La recente vicenda Unes, indipendentemente da come evolverà, con la messa in discussione del ruolo e dello status del responsabile di negozio e l’inaugurazione del negozio Tuday Conad senza casse di Verona rimettono al centro l’importanza o meno di chi vive e lavora nel punto vendita nella GDO. Premetto l’enorme differenza tra i due casi. Il primo è un autogol di chi gestisce pro tempore l’azienda milanese. Il secondo, l’abolizione della casse, consente di aprire, di fatto, una nuova era sull’evoluzione del lavoro richiesto in un punto vendita e la qualità del servizio al cliente. Per ora in fase poco più che sperimentale in diverse parti del mondo.
Chi non lo capisce provi a ritornare a cosa c’era prima del supermercato, del telepass o del bancomat. Ai mobili che l’Ikea fa montare direttamente al cliente. Lavori che scompaiono o che modificano la professionalità richiesta. Arriveranno nuove pratiche e nuove tecnologie. Non è solo un problema di casse automatizzate. L’intelligenza artificiale si incaricherà di rilevare rotture a scaffale, automatizzare le prese d’ordine, individuare le date di scadenza dei prodotti, facilitare l’inventario, controllare la freschezza di frutta e verdura, rilevare gli errori di prezzo, cambiare la logistica, ecc. L’arrivo di questi nuovi metodi di lavoro è irreversibile e spingerà a cambiare in profondità i mestieri della GDO così come li abbiamo conosciuti e costruiti nel novecento anche all’interno del punto vendita. E questo a prescindere dall’on line o dalle formule miste di cui si parla soprattutto nei convegni.
Nei negozi di Amazon Go l’occupazione non diminuisce. Cambia il back office e cambiano i mestieri nel punto vendita. Spariscono le cassiere ma aumenta il servizio. Quindi deve crescere la professionalità degli addetti per convincere il cliente stesso a restare il più a lungo possibile nel punto vendita, visto che non perderà più tempo alle casse. Questa sarà la prossima sfida. Se ci fosse un minimo di sincerità bisognerebbe ammettere che, la stragrande maggioranza delle insegne ha lavorato negli anni (chi più, chi meno) per rendere assolutamente invisibili i propri collaboratori agli occhi dei clienti. L’esatto contrario di quello che occorrerebbe fare. Posizione del negozio e offerta commerciale sono sempre stati ritenuti gli unici elementi imprescindibili per il successo. Il resto veniva comunque dopo. Fino a poco tempo fa la cassiera era addirittura valutata per la sua velocità alle casse. Così da smaltire il più rapidamente possibile la coda dei clienti. “Viva le cassiere” è stato lo slogan più citato durante la pandemia. Ovviamente senza alcuna conseguenza positiva per il ruolo. Infatti il contratto di lavoro è fermo dal 2019.
Il responsabile del negozio, al contrario, è sempre stato valutato dalla sua capacità di gestione dei problemi e dell’organizzazione. È bravo, mi si consenta un paradosso, quando il cliente nono lo conosce. Vuol dire che tutto sta filando liscio. Carriera e promozioni nel PDV fino a poco tempo (e forse, anche ora, in molte realtà della GDO) sono state caratterizzate dal cosiddetto “presentismo”. Lo slogan veicolato ai più giovani è sempre stato: “non devi contare le ore che fai”. Per crescere occorre mostrare disponibilità, voglia di imparare, impegno. Se assunto a part time, a tempo determinato o aspiri a crescere professionalmente, devi “dare” all’azienda per poi sperare di ottenere qualcosa in cambio.
Il “quiet quitting” è la risposta delle nuove generazioni. In altri termini, lavorare il necessario per non perdere il posto di lavoro, resistere a straordinari e lavoro festivo, evitare di aderire a progetti o assumersi responsabilità che non rientrano strettamente nell’orario di lavoro o nelle mansioni assegnate. La richiesta di “presentismo” eccessivo crea vuoti di organico perché è sempre più difficile trovare giovani disposti a sacrificare il proprio tempo e le proprie aspirazioni in questo settore. Senza contare l’assenteismo che sta riprendendo piede.
I manager di punto vendita sono così sotto pressione. I problemi di reclutamento rischiano di diventare insolubili e scaricarsi sul resto dei collaboratori. Il rapporto con il lavoro è cambiato ovunque. La grande distribuzione non fa eccezione. È un mestiere indubbiamente semplice che però necessità di tempo per essere apprezzato. I nastri orari giornalieri impongono una dose di flessibilità in entrata e in uscita che molti giudicano eccessiva. Fine settimana e festività lavorative non attirano, non solo i giovani. Se a questo aggiungiamo il salario che spesso ha una base determinata da formule di part time involontario, possiamo comprendere il senso di “sfruttamento” che tiene lontano e non attira come altri comparti. Ovviamente non è così ovunque. Ma per le insegne migliori è difficile segnalare la loro specificità positiva.
Quindi sul piatto ci deve essere anche altro. Dalla formazione, al welfare aziendale, ai percorsi di carriera. Ma anche ad un bilanciamento diverso tra lavoro e vita privata. Le aziende più attente alle proprie risorse umane hanno iniziato ad investire su questi temi. Da formule di tutoraggio dei nuovi entrati, ad una comunicazione aziendale a due vie, all’ascolto delle istanze e delle proposte dei collaboratori, alla concessione di maggiore flessibilità come ad esempio, i giorni di congedo di maternità / paternità supplementare. Senza sottovalutare precisi piani di sviluppo delle competenze, una formazione continua efficace o saper mettere a disposizione strutture sportive, incoraggiare l’impegno personale nel volontariato o il coinvolgimento nelle azioni CSR.
Infine condividere con i singoli collaboratori elementi del processo decisionale, sugli obiettivi del punto vendita e renderli partecipi e protagonisti dello sviluppo della cultura aziendale. Oggi è centrale il processo di fidelizzazione dei propri collaboratori per diminuire il turnover, trattenere i migliori, facendoli sentire importanti e parte di una squadra vincente. Il negozio del futuro avrà il cliente al centro. Molto più che in passato. Ma il cliente non è solo chi decide di entrare ma anche chi decide di restare. Cliente esterno e cliente interno sono due facce della stessa medaglia. Anche per questo occorre che il mercato del lavoro si attrezzi per favorire ingressi di lavoratori provenienti da altri Paesi che vedono in questo lavoro un passo avanti rispetto alla loro condizione di partenza. Ormai è così in tutta Europa.
Se le persone crescono di importanza nel punto vendita come elemento di competitività le regie di negozio diventano centrali. Per questo il loro riconoscimento economico e professionale è decisivo. Sono loro che danno il tempo, animano il team e trasmettono la motivazione. Questa importanza spesso non sembra essere sufficientemente riconosciuta dalle sedi. Le organizzazioni top down non funzionano come in passato senza una comunicazione costante e un riconoscimento a due vie. Basta girare e raccogliere le confidenze dei responsabili per comprenderne il disagio. Un malessere che dovrebbe essere affrontato e compreso dalle gerarchie commerciali e delle risorse umane. Entrambe dovrebbero sapere che il “clima aziendale” vene prima di ogni altra politica aziendale, individuando insieme, quali leve mettere a disposizione dei manager di punto vendita. Altro che ridurli a semplici terminali della sede come nel caso di Unes.