Difficile pensare ad un argomento dove il PD non dovrebbe avere dubbi di posizionamento come la vicenda ILVA. Oltre ventimila posti di lavoro a rischio, la rinuncia a un punto di PIL e una perdita di 900 milioni di euro. Indubbiamente si tratterebbe di una grave sconfitta per tutti.
Marco Bentivogli non ha dubbi: “Il silenzio del Pd su ILVA e sulle scorribande di Emiliano è il segno dell’assenza del lavoro tra le sue priorità”. Il punto sta qui. Se per il PD la soluzione della vicenda ILVA è, in questa fase politica, assolutamente marginale così come lo è per i vincitori delle elezioni, la partita rischia di essere chiusa prima ancora di cominciare.
Certo il Ministro Calenda ha sbagliato. Lasciare il tavolo sfruttando una provocazione di qualche sindacalista è stata una ingenuità che rischia di costare molto cara perché è evidente che le fila di chi gioca allo sfascio si sono ingrossate. E le provocazioni sono all’ordine del giorno.
A questo si aggiunga il fatto che i tarantini con i loro voto hanno contribuito alla fazione di chi pensa che ILVA non ha alcuna chance. Aspettare il nuovo Governo, se mai ci sarà, significa però solo puntare alla drammatizzazione dello scontro con esiti sul piano sociale e economico tutt’altro che scontati.
Il percorso che può portare ad una intesa è veramente complesso in queste condizioni. Però non ha alternative. Lo sanno bene i sindacati che quindi dovrebbero chiedere unitariamente la ripresa immediata del negoziato lo sa bene ArcelorMittal che non può pensare, in una situazione come questa, di limitarsi a dettare le sue condizioni. Lo sa bene il Governo che conosce i costi del fallimento di questa vicenda.
Non capire che Taranto rischia di essere l’epicentro di tutte le contraddizioni sociali che attraversano il Sud in un momento come questo potrebbe costatare molto caro al Paese. C’è chi soffia sul fuoco e chi pensa di strumentalizzare le opposte fazioni comunque presenti in quella città. L’errore di fondo è però farsi condizionare da ciò che è avvenuto nel Paese, al sud e a Taranto in particolare il 4 marzo.
Soprattutto dai sindacati e dall’azienda che vorrebbe subentrare. Una soluzione, seppur difficile, presuppone la possibilità di confrontarsi, di costruire insieme un puzzle complesso. Per questo serve un negoziato vero, altrimenti sarebbe bastato un fax alle parti. C’è una attività economica importante da far ripartire in un contesto socio economico e ambientale diffidente per le numerose promesse non mantenute.
C’è una politica locale decisamente insufficiente e non in grado né di capire né di guidare il cambiamento e c’è un sindacato confederale in grande difficoltà. Il compito del Governo, di questo o di quello che verrà (se mai verrà), è di contribuire a comporre una situazione unica, complessa, potenzialmente esplosiva perché il rischio che prevalga il panico e tutto precipiti in una situazione di ingovernabilità è molto alto.
Decine di migliaia di persone tra diretti e indotto sono preoccupate per il loro posto di lavoro. I risultati elettorali farebbero pensare che molti di loro lo danno già per perso magari pensando che ci sia una soluzione di carattere assistenziale a portata di mano che possa soddisfare tutti che a mio parere sarebbe un grave errore per il futuro di quel territorio.
Certo il possibile investitore è spaventato da una situazione di questa complessità ma valutare vincoli e opportunità concrete prevede comunque un negoziato vero. Non condizioni pregiudiziali.
E questo negoziato andrebbe rivisitato ben più in profondità di quello che appare ai più come un prendere e lasciare. Ha ragione Marco Bentivogli. Occorre riprendere immediatamente il confronto diffidando di chi propone ricette semplici quanto inattuabili. Ed evitando inutili personalismi.
Dare per scontato che ci sarà un nuovo Governo tra poco in grado di fare di più e meglio di quello in carica è una illusione pericolosa. Io credo che sia interesse di tutti chiudere la trattativa prima che ciò avvenga. Anche della stessa ArcelorMittal se ritiene ILVA un investimento potenzialmente redditizio seppure nel tempo.
Dall’altro lato Governo e Enti locali dovrebbero lavorare in sintonia accantonando le tensioni e le provocazioni che possono ostacolare il negoziato stesso. Il contrasto di interessi e le preoccupazioni tra i cittadini tarantini (anche espressa in modo plastico nelle urne a marzo) non aiuta chi lavora per trovare una soluzione.
Però, a mio parere, il sindacato e l’azienda dovrebbero cambiare passo e cercare di riportare questa vicenda all’interno di uno schema nuovo. Se non nasce un progetto innovativo dove gli interessi e le istanze reciproche cercano di trovare una ricomposizione diversa da quelle ricercate fino ad ora che li spinga a collaborare e ad essere alleati perché impegnati a dare un futuro a questa realtà economica questa trattativa fallirà perché il limite evidente che balza agli occhi è proprio nell’impostazione del negoziato.
Un approccio tradizionale che sembra spingere una multinazionale a pensare di poter dettare condizioni e un sindacato costretto a subirle in un contesto esterno apparentemente rassegnato alla chiusura dell’azienda. Così non si va da nessuna parte.