Quando un boxeur non ce la fa più abbraccia l’avversario sul ring. Non è un gesto di pace ma di disperazione. Evita così di subire altri colpi. Di solito poco dopo tracolla al tappeto. Il giorno dopo l’incontro al Viminale tra Matteo Salvini e i corpi Intermedi la sensazione è la stessa. Con alcune eccezioni.
Confindustria si è tenuta lontana da giudizi postumi superficiali. La CGIL, da parte sua, già il giorno precedente aveva distinto il metodo dal merito. Maurizio Landini subito dopo l’incontro ha dichiarato: “Ho detto a Salvini che noi vogliamo un solo tavolo. Il governo è uno o più di uno?”. La sensazione che la maggioranza dei presenti, soprattutto di parte datoriale, sia arrivata alla frutta è evidente.
Prendersela con i piccoli partecipanti non serve. Per chi rappresenta poco più di se stesso quell’incontro è una ragion d’essere. E’ vendibile come un successo a prescindere al proprio interno, serve per gonfiare il petto con i propri seguaci. Poi c’è chi, rompe la sobrietà necessaria come il leader di Confcommercio che, fiutando l’aria, il giorno dopo, esalta il metodo di confronto.
La tecnica è sempre quella. Dare un colpo al cerchio e uno alla botte. L’aria di crisi tra i due leader di Governo spinge all’opportunismo i soggetti più fragili. Tentare di inserirsi nelle contraddizioni è la tecnica per mettere un po’ di fieno in cascina in vista del probabile precipitare della situazione. Non ci sono rivendicazioni particolari salvo di ribadire ciò che Matteo Salvini ha già espresso, più volte sull’aumento dell’IVA e sulle cose da fare.
Il leader leghista, da parte sua, è in perenne campagna elettorale. Costringe Luigi Di Maio a inutili falli dettati dal nervosismo e il Presidente del Consiglio, nei panni dell’arbitro, a reclamare la palla in campo. Aveva bisogno di questa sceneggiata per proseguire nel suo disegno. Ha capito che, salvo i sindacati confederali che hanno comunque una piattaforma condivisa, la rappresentanza datoriale, oggi, è una tigre di carta.
Confindustria non riesce ad imporre la sua leadership sulle altre organizzazioni che, a loro volta, non hanno una visione del futuro ma solo la necessità di galleggiare in attesa di tempi migliori. Salvini ha fiutato l’aria diversa. Non c’è una critica vera al Governo.
C’è solo la preoccupazione delle rappresentanze degli imprenditori nei confronti delle proposte e della volontà punitrice dei 5S e l’assenza di una opposizione sufficientemente credibile. E questo sta spingendo i corpi intermedi tra le sue braccia. E a lui non costa nulla accoglierli con generiche quanto irrituali promesse di ascolto.
Ma soprattutto ha colto che il cosiddetto partito del PIL è scalabile perché la base degli imprenditori, dei professionisti e degli autonomi, mentre scavalca le proprie rappresentanze nella protesta è disposta a riconoscersi in una proposta politica rischiosa ma che, in questa confusione, almeno consenta loro di lavorare. Ieri ha segnato un punto importante di questa “nuova” strategia.
Ritenuto un vero pericolo dall’Europa, non in grado di creare un vero fronte sovranista nel continente, sotto attacco per i rapporti opachi con la Russia di Putin, in ritardo sulla Road Map dell’autonomia delle regioni ha intuito la via di fuga per tempo. Cavalcare la paura diffusa dell’immobilismo e della decrescita felice che anima i colleghi di Governo. In questa fase sembra sufficiente per uscire dall’angolo.
D’altra parte i 5s sembrano in caduta libera. Roma e Torino sono cartine di tornasole che spaventano il Paese che vuole comunque andare avanti. La conta strumentale degli sbarchi o dei respingimenti vale, purtroppo, quella delle assunzioni a tempo indeterminato o della disoccupazione. Non incide sulle intenzioni di voto delle persone. Oggi il pericolo percepito è l’immobilismo e la paura che la situazione precipiti.
Matteo Salvini, al contrario, viene vissuto come fosse atterrato da poco da Marte. L’uomo “nuovo” che, finalmente, spezza le catene imposte dai 5S. Non è così ma questo cambio di marcia e di interlocutori dà questa sensazione. E lo rimette al centro dei giochi. E può portarlo a decisioni forti che affossano questa esperienza di Governo per intestarsene una nuova più consona alle sue radici.
Ieri, l’incontro con le 43 organizzazioni sociali è stata una prova generale. Cercata e gestita con cura. Matteo Salvini, come il suo omonimo predecessore ha capito che non serve schiacciare l’acceleratore sulla disintermediazione e farsi inutili nemici nella rappresentanza. La crisi profonda da cui sono affetti questi ultimi sta già facendo il suo decorso.
La velocità di cambiamento del contesto economico sociale e politico favorisce chi cavalca le paure e chi vi si adegua in termini di visione e strumentazione. Il primo c’è. Mancano all’appello i secondi.