Ci sono aspetti nella vicenda ILVA che appaiono indubbiamente sconcertanti per chi, interessato, osserva da fuori. Il dibattito sembra concentrato su due punti: il numero degli esuberi e le condizioni di ripartenza per chi resta.
La strategicità o meno di quelle produzioni per il nostro Paese, Il piano industriale, la ricaduta sulle attività economiche legate all’ILVA (forniture e servizi) , gli aspetti ambientali in termini qualitativi e temporali, gli investimenti per riqualificare siti e persone, restano ancora sullo sfondo.
“Nessuno sarà lasciato a casa” è il mantra adottato. Un messaggio già poco rassicurante per chi lavora in quelle fabbriche figuriamoci per chi vive e lavora grazie a quelle fabbriche.
Un altro dato sconcertante è che molti dei soggetti in campo si sovrappongono al sindacato. La politica, perennemente in campagna elettorale, ma anche alcuni esponenti del Governo che, in questo modo, rischiano di abdicare ad un ruolo indispensabile di mediazione che sarà comunque necessario per chiudere una vicenda così complessa.
AM InvestCo ha le idee chiare. Nel forum sui trasporti di Confcommercio a Cernobbio il CEO Europe Aditya Mittal non si è nascosto dietro un dito. Ha sottolineato le potenzialità dell’azienda, l’equilibrio da individuare con tutti gli stakeholder e le comunità coinvolte, la volontà di andare fino in fondo.
La trattativa è sicuramente partita con il piede sbagliato ma una cosa appare chiara: i potenziali acquirenti non hanno l’anello al naso. Né sono disponibili a perdersi dentro le fumisticherie della politica nostrana.
Se equivoco c’è stato, il Ministro Calenda ha fatto bene a tenere il punto e ad evitare un confronto con i sindacati che avrebbe solo fatto esacerbare ulteriormente gli animi. Il confronto adesso può ripartire senza pregiudiziali. Né sui numeri, né sulle condizioni di ripartenza.
La priorità va data al piano industriale e alla sua credibilità in un contesto globalizzato. Ai tempi di implementazione, agli investimenti necessari sugli impianti e sulle risorse umane, alle ricadute sull’indotto e sui servizi.
Parallelamente dovrebbe svilupparsi un confronto con il Governo sulle attività che impegneranno gli esuberi, la loro riqualificazione e il loro reddito. E quindi le garanzie sull’ambiente e il contesto perché tutto si tiene.
Il sindacato ha davanti un compito molto difficile. Deve, come sempre, saper “guardare l’albero, immaginando la foresta”, capire la consistenza e l’affidabilità dell’interlocutore, individuare soluzioni che convincano i lavoratori coinvolti ma anche le comunità locali e tenere a bada le incursioni della politica.
Sicuramente ha nel Ministro Calenda un alleato importante. Non già per quello che è avvenuto nei giorni scorsi ma perché, a mio modesto parere, interpreta un ruolo nuovo moderno ed efficace di difesa degli interessi nazionali in un contesto globalizzato.
L’azienda, dal canto suo, deve decidere, su cosa giocare le sue carte e se, questo investimento, giustifica alcune mediazioni, comunque indispensabili. La partita è troppo importante.
Una cosa però è certa. Il negoziato avviene in un contesto dove tutti i soggetti seduti a quel tavolo hanno forza, credibilità e determinazione ad andare fino in fondo. Soprattutto il sindacato.
Dopo la firma del contratto dei metalmeccanici una prima prova decisiva di unità e di visione del futuro. Staremo a vedere.