La Grande Distribuzione e il rinnovo dei contratti nazionali che non c’è…

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“Quando gli elefanti litigano è sempre l’erba ad andarci di mezzo” recita un antico proverbio africano. Non mi viene in mente altro se devo valutare le ragioni e l’impasse delle quattro associazioni sui rispettivi rinnovi del contratti applicati nella grande distribuzione. I sindacati di categoria sono in grande difficoltà perché ad oggi, al di là di incontri inconcludenti, non riescono a stringere né sulla forma né sui contenuti. Il tempo passa e il principale rinnovo del Paese per numero di addetti coinvolti  è bloccato per manifesta incapacità ad esercitare un ruolo di  leadership che non sembra essere più nelle corde della Confcommercio.

In attesa dell’annuncio dell’entrata di Conad nei ranghi confederali  che i vertici attendono per poterla vendere a tutto tondo e  dimostrare all’esterno di non essere affatto in crisi, tutto è fermo. Mossa sicuramente intelligente da parte di Conad quella di entrare in Confcommercio che conferma lo sguardo lungo. Fondamentale in questo periodo per Confcommercio per tirare il fiato sulle critiche di immobilismo anche se questa entrata potrebbe provocare l’uscita di CRAI che dopo quella del Gigante e l’entrata formale di LIDL in Federdistribuzione sta accelerando cambiamenti ed equilibri del comparto.

Il vertice di Confcommercio in evidente difficoltà ha bisogno assolutamente di qualcosa da vendere  all’esterno per uscire dall’angolo. Nella prossima assemblea il Presidente pur in grande affanno qualcosa dovrà pur dire. L’importante firma dell’accordo sindacale ad  Amazon se lo è intestato Conftrasporto. Il rischio di una guerra interna in Confcommercio con chi vede Amazon come il fumo negli occhi ha consigliato cautela nell’assumersi un risultato che è comunque estremamente importante.

Donatella Prampolini che ha la delega di Sangalli sul lavoro e i contratti si guarda bene dal proporre al Presidente forzature o accelerazioni al confronto con i sindacati di categoria che potrebbero compromettere le sue personali speranze di possibile corsa ai vertici dell’organizzazione.

Le strutture territoriali, le imprese associate  e le  cooperative di Conad, a loro volta, pretendono che si trovi una soluzione alle differenze economiche con il CCNL firmato a suo tempo da Federdistribuzione. Una richiesta legittima. Chi ha applicato il CCNL firmato da Confcommercio ha pagato circa venti euro in più al mese per tutta la durata del contratto.

Federdistribuzione  attende le mosse della confederazione più importante. Nel comparto quando fa comodo ci si dichiara leader, quando conviene si preferisce fare i follower. Situazione prevedibile che ho descritto più volte da quella malaugurata fuga in avanti che ha dato contemporaneamente un beneficio a Federdistribuzione ma ha creato un danno sulla prospettiva. E questo, purtroppo,  la dice lunga sulla qualità e sulla scorza dei gruppi dirigenti di entrambe le associazioni. Nessuna vuole prendersi la responsabilità di fare il primo passo. Il risultato è che ogni mese i lavoratori della GDO, dopo essersi impegnati al massimo durante i lockdown, sono fermi al palo sul loro rinnovo. Altro che “viva le cassiere”….

Purtroppo per molti degli addetti la storia non finisce qui. L’ossessione per i costi spinge diverse imprese, soprattutto nel centro sud e nel franchising ad abbandonare i cosiddetti CCNL principali e saltare sul carro di quelli ben più vantaggiosi messi a disposizione da altre sigle datoriali e sindacali. Tutto legittimo, ovviamente ma in grado di rappresentare il caos che potrebbe abbattersi sull’intero sistema contrattuale nazionale se la mancanza di una concreta certificazione della rappresentanza continuerà a non trovare sbocchi praticabili.

Le imprese della GDO, tramite i loro consulenti locali, preferiscono disegnarsi una sorta di salario minimo su misura disinteressandosi dei principali CCNL, dei sistemi bilaterali collegati e dei fondi (sanitari e previdenziali) che ne sostanziano la loro qualità ma anche il loro costo. Certo è un sistema sul quale occorrerebbe accendere i riflettori perché spesso inviso alle imprese e poco conosciuto dagli stessi lavoratori. E forse più conveniente economicamente per i firmatari che per chi lo deve applicare. Ma un conto è migliorarlo e renderlo più trasparente, un altro è distruggerlo.

Quindi siamo al paradosso. Insegne iscritte formalmente alle quattro principali associazioni (Confcommercio, Confesercenti, Federdistribuzione e Coop) titolari di contratti nazionali che accettano al proprio interno punti vendita, spesso  di altri piccoli imprenditori o di associati, che applicano contratti che derogano di almeno il 15% e più rispetto a quelli peraltro già scaduti.

E chi sottovaluta questo bradisismo contrattuale in corso sono gli stessi che non hanno saputo valutare i danni collaterali della proliferazione dei CCNL ufficiali dimostrando di non conoscere il senso pratico e il conseguente opportunismo sui costi dei loro imprenditori associati.

I sindacati di categoria non hanno la forza di reagire. Attendono che le promesse ottenute si possano concretizzare, prima o poi in una firma che trascinerebbe con sé gli altri CCNL. La loro richiesta è, a mio parere,  semplice e condivisibile. Un contratto unico, dignitoso, che continui a puntare sui fondi previdenziali e sanitari e che magari contribuisca a dare risposte anche sulle politiche attive e  che copra l’intero comparto.

Sul come realizzarlo (uno o trino) sono aperti al confronto. Poco importa se il gatto è bianco o nero sostengono, prendendo a prestito quello che sosteneva un famoso politico cinese. L’importante è che acchiappi i topi. 

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