La Grande Distribuzione è ancora la casa degli italiani…

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C’è un imprenditore non particolarmente esperto di GDO che aveva capito, ben prima di Jeff Bezos, che per raggiungere i consumatori italiani occorreva andare oltre i format distributivi tipici della grande distribuzione utilizzando il potenziale che uno strumento esterno al comparto (allora fu la televisione) poteva offrire in termini di conoscenza e diffusione dei prodotti. Quell’imprenditore era Silvio Berlusconi.

L’idea della casa degli italiani nasceva proprio da lì. Dal sogno, poi non realizzato, di poter costruire un modello di business completamente innovativo che avrebbe probabilmente cambiato il destino della GDO italiana e non solo. Trent’anni dopo Amazon ci sta riprovando partendo dalla rete e dal potenziale offerto dalla logistica e trova, in Italia più che altrove,  un comparto, preso nel suo insieme, molto fragile e nella sua fase di maturità.

Nel frattempo la Grande Distribuzione è cresciuta sia in termini di fatturato che di occupazione seguendo una sua strategia espansiva  basata su logiche interne cercando semplicemente di portare dentro i propri negozi piccoli o grandi  la capacità e la saggezza del tradizionale negozio di vicinato sul fresco e di consulenza sul non food ma anche offrendo al consumatore un livello di intrattenimento e di offerta di servizi nei punti vendita che rendano piacevoli i luoghi dove fare la spesa. Questa scelta ha funzionato al punto tale che oltre dodici milioni di italiani ci passano volentieri anche la domenica.

Quello che preoccupa nella campagna scatenata contro il lavoro festivo da parte dei due partiti di Governo è l’obiettivo vero che sembra non emergere chiaramente. Ci ha provato Gianluca Paragone, deputato dei 5S ( https://youtu.be/ZgYwORrcqb0) a spiegare la filosofia che li anima con un attacco personale,  volgare  quanto basta a Mario Gasbarrino CEO di Unes. Un napoletano, quest’ultimo,  di grande correttezza e spessore morale che, a differenza di altri, rispetta i contratti e nel lavoro ci mette tutta la passione possibile. 

Una posizione, quella dei 5S comunque diversa da quella della Lega che pure, ad oggi, tiene il punto insieme all’alleato di Governo. I 5S partono da una posizione non nuova già espressa e argomentata dal sociologo Renato Curcio su cui ho già scritto in passato (http://www.mariosassi.it/grande-distribuzione-una-dannosa-contrapposizione-tra-consumatori-e-lavoratori/).

In un’intervista del 2010 l’ex brigatista racconta di un contesto lavorativo nella GDO  costituito dal mobbing sistematico, strutturale e preventivo. Una nemesi tra il lavoratore e l’azienda a scapito della vita privata e familiare. “Una normalizzazione della sofferenza sul posto di lavoro e uno svuotamento delle ipotesi di miglioramento. E conclude:” la precarietà non sembra più essere, come negli anni passati, una terribile congiuntura temporanea. La precarietà si è trasformata una strategia di gestione della vita sociale.”

Una visione apocalittica che fa a pugni con la realtà del settore. Una visione che, se dovesse essere assunta acriticamente come verità dai 5S punta dritta al cuore del modello di business della GDO e porterà conseguenze ben più gravi della discussione in atto sulle domeniche o sulle festività.

Per questo non si può restare indifferenti. E non dovrebbero esserlo neanche le associazioni di rappresentanza, sindacati compresi. La grande distribuzione, come comparto, è pur vero che ha commesso degli errori macroscopici.

Innanzitutto sottovalutando il nuovo contesto competitivo indotto dal potenziale della rete, la forza dei soggetti sulla scena e i nuovi modelli e comportamenti di consumo. Si è sostanzialmente comportata come i piccoli esercizi commerciali all’apparire dello strapotere della GDO. Lamentandosi e cercando di resistere.

Contemporaneamente ha sottovalutato lo scenario sociale e le conseguenze sul piano dell’immagine che avrebbe comportato la fuga dal contratto nazionale firmato da Confcommercio. Un errore grave compiuto dalla commissione lavoro di Federdistribuzione e sottovalutato dall’insieme degli amministratori delegati portati ad accontentarsi dell’uovo, non pensando alla gallina. Questo ha consolidato l’immagine di un comparto produttore di precarietà e bassi salari.

Un’altro è di non essere riusciti a svincolarsi dall’immagine negativa di “stritolatori” di fornitori attraverso le grandi centrali di acquisto e non riuscendosi a smarcare completamente dai fautori, appartenenti comunque a quel mondo,  delle aste al ribasso. E questo ha favorito la capacità di lobby delle forti organizzazioni degli agricoltori agli occhi della politica.

Un altro ancora è stato l’errore di scambiare i confini del proprio settore con il mondo puntando all’autosufficienza organizzativa. Il risultato ha prodotto una pletora di organizzazioni di rappresentanza modeste, poco incidenti e alla ricerca di un’inutile primazia ormai fuori dal tempo. E questo ha favorito indubbiamente alcune aziende o gruppi,  in grado di muoversi da soli, a scapito dell’intero comparto.

Infine l’errore più grave. Non essere riusciti a veicolare con forza l’immagine positiva di un settore per quello che è nella realtà. Non la singola impresa o gruppo multinazionale che, di per sé,  non qualifica l’intero settore ma, per certi versi,  lo indebolisce.

Un comparto economico  che contribuisce al benessere nazionale, che è cambiato molto e che investe sulle persone e sui giovani. Che ha rapporti importanti con le università italiane, che spende in formazione come nessun altro settore economico. Che contribuisce a far vivere il contesto nel quale i suoi punti vendita sono presenti. Che offre occasioni di svago e di relax paragonabili a veri e propri parchi di divertimento. Che deve potersi riorganizzare per poter guardare avanti.

Errori e ritardi si possono recuperare e la vicenda delle domeniche potrebbe essere una importante occasione per farlo. Ed è quello che suggerisce Dario Di Vico sul Corriere (http://bit.ly/2Qm34pv). Quello che non si può accettare è di restare in silenzio, inermi di fronte ad un attacco senza precedenti ad un intero comparto economico mentre lo stesso è sottoposto ad una pressione concorrenziale fortissima e portato al pubblico ludibrio da alcuni rappresentati autoctoni della decrescita felice.

L’obiettivo non può che essere quello di far riflettere tutte le parti in causa e di fermare per tempo la deriva sulla quale stiamo scivolando. Almeno finché esiste questa  possibilità.

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