L’intuizione condivisa tra le parti nell’ultimo contratto dei metalmeccanici è evidente. La formazione deve trasformarsi in un diritto soggettivo per accompagnare l’individuo nel suo percorso professionale.
Il mondo del lavoro è cambiato. Le aziende modificano in continuazione strategie, interlocutori di business, approcci organizzativi. Nelle filiere si specializzano ma rischiano di subire comunque la forza di chi determina le regole del gioco. Cadono i confini tra ciò che è industria e ciò che prima era terziario, spesso le persone sopravvivono più delle loro aziende e questo impone cambiamenti continui. Una delle differenze rispetto al passato è però la rapidità di questi cambiamenti imposti e l’obsolescenza che creano nelle differenti professionalità se non costantemente aggiornate.
L’elemento centrale quindi sono le transizioni che coinvolgono le persone e le organizzazioni. Fusioni, acquisizioni, cambiamenti organizzativi, introduzione di tecnologia, presuppongono un approccio nuovo e una consapevolezza che il cambiamento è continuo e che in capo alla persona c’è una responsabilità evidente che, in passato, non aveva questa rilevanza.
La difficoltà con cui questa conquista decolla dimostra che gli strumenti oggi a disposizione sono insufficienti e quindi il rischio che imprese e lavoratori non comprendano fino in fondo la portata di questo cambiamento è molto alto.
L’esperienza che ho potuto fare in cinque anni al CFMT sui dirigenti aziendali del terziario mi ha fatto comprendere che la formazione deve essere inserita in processi aziendali più ampi. Così come per le persone deve rispondere ad esigenze che vanno necessariamente oltre la quotidianità. Ovviamente in molte aziende è già così. Ma un diritto dovrebbe avere cittadinanza ovunque. L’individuo, indipendentemente dal livello professionale in azienda, vive ansie, preoccupazioni per il proprio futuro ma anche voglia di crescere e di mettersi alla prova.
Valorizzare queste disponibilità non significa solo proporre un corso di formazione. Per questo, prima di affrontare il tema della qualità della formazione in funzione degli obiettivi che ci si propone è necessario consentire al beneficiario di valutarsi o essere valutato. Per aiutarlo a capire il proprio punto di partenza. Le persone non sono tutte uguali.
Orientarsi tra mille proposte è difficile per un’azienda, figuriamoci per un individuo. Se mettiamo da parte la formazione tecnica e sulla sicurezza che seguono schemi molto precisi i processi formativi devono essere parte di un sistema complesso di gestione e sviluppo delle persone che non può che partire da colloqui capo/collaboratore che consentano di evidenziare punti forti e aree di miglioramento sui quali intervenire, problemi relazionali da affrontare, aspetti di clima, aspettative della persona e vincoli organizzativi che se non inquadrati correttamente rendono la formazione in sé assolutamente inutile.
La persona deve sapere come è giudicato dall’azienda così come l’azienda deve ascoltare i propri collaboratori. Se entrambe le parti concordano vincoli e opportunità il processo formativo acquisisce valore perché stabilisce una relazione adulta tra le parti. Valorizzare capacità e competenze è fondamentale per l’azienda che “ingaggia” la persona ma consente al lavoratore di investire su di sé guardando anche oltre il proprio presente lavorativo.
Quindi se almeno una volta all’anno la persona può interloquire con il proprio capo e a questo segue un processo oggettivo di valutazione/autovalutazione si creano le premesse indispensabili dentro le quali inserire le traiettorie formative aziendali e individuali. È altrettanto evidente che se si crea una relazione “adulta” la formazione deve essere di qualità e deve restituire valore aggiunto ad entrambi i contraenti.
Non è, purtroppo, sempre così. Cataloghi inutili, enti che ripetono stancamente un copione, ricerca della quantità a scapito della qualità, test di apprendimento di fine corso ridicoli. In poche parole un business che la formazione finanziata ha accentuato deresponsabilizzando spesso le aziende e insinuando nei singoli l’idea che la formazione sia sostanzialmente inutile. Non è così!
C’è modo di valutarne la qualità così come di certificarne la concretezza dell’apprendimento. Occorre fare selezione in un mercato che è purtroppo sfuggito di mano. È però fondamentale ripartire ad altri livelli da ciò che deve essere la formazione post scolastica per ciascun individuo fino alla pensione. Non è solo un problema di quantità di tempo da dedicare che per l’azienda rappresenta anche un costo se non finalizzato.
È un problema di contenuti, metodologie, certificazioni che dovrebbero essere affrontate in modo nuovo. La tecnologia, i processi di valutazione, la possibilità di affiancare esperti in grado di affrontare problematiche specifiche, possono produrre risultati di grande rilievo sul clima e sulle relazioni interne che un’azienda non dovrebbe mai sottovalutare. L’intuizione contrattuale è stata fondamentale.
Adesso occorrerebbe fare un passo in avanti.