L’effetto mediatico che avvenimenti quali l’assemblea al Colosseo o lo sciopero indetto da USB che ha bloccato Roma è stato enorme. Così come le polemiche che ne sono scaturite. Ovviamente non succederà nulla né in termini di prevenzione intelligente né in termini di risoluzione dei problemi che hanno determinato quelle situazioni. Si preferisce continuare ad andare da indignazione a indignazione senza mai approdare a nulla. Forse sarebbe il caso di fermarsi a riflettere. I protagonisti dello sciopero come strumento di lotta e di difesa dei propri interessi sono sempre meno gli operai (quelli veri). Ormai scioperano con più frequenza medici, avvocati, pubblici dipendenti, vigili del fuoco, controllori di volo, tassisti, notai, e prefetti. Le manifestazioni pubbliche sono sempre più partecipate da pensionati, studenti, migranti, ecologisti o gente comune. Gli operai, costretti a creare questo strumento e suoi utilizzatori principali e legittimi per almeno un secolo lo hanno in qualche modo ormai messo in soffitta. Aris Accornero, nella enciclopedia dei ragazzi della Treccani, fa risalire il termine sciopero al verbo latino “exoperare” cioè smettere di lavorare. È interessante osservare che il suo significato, nella declinazione individuale, è più associato a smettere di lavorare più per pigrizia o per scarsa voglia di lavorare del singolo, idea questa che, nel corso del 900, è sempre emersa, soprattutto nei giudizi sprezzanti di chi avversava lo sciopero. Diverso è il suo significato collettivo che lo conferma, da sempre, come strumento di lotta sociale. Anche in altre lingue assume sempre un significato aspro e duro; Huelga in spagnolo significa anche picchiare, cozzare; in inglese o in tedesco strike e streich significano anche attacco e colpo. Un termine forte dunque. Se pensiamo alle condizioni di partenza, di povertà estrema, di emarginazione sociale e culturale che hanno determinato l’esigenza di inventare strumenti di difesa così necessari e estremi per cambiare la propria situazione non possiamo non convenire che, oggi lo strumento si è trasformato in altra cosa. Così come il diritto di riunirsi in assemblea conquistato con migliaia di licenziamenti, morti ammazzati nelle manifestazioni e tragedie di ogni tipo. Se ci limitiamo al nostro Paese e leggiamo la storia sindacale tra gli anni 50 e lo statuto dei lavoratori ci rendiamo conto di cosa è stata quella stagione per la classe operaia italiana. Nulla però di tutto questo ha coinvolto le categorie di cui sopra. Nessun licenziamento ha riguardato né il pubblico impiego né le categorie professionali che, nel tempo si sono impadroniti e utilizzano, alcune con una certa dose di spregiudicatezza, questo strumento estremo non già contro un padrone ma inevitabilmente contro categorie di cittadini che, di volta in volte, vengono prese in ostaggio in vicende che non li riguardano minimamente e di cui ne pagano in esclusiva le conseguenze.
È proprio questo fenomeno di “terziarizzazione” del diritto di sciopero sul quale sarebbe necessario ritornare a riflettere. Stiamo parlando dello stesso diritto di chi lo esercitava nei confronti di una controparte dura e spesso insensibile e in grado di resistere o di concedere o di un’altra cosa? E quindi in questo caso non sarebbe utile trovare diversi canali di composizione visto che quelli fino ad oggi previsti non hanno portato a risultati apprezzabili? Pierre Carniti sosteneva che l’unica regola utile per non creare danni a terzi con uno sciopero è non farlo. Ovviamente era un paradosso. Però è significativo che l’attenzione di tutti è su come regolare un diritto e non su come rendere stabile forme di dialogo e di ricomposizione che siano più adatte ai tempi. Non porsi il problema di cosa c’è oltre allo sciopero e oltre alla sua regolamentazione con l’obiettivo di renderlo inutile è veramente un segno del degrado raggiunto. Lo hanno saggiamente messo da parte gli operai (quelli veri) che lo hanno inventato perché hanno constatato sulla loro pelle che oggi, i vantaggi possibili, sono decisamente inferiori ai costi necessari per realizzarli e quindi cosa aspettiamo a capire che il problema non è come lasciare intatto un simulacro del passato salvo poi svuotarlo dall’interno! Più che costringerci ad accettare come inevitabile la terziarizzazione dello sciopero sarebbe meglio lavorare per cercare, insieme, come ricomporre i conflitti sociali nell’era della globalizzazione e della terziarizzazione dell’economia. Questa sarebbe una vera sfida.