare allo sviluppo della propria impresa, nella comunità e nel contesto in cui è inserita e dell’intera società.
Accettare la sfida dell’innovazione significa pensare ad una personalizzazione della formazione, ad nuovo welfare, a nuovi modelli contrattuali che favoriscano convergenze e responsabilità.
Ad un Paese e all’insieme dei corpi intermedi che hanno ancora la testa saldamente nel 900 è fondamentale che almeno la parte più sensibile del sindacato sia di stimolo. Anche a Bari c’è chi, pur salpando da un altro porto sta riflettendo su nuove rotte.
Ed è proprio partendo da questi temi che si può ricostruire un tessuto lacerato dalla deriva identitaria di questi anni. Il rinnovamento del sindacato passa proprio da questi momenti di riflessione e di apertura. Non si può pensare che il cambiamento riguardi solo gli altri. Riguarda ciascuno di noi.
E’ vero che questi due importanti avvenimenti rischiano di passare sotto tono anche perché come ha detto giustamente Marco Bentivogli “i bla-bla del sindacalese non bastano più” ma personalmente resto convinto che, anche da queste iniziative, dalla partecipazione che generano e dalle potenzialità di cui sono portatrici che si può determinare quel salto generazionale indispensabile per affrontare il cambiamento e dare una prospettiva nuova al nostro Paese.