Ha ragione Dario di Vico quando scrive sul Corriere Economia della delusione del mondo del commercio e dell’artigianato per le decisioni in campo economico e a difesa delle rendite di pochi, del Governo Meloni o di parte della sua maggioranza. (https://bit.ly/3RVt0sV). Una delusione che però non può non comprendere anche l’inerzia manifestata dalle loro associazioni. Commercianti e artigiani (e non solo) credo fossero veramente convinti che il DEF (Documento di Economia e Finanza) avrebbe certificato, insieme alla strategia economica e di finanza pubblica nel medio termine, un passo deciso a loro favore. Quasi un atto dovuto.
Le promesse elettorali da un lato, il silenzio nelle fasi di elaborazione del documento da parte delle associazioni di categoria portavano a pensarlo. Gli stessi segnali alla ripresa post pandemia inducevano a supporre che il ceto medio sarebbe stato in qualche modo messo al centro delle iniziative del Governo. Le associazioni di categoria che avevano contribuito alla vittoria del centro destra lo facevano intendere alle proprie strutture che, in seconda battuta, avevano tranquillizzato gli umori e i timori degli associati. Il segnale di “rottura” è però avvenuto con l’esplosione dell’inflazione.
Anche le associazioni dei dirigenti aziendali si sono trovate spiazzate. Federmanager e Manageritalia hanno accusato il colpo sulle pensioni quando si sono accorte che, più che la legittima tutela del loro tenore di vita, alcuni, nel governo, inseguivano, pervicacemente quanto inutilmente, il fantasma della Fornero come fosse ancora una priorità irrinunciabile. La petizione “Salviamo il ceto medio” lanciata a novembre ne ha segnalato il loro disagio profondo.
La stessa operazione del “Carrello Tricolore” poteva avere ben altri esiti. Il governo ha però subìto, praticamente in silenzio, il defilarsi dell’industria di marca, a differenza, ad esempio, del Governo francese, che ne aveva denunciato pubblicamente il tentativo di sottrarsi al confronto. E al tavolo solo la GDO, con in testa Federdistribuzione, ha fatto il suo dovere e dai dati, e, quando verrà pubblicato il consuntivo, si potrà verificare in quale misura quell’accordo ha contribuito a non scaricare, gli aumenti dei listini, sui consumi. Si è però notato anche in quella circostanza, che, Confcommercio e altre associazioni, dalla composizione delle delegazioni, sembravano portate quasi per forza a quel tavolo. Non hanno comunicato granché all’esterno sull’impegno che stavano assumendo probabilmente in attesa di ben altri provvedimenti da intestarsi che però era chiaro, fin da subito, che non ci sarebbero stati.
L’ossessione di togliere argomenti ad un’opposizione politica e sociale corroborata dalla certezza che la propria base elettorale non sarebbe comunque passata altrove ha convinto il Governo di poter “predicare bene e razzolare male”. Almeno nei confronti dell’associazionismo datoriale. Contemporaneamente le categorie produttive, al di là, delle sporadiche interviste inconcludenti dei loro presidenti, sono rimaste in religioso silenzio.
Ha ragione Di Vico quando sottolinea che l’ultimo grande tentativo di contare e di condizionare la politica è stato fatto con il progetto “Rete Imprese Italia” (chiuso per inedia nel 2020). Progetto naufragato perché all’intuizione di aver trovato lo strumento organizzativo e politico per competere con Confindustria non è seguita altrettanta generosità dal punto di vista delle differenti strategie organizzative delle singole componenti. Il riflusso che ne è seguito ha inevitabilmente contribuito a ridimensionare l’autorevolezza dell’intero associazionismo pur declinato singolarmente. Ed è, di fatto, da allora che le principali associazioni del terziario di mercato hanno perso la forza propulsiva e di iniziativa autonoma nei confronti della politica.
La nascita del Governo di centro destra e il cappello messovi rapidamente sopra, dalla sigle maggioritarie, ha illuso gli associati di essere ritornati in campo. In realtà solo Coldiretti, tra le grandi organizzazioni, ha saputo condurre il gioco entrando a piedi uniti nel nuovo contesto. Ha promosso Filiera Italia, che per la prima volta vede l’agricoltura e l’industria alimentare italiana d’eccellenza, e parte della grande distribuzione, insieme per difendere, sostenere e valorizzare il Made in Italy, la Fondazione Campagna Amica della quale fanno parte quasi ventimila punti tra fattorie, mercati, agriturismi, botteghe, ristoranti e orti urbani e la più grande rete a km zero a livello europeo. E, ultimo ma non ultimo, Prandini sta tirando i fili del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF) che si muove in perfetta sintonia sui temi prioritari dell’associazione.
Un indiscutibile segnale di vitalità e di efficacia sia organizzativa che di peso politico , contestato duramente da chi si pone il tema della direzione che dovrebbe prendere la modernizzazione del Paese, che condiziona le decisioni e i pronunciamenti del Governo. Il mondo del commercio (e non solo), al contrario, si è così trovato solo e senza risposte ai suoi problemi, con le sue principali associazioni, di fatto snobbate, nelle richieste dal Governo proprio sulle priorità condivise e oggetto della campagna elettorale. Addirittura ormai incapaci persino di ottenere sponde concrete per poter chiudere i loro contratti di lavoro. Silenti centralmente dove le promesse di intervento su accise, fisco, tasse e sostegni vari sono via via evaporate tra le diatribe dei partiti che compongono la maggioranza.
Tassisti, ambulanti e balneari al contrario hanno potuto mantenersi baldanzosi e, per ora, vincenti, perché parte di un confronto identitario forte all’interno del centro destra che, con le elezioni europee alle porte, ha addirittura assunto una valenza simbolica. Soprattutto per chi sta perdendo consensi tra i partiti di maggioranza. Come tutte le battaglie simboliche ridisegnano, così, un perimetro che va ben oltre la somma di ambulanti, taxisti e balneari. Segnalano ad un Paese che tende al “tutti contro tutti” un metodo efficace quanto pericoloso di lotta contro il “Sistema” infischiandosene delle lacerazioni che può produrre al tessuto sociale che cerca, a fatica, di tenere tutti insieme. Per questo la loro pericolosità va ben oltre ciò che sta avvenendo perché non sta provocando solo presunte antipatie a livello popolare. Anzi. Indica addirittura percorsi di protesta ad altre categorie..
Altri associazioni, ben più rappresentative, per ora, non sono pervenute. Sembrano ferme al palo ripiegate nelle loro dinamiche interne a difesa di un bidone ormai vuoto sia di idee che di energia. Capiremo, noi prossimi mesi, se tenteranno di risalire la china o se sono state ormai neutralizzate dalla disintermediazione della politica “amica”. Oppure se continuano a risentire dell’illusione tipica delle “mosche cocchiere” che pensano, per il solo fatto di stazionare vicine alla testa del cavallo di contribuire a guidarlo.