I nodi purtroppo stanno venendo al pettine. La Grande Distribuzione ha retto il primo impatto del Coronavirus solo grazie alla sua “fanteria”. Logistica e soprattutto il personale di filale hanno tenuto come e quanto hanno potuto. Organici all’osso, malattie ordinarie e straordinarie del personale, turnazioni saltate, paure per sé e per i propri cari, protezioni da progettare, consumatori disorientati dalla scarsità di certezze stanno creando una situazione di pesantissima difficoltà interna in una situazione straordinaria di crisi e disorientamento generale che riguarda più o meno tutte le insegne soprattutto nelle zone più critiche. E non è finita qui.
Il contesto è feroce. Da un lato c’è il dramma delle imprese chiuse. Forse non ce ne rendiamo ancora conto ma, prima o poi, scopriremo che un significativo numero di quelle imprese rischiano concretamente di fallire durante questo periodo. Non è un problema di incentivi o di sostegno al reddito dei lavoratori. Nessuna azienda può restare per 3/4 mesi in questa situazione.
Dall’altro la virulenza del Coronavirus non lascia alternative. Chiudere tutto è l’unica ricetta possibile. In mezzo c’è la Grande Distribuzione insieme agli ospedali e ai servizi essenziali. Innanzitutto, come ho già scritto, è necessario dare merito alla “fanteria”. Cassiere, banconisti, addetti al caricamento, capi reparto direttori e su spesso fino ai capi area, si sono trovati in trincea a reggere l’urto necessariamente disordinato e imprevedibile dei consumatori.
La GDO, e questo va riconosciuto a tutte le insegne, ha evitato il panico sociale, ha garantito i rifornimenti sui lineari, ha supportato lo sforzo nella fase iniziale impedendo il caos. La maggior parte delle insegne hanno fatto quello che hanno potuto ma adesso il gioco comincia a complicarsi nei tempi e nelle modalità e fa così emergere i limiti di un comparto che fatica nel suo complesso a darsi una visione e un’autorevolezza complessiva con le istituzioni nazionali comprensibilmente impegnate su problematiche molto complesse. Soprattutto a farlo con la rapidità necessaria.
C’è un’evidente difficoltà a dotarsi di visione comune. Nessuna interlocuzione forte con le istituzioni centrali. Una insegna si interfaccia con Bonaccini, l’altra con Fontana, l’altra ancora con Zaia o Fugatti. Ciascuna segue il proprio destino. O spinge perché la propria legittima decisione di chiudere nei festivi coinvolga anche l’insegna concorrente che non aveva alcuna intenzione di farlo. Adesso è il turno dei termometri laser scaricati sulla GDO. Ottima idea degli esperti che però nessuno al momento spiega chi dovrebbe utilizzarli, come e cosa fare con i clienti.
La situazione se non gestita con autorevolezza e centralmente rischia di non rendere la GDO più consapevole collettivamente del nuovo ruolo sociale che le è stato assegnato. Lasciate sole le insegne non potranno che soccombere, salvo le più grandi e strutturate, travolte dai problemi di gestione quotidiana dei punti vendita. Hanno retto ai primi assalti ma pochi hanno realizzato che non possono uscire dal tunnel uno alla volta. O tutti insieme, o solo i più strutturati. C’è il rischio di una vera selezione darwiniana.
Pensare di reggere in una fase straordinaria che può protrarsi per mesi semplicemente riducendo le turnazioni o fermandosi le domeniche è una scorciatoia fai da te che non risolve nulla. Nel frattempo si sta creando una pericolosa spaccatura tra chi vede il problema esclusivamente fuori dal punto vendita e chi lo vede solo dall’interno.
Addirittura c’è chi parla di “educazione” da impartire al consumatore ormai ritenuto “isterico”. È la legge del contrappasso. Anni e anni a spingere i clienti a trasformarsi in “cherry pickers” tra un insegna e l’altra a caccia di promozioni spinti ad alzare il carrello medio, oggi improvvisamente catalogati come protagonisti di comportamenti perniciosi. Anche da chi ha contributo a crearli. Improvvisamente le teorie del sociologo Renato Curcio (più noto per altre attività pregresse) sulla presunta isteria del consumatore che si è trasformato nel nuovo nemico dei lavoratori del commercio del XXI secolo ritornano d’attualità.
Eppure sarebbe molto più semplice ammettere che nessuno poteva essere preparato a reggere questa situazione. Né il consumatore che sarà spinto per un certo periodo a guardare più che l’insegna preferita quella dove la coda è minore né la GDO che, ad oggi, è stata costretta per necessità ad affrontare una situazione straordinaria con strumenti ordinari.
Personalmente credo che questa vicenda andrebbe affrontata con più attenzione al problema principale. Se di “guerra” si tratta la prima cosa da fare è preparare e motivare i soldati e non solo… Serve più concertazione. Anche con i sindacati di categoria. Anziché lasciare che ciascuno proceda in ordine sparso. Ognuno alla ricerca delle proprie interlocuzioni politiche.
Protezioni e assicurazioni ai dipendenti, sostegno economico, trasferimenti da zone scariche a zone calde, assunzioni TD con sgravi, contingentamenti delle entrate, presidi delle code, personale terzo da impiegare ecc. non possono che essere affrontate in una logica di comparto.
C’è una parte del Paese che si è fermata. Ce n’è un’altra che non si può fermare e quindi deve essere messa i condizione di rispondere alle esigenze dei cittadini in condizioni di sicurezza. Non certo facendo leva solo sull’organico attuale e con gli strumenti ordinari. Fermare le domeniche nelle aree più congestionate e a rischio è un errore che aggrava la situazione di tensione e inevitabilmente di contagio. Soprattutto per le fasce più deboli. Ma se non si offrono alternative la scelta è obbligata.
Affrontato il tema interno occorre affrontare ciò che succede fuori dai punti vendita. Innanzitutto continuando gli appelli alla calma, monitorando le persone in coda come suggeriscono gli esperti con personale adeguato e continuando a spiegare anche attraverso i media che non ci sono problemi di scarsità di merce. Magari inventando promozioni e scontistiche che premiano i comportamenti virtuosi (cadenza di acquisto, contenuto carrello, ecc.) e distribuendo l’afflusso dei clienti nelle città verso insegne meno frequentate.
Così come insistere nel creare corsie preferenziali per anziani e fasce deboli che oggi sono comunque costretti in strada numerosi. Forse occorrerebbe pensare alle consegne a domicilio organizzate da volontari o dall’esercito nelle zone che lo dovessero richiedere così da non spingere all’uscita prolungata e pericolosa, gli anziani.
Quello che occorre evitare assolutamente è dividersi tra chi guarda dentro i punti vendita e propone più cautela nell’utilizzo del personale mettendo in secondo piano chi sta fuori e chi guarda alle file e pensa addirittura ad un utilizzo ancora più intenso degli addetti che comunque non risolverebbe la situazione.
La Grande Distribuzione è stata fondamentale in questa prima fase della crisi. Per colpe non sue (annunci di chiusure e fake news sugli approvvigionamenti) si è trovata a reggere da sola il primo assalto. Ma, e questo va sottolineato, la GDO è parte della soluzione. Non del problema. Non è difficile prevedere che la situazione possa ulteriormente peggiorare e protrarsi nel tempo. Quindi occorrerà prepararsi al peggio. E farlo velocemente.
Condivido totalmente l’articolo di Mario Sassi
Grazie.
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