La Grande Distribuzione si siederà al “Tavolo di Yalta”?

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Forse il tempo in cui viviamo è il settimo giorno, quello in cui Dio si riposò, lasciando a noi il compito di continuare l’opera.

 

Non voglio addentrarmi in dispute storiche ancora non risolte sulla importanza e sulle conseguenze positive o negative della conferenza di Yalta. Resto dell’idea che ciò che ci aspetta nel dopo Covid-19 soprattutto nell’assegnazione delle risorse per rilanciare l’economia e il lavoro vi assomiglierà molto. Le risorse non saranno sufficienti ad accontentare tutti. Alcuni pagheranno un prezzo pesante. Addirittura c’è chi si troverà al capolinea della propria attività economica. Altri usciranno più forti di prima da questa situazione. Chi è chiamato ad assumersi le responsabilità delle decisioni non avrà un compito facile. C’è una grande opportunità  per ridisegnare il Paese. Le sue priorità, la sua burocrazia, le sue traiettorie di sviluppo futuro. Perderla significa distribuire risorse a pioggia nel tentativo di non scontentare nessuno e quindi di scontentare inevitabilmente un po’ tutti.

Comunque la si osservi, essere a quel tavolo sarà determinante. Il 24 aprile, quindi in tempi non sospetti, mi sono permesso di ipotizzare tempi difficili per il futuro prossimo della GDO (https://bit.ly/3azAk5x). La cassa Covid di Conad e Carrefour erano già  segnali sufficienti per comprendere che dopo le insegne più fragili o attraversate da ristrutturazioni importanti,  sarebbe toccato ad altri.

L’intervista del CEO di Esselunga (https://bit.ly/3fjNzen) fornisce uno spaccato interessante di ciò che sta succedendo. E parliamo di una delle aziende  che più di altre è in grado di reagire al mutare del contesto. La necessità di resistere in una situazione oggettivamente difficile ha fatto passare in secondo piano l’inevitabile ricaduta sui costi, le problematiche relative al personale, (assenteismo e carichi di lavoro). L’inevitabile riduzione dei margini. Le ragioni? Alcune più evidenti e rimediabili. Altre più di prospettiva.

È chiaro che non è stato così per tutti. Discount a parte, i più piccoli hanno reagito meglio grazie alla loro flessibilità organizzativa. Le lunghe  file scoraggiano i clienti, i siti più grandi irraggiungibili, la consegna a domicilio ha zoppicato un po’ dovunque, i grandi player della rete continuano ad incombere sinistramente sul settore privi delle stesse regole.

L’intervista  della vice presidente di Confcommercio (https://bit.ly/2Wyr0ds) sulle festività va letta in questo contesto. Far riposare il proprio personale la domenica significa tirare il fiato per i più piccoli, mettere in difficoltà i più grandi se presenti e  impegnati nella riorganizzazione dei diversi formati distributivi e poter così competere da una posizione diversa.

Mossa prevedibile e per certi versi comprensibile. Più da titolare di impresa. Così come sulle mascherine. È arrivata prima degli altri.  Confcommercio che sta cercando di guadagnare spazio sul tavolo principale dove si decide il futuro del Paese e quindi anche il destino di una buona parte dei suoi associati,  ha dimostrato di sapersi muovere con destrezza e rapidità sulle partite laterali. 

Non credo siano ascrivibili al caso la spesa imposta solo nel comune, gli articoli di cancelleria non vendibili nei supermercati, le chiusure festive a livello regionale, lo stand by ai cash and carry, il basso tasso di rischio rilevato dall’INAIL sul lavoro delle cassiere che evita nella ripartenza processi e protezioni eccessivi. Nulla avviene per caso. Mosse semplici ma particolarmente efficaci in favore di una parte dei propri associati.

Come ci ha ricordato qualcuno, siamo tutti nella stessa tempesta ma non tutti sulla stessa barca. Alcune sono più pesanti e difficili da muovere altre più leggere. altre apparentemente pesantissime hanno già calato le loro scialuppe per guadagnare terra per primi.

Per la GDO, restare aperti visto il contesto, è stato considerato un successo in sé. Si è fatta carico di molto di più di una normale gestione del proprio business. Ha affrontato, insegna per insegna e territorio per territorio, un dramma sociale. E lo ha fatto in silenzio e assumendosene le responsabilità e i costi relativi.

Ha accettato le indecisioni e le contraddizioni della politica e delle istituzioni. Ha subito le legittime rimostranze dei clienti e la concorrenza spesso sleale della rete. Per questi motivi chiedere oggi una maggiore unità di azione non è una speranza. È, a mio modesto parere, una esigenza concreta.

E chiedere che questo avvenga non già in una competizione inutile tra sigle e insegne ma all’interno di un percorso di coinvolgimento dell’intera filiera è il minimo sindacale. E questo credo sia l’auspicio del recente articolo di Giuseppe Caprotti e Mario Gasbarrino su Repubblica (https://bit.ly/2W3JjrF). Più che un balzo nel futuro la GDO rischia un ritorno al passato se si isola dai processi in corso.

La fase 2 e ciò che ne seguirà non è importante solo per attenuare il disagio sociale e le tensioni che attraversano soprattutto alcuni territori  ma anche per riprendere quella energia necessaria a rimettersi in moto fuori dagli slogan e dalle parole vuote che hanno caratterizzato questa fase.

Al tavolo dove si discute del futuro del nostro Paese e dunque dove mettere le risorse più significative pochi sono invitati di diritto. Non sono tutti uguali. Alcuni però sono più uguali di altri. Non esserci significa solo subirne le decisioni. E chi si è impegnato nella fase acuta come la GDO a quel tavolo dovrebbe esserci. Non è affatto un’inutile passerella.

Vincoli, libertà di impresa, lavoro, fisco, costi e prezzi sono partite delicate. E sono tutte su quel tavolo. I giganti della rete sono lì a dimostrare che l’assenza di regole e controlli, quindi di burocrazia utile producono lo stesso danno del loro eccesso. In un mercato che deve essere ricostruito e rilanciato agire di rimessa e lamentarsi restando in panchina serve a poco. 

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