Imprenditori immigrati e commercio tradizionale…

Tweet about this on TwitterShare on FacebookShare on LinkedIn

Oggi nessuno fa più caso se la pizza è sfornata da un pizzaiolo egiziano o napoletano. Ci abbiamo messo qualche decennio a capire che una pizza fatta bene e il pizzaiolo che la prepara sono due cose diverse. Secondo un’elaborazione  della  Camera di commercio di Milano su dati del registro imprese a Milano ci sarebbero 119 pizzaioli egiziani contro 31 campani e 10 napoletani doc A Roma il 18,1% delle pizzerie e’ gestita da egiziani e il 10% nella provincia di Monza e Brianza. La tradizione resiste ancora a Napoli dove solo due egiziani risulterebbero titolari di un ristorante e nessuno registrato come pizzeria.

Se guardiamo i dati al 31 dicembre 2023 in Italia ci sono 775.559 imprenditori nati all’estero (10,4% del totale) e 586.584 imprese a conduzione prevalentemente straniera (11,5%). Negli ultimi dieci anni (2013-2023), appare evidente la diversa tendenza tra imprenditori nati in Italia (-6,4%) e nati all’estero (+27,3%). Anche nell’ultimo anno il numero di immigrati è aumentato (+1,9%), mentre quello dei nati in Italia ha subito un lieve calo (-0,6%). (Elaborazioni Fondazione Leone Moressa). 2,4 milioni di lavoratori immigrati, producono 154 miliardi di PIL (9%). Sono previsti almeno altri 574 mila ingressi per lavoro tra il 2023 e il 2026. E  il fabbisogno di manodopera rimane alto a causa di crisi demografica e gap di competenze.

La popolazione straniera residente in Italia si conferma stabile a quota 5 milioni ad inizio 2023, pari all’8,6% del totale. L’età media degli stranieri è 35,3 anni, contro i 46,9 degli italiani. In Europa, i Paesi con più immigrati per lavoro sono Polonia, Spagna e Germania. In Italia, il rapporto tra ingressi per lavoro e popolazione residente (11,3 ogni 10 mila abitanti) rimane per ora inferiore rispetto alla media Ue (27,4). Il primo canale d’ingresso in Italia, infatti, rimane il ricongiungimento familiare (38,9% del totale). L’incidenza sul PIL aumenta sensibilmente in Agricoltura (15,7%), ed Edilizia (14,5%). In dodici anni (2010-22), gli immigrati sono cresciuti (+39,7%) mentre gli italiani sono diminuiti (-10,2%). Incidenza più alta al Centro-Nord e nei settori di Costruzioni, Commercio e Ristorazione.

Nel commercio alimentare, da noi, per ora sono essenzialmente piccoli negozi a conduzione familiare situati in centri commerciali periferici o in quartieri periferici frequentati prevalentemente da immigrati asiatici, o nord africani. Nonostante la loro recente crescita, questi negozi rappresentano ancora una percentuale estremamente modesta sul totale dell’intero comparto alimentare. Oggi temo che chi osserva i fenomeni si limita a guardare il presente proiettandolo nel futuro.  A mio parere il destino del commercio, piccolo o grande che sia,  è ben diverso. Oggi non parlo di omnichannel, multinazionali o tecnologia. Né di affermazione o crisi di formati distributivi, di sconti o di promozioni. Penso però che tra i diversi fenomeni da analizzare, dovremo fare i conti anche con altre situazioni  a cui non siamo ancora preparati. Negozi per ora, che sembrano lontani anni luce, dalle nostre abitudini.

Negli Stati Uniti i negozi di alimentari asiatici non sono più attività di nicchia: sono un fenomeno culturale come scrive un interessante articolo del New York Times. Negli anni ’70 e ’80, con l’aumento dell’immigrazione asiatica, hanno aperto drogherie come H Mart, Patel Brothers, una drogheria indiana fondata a Chicago, e 99 Ranch Market, originariamente incentrata su alimenti provenienti da Cina e Taiwan, per soddisfare la domanda di ingredienti che avessero il sapore di casa. Fondamentali per le comunità di provenienza. Successivamente, quegli stessi negozi si sono trasformati in catene dal design elegante, con app per le ordinazioni e sedi in tutto il Paese, con l’obiettivo di servire i diversi gruppi etnici in rapida crescita ma anche milioni di altre persone che ora desiderano sapori come Shin Ramyun, chili crisp, chaat masala e chai.

L’H Mart di oggi è un’azienda da 2 miliardi di dollari con 96 negozi. Il mese scorso, la catena ha acquistato un intero centro commerciale a San Francisco per 37 milioni di dollari. Patel Brothers ha 52 sedi in 20 Stati, con altri sei negozi previsti nei prossimi due anni. 99 Ranch ha aperto quattro nuove filiali proprio l’anno scorso, portando il suo raggio d’azione a 62 negozi in 11 Stati. Weee!, un negozio online di alimenti asiatici, è valutato 4,1 miliardi di dollari. I negozi di alimentari asiatici non sono più attività di nicchia: sono un fenomeno culturale. Gli americani sono diventati profondamente innamorati dei sapori asiatici: dall’aprile 2023 all’aprile 2024, secondo la società di analisi dei dati Circana, le vendite di articoli della “corsia asiatica/etnica” nei negozi di alimentari statunitensi sono cresciute di quasi quattro volte rispetto alle vendite complessive.

E più di qualsiasi ristorante, libro di cucina o video online, sono gli alimentari asiatici a guidare questo cambiamento. “I clienti asiatici saranno sempre la priorità, anche se il design del negozio o la confezione dei prodotti cambia” sostiene l’azienda. “Si tratta della sensazione di sentirsi a casa quando entrano nel negozio”. L’autenticità è proprio l’attrattiva per molti clienti non asiatici. “Trovo affascinante che sugli scaffali ci siano cose che non ho idea di cosa siano”, ha dichiarato una cliente dell’Iowa, che ha iniziato a fare acquisti nell’Asian Market perché lei e suo marito sono diventati vegani e volevano del tofu di alta qualità a un prezzo ragionevole. Molti clienti hanno detto di sentire la mancanza dei negozi originali, le umili ancore della comunità dove si ritrovavano da bambini o che li facevano sentire benvenuti nei primi anni di vita in un nuovo Paese. Ma anche se si espandono, molti di questi negozi di alimentari continuano a funzionare come cosiddetti terzi luoghi, spazi di aggregazione sociale.

È vero come ci ha spiegato Valerio De Molli di Thea che i ristoranti italiani vanno alla grande nelle principali città del pianeta. Noi esportiamo cucina e Made in Italy in tutto il mondo. È da noi che cambiano le abitudini alimentari.  Le famiglie si restringono, crescono gli anziani, i giovani seguono schemi alimentari sempre meno tradìzionali  e l’immigrazione cresce rispondendo ad esigenze inevitabili. E quindi non è difficile accorgersi che  questi cambiamenti sono già in atto. Basta girare per le città e guardarsi intorno…

Tweet about this on TwitterShare on FacebookShare on LinkedIn

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *