La contraddizione è solo apparente….

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Secondo Dario Di Vico ( http://bit.ly/2u9YNOu  ) esisterebbe una contraddizione nei comportamenti delle imprese italiane che da un lato manifestano, spesso pubblicamente, la volontà di investire sul proprio capitale umano attraverso il welfare aziendale e la formazione ma, dall’altro preferiscono continuare ad utilizzare tutta la flessibilità possibile sul fronte delle assunzioni. A mio parere è una contraddizione solo apparente.

Innanzitutto due problemi sullo sfondo. Usciamo da un periodo di grandi difficoltà e di ristrutturazioni dove le aziende hanno riallineato i loro organici a tempo indeterminato e il loro utilizzo.

I rapporti sono più chiari. Spesso più duri. Non esistono più (o quasi) le aziende “mamma”. Esistono aziende dove lo scambio è costituito da crescita professionale, formazione e welfare, in cambio di professionalità, coinvolgimento e adesione ai valori aziendali. Ovviamente per chi è dentro il perimetro.

Quindi maggior impegno e saturazione delle attività richieste, polivalenza delle mansioni e accorpamento di ruoli manageriali. L’organico è spesso tirato al limite e le possibili aree di ottimizzazione pur difficili da individuare sono sempre all’ordine del giorno.

Aggiungo che in molte imprese l’organico resta quantitativamente (non qualitativamente) ridondante. Ma con costi certi e poche soluzioni praticabili a portata di mano. In secondo luogo le nuove modalità di assunzioni a tutele crescenti, contenute nel Jobs Act, presentano ancora margini di ambiguità che spingono le aziende ad una forte cautela nell’utilizzarle.

E infine, per le aziende di oggi, i trentasei mesi previsti per un contratto a tempo determinato sono un periodo di valutazione congrua non tanto e non solo dell’individuo ma soprattutto del contesto economico e del proprio mercato di riferimento molto più determinanti che in passato.

Trentasei mesi, checché se ne pensi, sono un’era geologica per un’azienda, nella quale può cambiare tutto. Quindi, con qualsiasi modalità utilizzata, le assunzioni si fanno con il contagocce. Si sostituisce chi lascia solo se non se ne può fare a meno e solo dopo attente riflessioni organizzative. Difficilmente con un giovane alle prime armi.

Meglio “l’usato sicuro” soprattutto perché il mercato del lavoro offre ottimi professionisti spesso ad un costo decisamente inferiore rispetto al passato. Detto questo che forse chiarisce alcune delle ragioni di fondo che cercano di spiegare la cautela generale nel procedere ad assunzioni comunque etichettate ritorno sulla apparente contraddizione sollevata da Dario Di Vico perché è proprio questo contesto di difficoltà che spinge le aziende ad investire concretamente sul proprio capitale umano.

Il futuro di un’impresa non lo si costruisce oggi sulle modalità di assunzione ma sulle persone. E questo vale sia per quelle già presenti in azienda da ingaggiare con modalità e strumenti nuovi sia quelli che, pur contratti diversi e di differenti generazioni, vengono comunque coinvolte.

La differenza, oggi, sta tutta qui. Ingaggiare, mobilitare, coinvolgere, proporre opportunità di crescita professionale non più attraverso vincoli fittizi come in passato ma attraverso formazione qualificata e partecipazione ad attività e progetti.

Questo con l’obiettivo di mettere in condizione le persone di dimostrare la loro volontà di apprendere e di crescere nell’azienda stessa o altrove capitalizzando l’esperienza professionale effettuata per il proprio futuro.

Se per il Governo la Politica  e i Sindacati l’importante è assumere a tempo indeterminato più giovani possibile, sempre e comunque, non è così per le singole aziende. L’equazione tempo indeterminato uguale investimento sull’individuo non vale più.

E non è certo incentivando una modalità o disincentivandone un’altra che si ottiene un risultato duraturo. È il mercato del lavoro che deve funzionare diversamente. Quindi le poche risorse dovrebbero essere finalizzate a rendere il lavoratore in grado di affrontarlo e non di temerlo. Se ne gioverebbero sia lui che l’impresa che lo assume perché il “patto” sarebbe molto più efficace per entrambi. Impresa e individuo investono con lungimiranza se il contenuto dello scambio è chiaro.

Il punto è che fino a quando l’obiettivo dell’intero sistema sarà l’assunzione a tempo indeterminato in un’azienda e non l’acquisizione di capacità e competenze valide a 360 gradi sul mercato quell’assunzione sarà effimera qualunque sia la modalità prescelta.

Ma soprattutto non ci sarà alcuna convenienza reciproca ad investire né sulla persona, da parte dell’azienda, né sulla propria crescita professionale, in quell’azienda, da parte della persona.

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