Venerdì 22 dicembre ci sarà lo sciopero della Grande Distribuzione indetto da Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil per protestare contro l’assenza di contratto per i lavoratori delle imprese che fanno riferimento a Federdistribuzione e per quelle aderenti al mondo cooperativo.
A questo si aggiunge la campagna contro il lavoro festivo discendente dal decreto del Governo Monti che ha liberalizzato le aperture nel settore. Assisteremo, però, al confronto tra due debolezze. Innanzitutto quella sindacale dovuta alla difficoltà evidente di mobilitare la categoria per riuscire a sottoscrivere un contratto simile a quello siglato con Confcommercio o a spingere Federdistribuzione ad applicarlo.
Contemporaneamente, sul fronte Coop, il contratto è fermo perché i sindacati non vogliono (o non possono in quel contesto) accettare ciò che hanno già accettato da molti anni per le aziende che fanno riferimento a Confcommercio.
È una debolezza che viene da lontano. Purtroppo i sindacati del terziario non sono riusciti a interpretare i cambiamenti che si sono succeduti nel comparto della GDO e quindi li hanno subìti. Non sono riusciti a governarne la crescita, a volte fuori misura, né ad accompagnarne il declino.
Schierarsi ideologicamente contro le aperture festive, non distinguendo l’outlet e le sue esigenze specifiche da un supermercato o mettendo sullo stesso piano i diversi comparti ha significato pregiudicarsi il rapporto con le imprese del settore ma anche con una fetta importante dei lavoratori. Quella per cui, il lavoro festivo è una occasione di reddito altrimenti precluso.
Ma anche con parte dell’opinione pubblica che, nelle numerose indagini effettuate, dimostra di gradire le aperture. Sostenere che i fatturati non sono aumentati con il lavoro festivo significa solo non saper guardare dentro ai diversi comparti della GDO. Cioè non sapere di cosa si sta parlando.
Altra cosa sarebbe rivendicare, ad esempio, una rotazione maggiore dei lavoratori che riduca il disagio delle festività lavorate, un trattamento economico adeguato o una soluzione per le lavoratrici madri come, a onor del vero, il sindacato, fortunatamente, ha fatto a Serravalle.
E poi la grande sottovalutazione delle presenze sotto varie tipologie contrattuali e dell’indotto che ruota intorno al lavoro festivo e domenicale che ormai coinvolge decine di migliaia di persone che rischierebbero di restare senza lavoro.
La seconda debolezza è in capo a Federdistribuzione di cui la vicenda contrattuale è solo un aspetto ormai del tutto secondario. La Grande Distribuzione, oggi, è in crisi sul serio. Non tanto e non solo dal punto di vista economico.
È una crisi più profonda di ruolo, di prospettiva complessiva. La fine del mandato alla Presidenza di Cobolli Gigli coincide con una immagine di debolezza generale che si va costantemente accentuando. Al distacco da Confcommercio, che ne avrebbe dovuto segnare il rilancio, il cambio di contesto esterno ha reso tutto più complicato. Non è, ovviamente, tutta colpa loro.
Tre questioni sul tavolo. La percezione del ruolo della GDO, dei suoi formati delle sue proposte commerciali che, ad oggi, hanno perso la loro spinta propulsiva. La mantengono, è vero, in alcune brillanti realtà aziendali solo per capacità specifiche del management o per azzeccate scelte imprenditoriali.
In secondo luogo la liberalizzazione delle aperture messe in discussione sempre da più parti a cui viene contrapposta una reazione debole e scontata per le evidenti differenze di necessità presenti nel settore. La stessa vocazione alla “autosufficienza” della Federazione non ha aiutato a creare alleanze utili alla causa.
Infine la difficoltà ad esprimere, sul tema del lavoro e della sua valorizzazione, un’idea comprensibile dall’opinione pubblica che sappia andare oltre il tema dei costi e al di là della capacità o meno di sottoscrivere un contratto nazionale.
La GDO investe pesantemente nelle risorse umane nelle singole aziende ma la percezione esterna è che sia un settore produttore solo di precarietà, lavoro povero e quant’altro di peggio si possa immaginare. E questo non è assolutamente vero.
Infine le problematiche innescate dalla rete che si sviluppano rapidamente, in presenza di un business che non cresce, senza vincoli e regole comuni con cui potersi misurare.
Tutto questo nonostante Cobolli Gigli sia stato un Presidente che, a mio parere, ha portato con la sua storia e con il suo indubbio peso personale valore aggiunto alla Federazione.
Non è bastato, però, perché nel frattempo la situazione generale è cambiato in peggio, le aziende si sono ritirate ad affrontare i loro problemi e alla Federazione hanno lasciato solo una rappresentanza formale. Vedremo se chi gli succederà saprà invertire la rotta.
Personalmente, per il bene dell’intero comparto, me lo auguro. Federdistribuzione ha un ruolo importante di cerniera nel pluralismo distributivo italiano che, soprattutto di questi tempi, dovrebbe essere esercitato sviluppando convergenze così come dovrebbero fare, ovviamente, tutti gli altri soggetti che interagiscono nel comparto. Ognuna in base al suo peso e alle sue responsabilità.