Nell’intervista a Landini sul Corriere emergono con tutta evidenza i limiti di una strategia che non riesce a dare risposte in grado di proporre traiettorie credibili all’iniziativa sindacale. La Cgil nelle categorie industriali e nel terziario non è affatto ferma al palo. O partecipa insieme alle altre organizzazioni di categoria all’elaborazione e alla definizione di sintesi accettabili o, addirittura, è ritornata, essa stessa, a proporre punti di incontro e mediazioni come nel terziario mettendo in discussione egemonie consolidate. In parte per evidenti difficoltà altrui, in parte per una decisa spinta della stessa Confederazione. Vedere Landini costretto a nascondersi dietro la numerosità dei suoi rappresentanti della sicurezza in FCA in rapporto al peso e alla capacità di iniziativa delle altre organizzazioni lascia perplessi. Soprattutto nella prospettiva di un futuro rinnovo del loro contratto nazionale. Fino ad oggi ci ha pensato Federmeccanica a tenere insieme i tre sindacati con una proposta insufficiente sul versante economico e forse anche su altri temi ma non sarà così ancora per molto tempo. Landini non crede che siamo dentro un cambio di paradigma economico e sociale; che all’interno delle filiere produttive l’alleanza tra capitale e lavoro produrrà una continua metamorfosi dei soggetti in campo e quindi anche della rappresentanza. Che le contraddizioni tra garantiti e non garantiti coinvolgeranno imprese, territori, culture differenti e generazioni e che non saranno più sufficienti risposte semplici a problemi complessi. Tutti i corpi intermedi si stanno interrogando su come ricomporre un quadro di riferimento evitando che le distanze nelle rispettive basi di riferimento siano troppo ampie. Lui no. Attende dentro i suoi non più solidi confini novecenteschi che le contraddizioni esplodano altrove. Da qui nasce il senso di autosufficienza, una grave sottovalutazione degli altri sindacati e del ruolo stesso della sua Confederazione. Un errore analogo lo fece, negli anni ’90 la dirigenza della FIM di Milano che, in forza degli stessi principi, diede vita alla CUB trasformando un sindacato territoriale, ricco di iniziativa, votato alla solidarietà e alla proposta sociale anche avanzata, in un promotore di cause a ciclo continuo inserito permanentemente nel circuito dell’estremismo inconcludente che strizzava l’occhio ai salotti borghesi della città. La FIOM ha sempre evitato, fino ad ora, di seguire concretamente quella strada anche estromettendo ruvidamente chi ha cercato di cavalcare in modo troppo spregiudicato i confini tra opposizione sociale e politica. Ma oggi non basta più. Da un lato quella platea lo reclama come leader “usa e getta” e dall’altro altri compagni di viaggio lo richiamano alla coerenza e lo invitano a rientrare in campo senza spocchia ma nella chiarezza. Quindi dovrà scegliere con chi stare. La proposta di Federmeccanica, checché ne pensino alcuni esponenti sindacali, nella sua indigeribilità segnala comunque la volontà di mantenere un sistema che prevede ruoli e compiti precisi ai diversi livelli. L’alternativa non sarà un semplice ritorno al “modello classico” ma, piuttosto, il fai da te. Azienda per azienda. La cautela di Bentivogli è quindi più che giustificata. Il punto è come gettare “l’acqua sporca” contenuta nella proposta, senza “gettare anche il bambino”. Chiedere al nuovo Presidente di Confindustria di abiurare la posizione di Federmeccanica è ingenuo e inutile. Meglio farebbe Landini a contribuire all’elaborazione di una proposta alternativa insieme a UILM e FIM che non si basi solo sul rifiuto della proposta datoriale. Altrimenti il rischio è che anziché contare i rappresentanti della sicurezza Landini si troverà costretto a contare i livelli (veri) di adesione alle iniziative sindacali e agli scioperi. E allora non basterà accusare la controparte o le altre organizzazioni sindacali di cedevolezza o di connivenza con le tesi di controparte…