La Grande Distribuzione alla prova del post COVID-19

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“L’attivazione della CIGD si rende necessaria in ragione delle misure restrittive adottate dalle autorità competenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19: in particolare le chiusure dei centri commerciali, la riduzione degli orari di apertura e le chiusure domenicali e festive, i vincoli sulla vendita di articoli non food e sulla mobilità delle persone tra diversi comuni, hanno avuto e continuano ad avere effetti negativi sull’andamento economico di alcuni ipermercati”.

Carrefour con un breve comunicato spiega le ragioni della sua decisione. Nulla che non sia evidente, scontato, alla portata di chiunque abbia un minimo di capacità di lettura degli eventi e delle ricadute che stanno attraversando il mondo dell’impresa e del lavoro nella GDO a causa del Coronavirus.

Vale per Conad, per Carrefour o per qualunque altro operatore alle prese con piani di ristrutturazione e rilancio dei propri formati che questa crisi improvvisa ha solo aggravato.

All’inizio di questa pandemia il dibattito tra gli esperti e i politici sui media ha cercato di separare, non riuscendoci, la questione di fondo. Ci si ammala e si  muore “con” il Coronavirus o “per” il Coronavirus? Non è diverso se parliamo di lavoro e di impresa. Il COVID-19 esplode mentre alcune realtà della GDO erano già debilitate e impegnate ad affrontare i loro problemi di riorganizzazione e rilancio e impatta su di loro con violenza.

Tirare una riga è impossibile. Chi ci sta provando si copre di ridicolo. Come chi strumentalizza. L’incremento delle vendite di alcuni formati distributivi, le code davanti a molti punti vendita, l’impegno messo in campo per contenere i disagi ed evitare gli accaparramenti non hanno cancellato i problemi preesistenti nella GDO se vista a 360°.

Anzi. Le restrizioni li hanno aggravati in alcuni sottosettori e la superficialità di una parte dei media li ha nascosti sotto il tappeto. La GDO in senso lato si appresta ad affrontare un annus horribilis non certo l’anno mirabilis che era stato annunciato con una enfasi fuori luogo alle prime code davanti ai supermercati e ai primi risultati delle vendite.  Qualcuno ha confuso il dito con la luna.

Questa crisi conferma che la GDO, pur avendo retto, grazie alla sua fanteria in trincea l’impatto principale del virus, deve comunque cambiare in profondità. I riflettori che si sono improvvisamente  accesi ne hanno mostrato i meriti ma anche i limiti e gli affanni. Ne hanno sottolineato anche un delicato ruolo sociale da continuare ad interpretare in futuro.

Resta il limite principale di chi  fatica ancora a pensare e a muoversi come comparto all’interno di una filiera. È, per certi versi, un vizio di origine. È la sindrome del bottegaio felice. Quello orgoglioso della sua insegna. Della sua presunta diversità. 

Che fatica a rendersi conto, ad esempio, che questa diversità rischia di pagarla molto cara nella filiera agroalimentare proprio per le conseguenze del COVID-19 perché presto si troverà al centro di polemiche feroci sui prezzi.

Che non comprende che quattro contratti nazionali in gara al ribasso tra di loro sono un vincolo pesante in epoca di “viva le cassiere”. Che al contrario andrebbero ripensati e portati a sintesi prima che lo facciano altri. Che i nastri orari e le aperture h24 e festivi annessi non si difendono in solitaria.

Che la politica nazionale e locale sta rimettendo il naso nella libertà di fare impresa. Che altre lobby sono nettamente più rappresentate, pensanti  e pesanti sul piano politico. E che infine con i sindacati, soprattutto quelli più sensibili al cambiamento, occorrerebbe identificare traiettorie comuni. Come avviene in tutte le categorie principali.

Così come il  rapporto da costruire tra on line e off line che presuppone investimenti non alla portata di tutti mentre i giganti del web soffiano sul collo delle imprese da posizioni di forza.

Che l’innovazione tecnologica,  le concentrazioni indispensabili e le acquisizioni inevitabili avranno pesanti ricadute occupazionali e che necessiteranno ripensamenti profondi sulla qualità e sulle modalità del servizio al cliente.

L’accelerazione di questi mesi ha mostrato un possibile scorcio di futuro. Ha provato a pretendere, senza riuscirci, una accelerazione che ha messo a dura prova il comparto. Ma ha anche indicato la strada da percorrere.

Il Coronavirus ha sicuramente fatto maturare i gruppi dirigenti di molte imprese. Ha confermato loro che rapportarsi al contesto economico e sociale è una scelta vincente e lungimirante. Fortunatamente dentro le imprese del comparto stanno crescendo energie nuove. I grandi vecchi sono inevitabilmente  a fine corsa e alcuni manager in diverse realtà stanno ridisegnando confini e priorità.

Manca ancora una visione comune, la consapevolezza della propria forza e del proprio peso economico e sociale. E soprattutto la determinazione  ad essere un elemento di traino dell’intera filiera. Alcuni lo hanno capito. Altri sperano di continuare come sempre.

Adesso però bisognerebbe cominciare a segnare il nuovo campo da gioco per giocare la prossima partita con l’autorevolezza necessaria.

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